Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/01/2015, a pag. 1-25, con il titolo "L'ultimo passo falso di Obama", il commento di Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Barack Obama con François Hollande
L’assenza di Barack Obama dalla manifestazione di Parigi contro il terrorismo jihadista ha evidenziato la carenza di leadership americana nella coalizione internazionale impegnata a combattere contro la vecchia e nuova Al Qaeda. La Casa Bianca aveva molte opzioni per Place de la Republique: avrebbe potuto mandare il presidente, la First Lady, il vicepresidente Biden, il Segretario di Stato Kerry o il ministro della Giustizia Holder, che era proprio a Parigi.
Ma nulla di questo è avvenuto ed a rappresentare l’America nel parterre umano che reagiva all’attacco a Parigi c’era solo l’ambasciatrice Jane Hartley. Tredici anni dopo l’11 settembre, quando l’America reagì all’attacco jihadista prendendo le redini della risposta delle democrazie, il volto imbarazzato di Hartley alle spalle di 44 leader del Pianeta riassume le esitazioni che l’amministrazione Obama è andata sommando nell’affrontare la lunga guerra al terrore. Il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, ammette l’errore, affermando «avremmo dovuto inviare un rappresentante di grado più alto dell’ambasciatore». E’ un’ammissione che solleva l’interrogativo sul perché ciò sia avvenuto. Lo staff della Casa Bianca mormora di tutto: dalle «difficoltà per i servizi segreti» fino al mea culpa sull’«aver valutato male l’importanza della marcia». Ma il fatto che, nella stessa domenica, Obama non sia andato neanche alla marcia di solidarietà pro-Francia svoltasi a Washington lascia intendere che il problema investe le sue decisioni personali. Un presidente che, pur avendo eliminato Bin Laden e condotto la guerra dei droni, sulla sfida al jihadismo ha sommato molti passi falsi. Nel 2009 era da poco alla Casa Bianca quando il maggiore Nidal Malik Hasan uccise 13 commilitoni nella base di Fort Hood, su mandato di Anwar al-Awlaki leader di Al Qaeda in Yemen, ma Obama evitò di proposito il termine «terrorismo». Nel 2011 scelse di sostenere in Egitto i Fratelli Musulmani di Mahmud Morsi, fino al punto da far sedere il proprio ambasciatore in tribuna al Cairo vicino all’ex assassino di Anwar Sadat, scarcerato per l’occasione.
Nel 2012 non riuscì ad evitare il linciaggio jihadista a Bengasi dell’ambasciatore Usa Christo pher Stevens sebbene un team di truppe speciali fosse pronto a intervenire. E nell’agosto del 2014 ha dato vita ad una coalizione di 60 Paesi contro lo Stato Islamico del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi che combatte controvoglia: si limita a sporadiche operazioni dal cielo, non ha truppe di terra e affida la possibilità di vittoria a milizie arabe male addestrate e peggio armate. Arrivato alla Casa Bianca con la missione di ritirare le truppe da Afghanistan e Iraq, convinto di poter dialogare con i fondamentalisti islamici e ancor oggi determinato a definire i killer di Parigi «estremisti violenti» - evitando il termine jihadisti - Obama proietta l’immagine di un’America che «guida dal dietro» la coalizione anti-Isis e il risultato lo abbiamo visto nel blitz degli hacker del Califfo contro il Comando Centrale delle truppe Usa, disseminando messaggi di morte. Più l’America esita, più i suoi nemici vogliono colpirla perché ne percepiscono la debolezza. Resta da vedere se Obama tenterà di rimediare alla sedia vuota di Parigi provando a riconquistare il ruolo di «leader del mondo libero»: non facendolo le conseguenze sarebbero a pioggia.
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