Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/01/2015, a pag.13, con il titolo "Via un quinto degli abitanti, la Siria svuotata dalla guerra", la cronaca di Francesca Paci.
La Siria non è da oggi che ha perso l'anima, non l'ha mai avuta. Il regime di Assad padre non era migliore di quello del figlio. Ed è con un paese simile che i Paesi occidentali hanno sempre preteso che Israele trattasse la pace, e che oggi -finalmente- rivela a un Occidente che si stupisce, il vero volto.
Francesca Paci
Ecco il pezzo:
La Siria ha perso l'anima. Non è solo l'esodo di un popolo passato dai 22 milioni del 2011 ai 17,9 milioni attuali. E non sono neppure quei 10 milioni di sfollati tra profughi esterni e interni che, a detta dell'Onu, ne fanno «la più grande crisi umanitaria contemporanea». I siriani, uomini e donne fieri della propria identità anche quando ostilissimi al tiranno che l'ha rappresentata fino a 4 anni fa, denunciano oggi la perdita della dignità, intima autonomia inossidabile a qualsiasi mukabarat (i servizi segreti arabi) nel nome della quale, nel remoto 2011, i più coraggiosi osarono ribellarsi ad Assad. L'ultimo colpo all'anima siriana arriva dal Libano che, per la prima volta dalla separazione post coloniale dei due paesi, richiederà un visto per chi arriva da Damasco.
Vicini al punto di rottura
Il Libano, con i suoi 4 milioni di abitanti, ospita 1,1 milioni degli oltre 3 milioni di profughi siriani dispersi nella regione tra Turchia, Libano, Giordania, Egitto. Una cifra pesante (e parliamo solo dei registrati Onu) per un paese settariamente diviso che non ha ancora assorbito i palestinesi del 1948 (più di 400 mila persone). Il risultato è un disagio diffuso che si è tradotto prima nel rifiuto del governo di costruire campi profughi per evitare la «sclerotizzazione» del problema, poi nel mercato nero dell'emergenza che ha fatto lievitare i prezzi delle case di Beirut affittate sottobanco a famiglie assai allargate di siriani e ora nella chiusura delle frontiere. «Una volta mia moglie, originaria di Aleppo, sarebbe stata già cittadina libanese, ma ora per i siriani ci vuole molto più tempo» racconta il novello sposo Omar, un habituè del liberale quartiere Hamra che sarebbe rimasto molto più a lungo fidanzato con Radia se le due ore di distanza tra Damasco e Beirut non fossero diventate ogni giorno maggiori (sebbene la strada, controllata dai governativi, sia tra le più sicure). Il Libano, come la Giordania, dove vivono 650 mila rifuglati e il campo profughi di Zaatari è da mesi la quarta citta del paese, inizia a dire basta. Nonostante la classe media siriana, l'ossatura dell'esodo, punti all'Europa o agli Usa, è stato finora il Medioriente ad assorbire il grosso dei rifugiati (1,5 milioni in Turchia, 230 mila in Iraq e 140 mila in Egitto). Secondo Amnesty, con l'eccezione della Germania (30 mila accolti su 46 mila richiedenti), ad agosto appena l'1,7% dei siriani aveva trovato alloggio nel mondo occidentale (ma il Golfo, la Russia e la Cina non hanno accolto nessuno).
Il bluff della fratellanza
Se già la causa palestinese aveva smascherato il bluff della leggendaria fratellanza araba, la crisi siriana mette alla prova quella globale. Oltre 230 mila persone sono morte in 4 anni a un tiro di schioppo da noi. Un quarto delle famiglie dei profughi sono mantenute dalle donne, 2,4 milioni di bambini non vanno a scuola dal 2011. «Nel 2013 ho preso mia moglie e i miei 3 figli e sono scappato in Libano, ma era troppo caro per noi. Siamo andati in Giordania e da ll, non volendo vivere a Zaatari, siamo andati in Egitto. Quando anche al Cairo ci hanno emarginato in quanto associati ai Fratelli Musulmani oppositori di Assad e dunque banditi dalla restaurazione di Al Sisi non ci è rimasto che spendere gli ultimi soldi per andare a Gaza giacché non bastavano per attraversare il Mediterraneo». II racconto di Ahmed Batumi, oggi residente a Gaza City, chiude il cerchio: i rifugiati siriani, dice l'Onu fanno schizzare a oltre 50 milioni il numero dei rifugiati nel mondo, la cifra più alta dalla II guerra mondiale. La Siria ha perso l'anima e sta perdendo il suo popolo.
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