Egitto e Emirati contro il terrorismo islamico
Analisi di Zvi Mazel
(Traduzione di Angelo Pezzana)
A destra: Al Thani, emiro del Qatar (a destra), Abdel Fattah Al Sisi (a sinistra)
L'articolo di Zvi Mazel è stato pubblicato sul Jerusalem Post alla pagina http://www.jpost.com/International/Arab-world-United-against-Islamic-terror-386444
Il presidente Sisi, mentre combatte la Fratellanza Musulmana e i gruppi jihadisti in Egitto e cerca di far uscire il paese dal disastro economico, ha trovato nell’Arabia Saudita e negli Emirati del Golfo degli alleati pronti a tutto per affrontare le minacce dell’Iran nucleare e dello Stato islamico.
L’Isis si è impadronito di una parte dell’Iraq occidentale, a poche centinaia di chilometri dalla frontiera saudita, come dire una minaccia al Regno saudita, che sta cercando con ogni mezzo di difendersi. Arabia Saudita ed Emirati fanno parte della coalizione Usa contro l’Isis, ma non hanno inviato truppe di terra in Iraq perché i loro eserciti non sono equipaggiati per affrontare la guerriglia urbana.
D’altra parte Teheran continua a seguire il progetto di Khomeini quando prese il potere nel 1979: distruggere il regime saudita e imporre l’islam sciita sugli Stati del Golfo. Per raggiungere questo obiettivo l’Iran è determinato a produrre l’arma nucleare, che gli garantirà il potere non solo sul Golfo ma sull’intero Medio Oriente. Nel frattempo l’Iran sostiene gli Houthis – una tribù di estremisti sciiti – che hanno compiuto molti attacchi contro il governo centrale dello Yemen, impadronendosi dalla capitale Sa’ana e del porto strategico di Hodeida sul Mar Rosso, minacciando non solo la costa occidentale dell’Arabia Saudita, ma anche l’ingresso al Canale di Suez e quindi lo stesso Egitto.
C’è quindi una comunanza di interessi tra gli Stati del Golfo e l’Egitto, per un fronte comune tra i paesi pragmatici contro la minaccia del terrorismo sunnita e sciita. Ma prima di tutto occorre fare i conti con il Qatar. Il piccolo emirato, sebbene sia membro del Consiglio di Cooperazione del Golfo, ha una sua propria agenda e sostiene con forza numerose organizzazioni estremiste islamiche che combattono in Siria e Libia, e fa lo stesso con la Fratellanza Musulmana e Hamas. E’ dunque l’anello debole della catena, essendo oltre a tutto in ottimi rapporti con l’Iran.
Lo scorso anno i nodi sono venuti al pettine. Il Qatar si è opposto alla cacciata di Morsi, schierandosi con la Fratellanza Musulmana. Egitto, Arabia Saudita, Bahrein e gli altri Emirati hanno richiamato i rispettivi ambasciatori da Doha. Inutilmente. Il legame del Qatar con la Fratellanza inizia negli anni ’50, quando accolse il Fratelli Musulmani in fuga dall’Egitto, dopo che avevano cercato di assassinare Nasser. In cambio, i Fratelli contribuirono allo sviluppo del paese, diffondendo insieme il loro islam estremista. Esercitarono poi una forte influenza sul canale Al Jazeera sin da quando venne creato nel 1996, trasformandolo in uno strumento di attacco contro diversi stati arabi, diretto in particolare contro l’Egitto dopo la cacciata di Morsi. L’Arabia Saudita fece molte pressioni sul Qatar per fargli cambiare politica, ma il piccolo emirato non ne volle sapere, forte dell’appoggio dei Paesi europei per via del loro enormi investimenti, e degli Stati Uniti, che hanno delle basi militari nel Paese.
Grazie alla mediazione dell’emiro del Kuwait, vennero raggiunti alcuni compromessi, i cui dettagli sono rimasti però segreti. Gli ambasciatori dell’Arabia Saudita, Bahrein e degli Emirati del Golfo rientrarono a Doha, ma non quello egiziano. Nello scorso dicembre si è tenuto un summit a Doha del Consiglio di Cooperazione del Golfo; ne è scaturito un comunicato nel quale è scritto che tutti membri, Qatar incluso, riconoscono il ruolo centrale dell’Egitto nel mondo arabo e che avrebbero sostenuto il piano del presidente Sisi per promuovere stabilità e sviluppo nella regione. Il Qatar si impegnò a non aiutare più i Fratelli Musulmani e Hamas, Al Jazeera non avrebbe più attaccato l’Egitto nelle sue trasmissioni, e si sarebbe unito agli altri Stati del Golfo per sostenere l’economia egiziana. Il Presidente Sisi accolse con favore il cambiamento di rotta, ma aggiunse che voleva prima vedere i risultati.
Finora Al Jazeera ha bloccato gli attacchi contro l’Egitto e chiuso il canare “Egypt Direct”, anche se i giornalisti che lavoravano nella sede del Cairo – incluso uno australiano – sono ancora in prigione, essendo stati arrestati alcuni mesi fa con l’accusa di istigazione a delinquere e condannati con pesanti sentenze, malgrado le proteste internazionali. Saranno però presto liberati se, come tutto lascia prevedere, il loro appello verrà accolto. Ma l’Egitto ha un suo proprio progetto per migliorare le relazioni. Doha deve bloccare ogni aiuto alla Fratellanza Musulmana, Hamas e le diverse milizie islamiche che operano in Libia, da dove partono terroristi e armi verso il Sinai e Gaza. Il Cairo vuole anche che il Qatar prenda le distanze dalla Turchia, decisamente ostile al nuovo regime, essendo una base operativa per la Fratellanza e Hamas. A dimostrazione delle sue buone intenzioni, Doha deve aiutare l’economia egiziana come stanno facendo Arabia Saudita e Stati del Golfo. In tal senso, il Cairo vedrà di invitare il Qatar al summit economico che si terrà a Sharm El Sheik nel marzo 2015.
Finora il Qatar ha bloccato gli attacchi e un certo numero di leader della Fratellanza che vi avevano trovato rifugio dopo aver lasciato l’Egitto, ha adesso riparato in Turchia. Non però i sostenitori della linea dura, come Karadawi e altri. Non è nemmeno chiaro se sia cessato l’aiuto alle milizie in Libia. L’Egitto attende ancora di vedere se a Khaled Mashaal, capo di Hamas e operante a Doha, sia stato imposto di lasciare il paese. Malgrado ciò, ci sono stati alcuni sviluppi interessanti. Un emissario dell’emiro del Qatar ha visitato il Cairo accompagnato da un funzionario saudita e dal capo dei servizi segreti del Qatar per una serie di incontri con la controparte egiziana. Non tutti i problemi hanno trovato soluzione, ma si spera che possa succedere in un prossimo incontro a Riyad tra il presidente egiziano e il capo del Qatar. Arabia Saudita e Egitto stanno lavorando seriamente per ristabilire la vecchia alleanza dei paesi arabi pragmatici contro l’Iran, attiva al tempo di Mubarak, con l’aperto sostegno degli Stati Uniti e il consenso/silenzio di Israele.
Sfortunatamente è cambiato il Medio Oriente. Libia, Iraq e Siria soffrono a diversi livelli una forma di disintegrazione in seguito alla cosiddetta “Primavera Araba” e all’arrivo dell’islam estremista, che si è impadronito di una larga parte dell’Iraq e della Siria per fondare uno Stato fanaticamente islamico contro tutti gli Stati della regione. L’Egitto ha scampato appena in tempo il grave pericolo rappresentato dai Fratelli Musulmani. Oggi è il perno della guerra contro l’islam estremista, dopo aver fatto dell’alleanza con l’Arabia Saudita e gli Stati del Golfo una questione di vita o di morte. E’ anche venuto in soccorso del legittimo governo di Libia contro le milizie islamiche, cercando di convincere Algeria e Sudan – due Paesi minacciati dai fuorilegge libici e dall’Isis – di unirsi all’alleanza.
Nello stesso tempo il presidente egiziano persegue ostinatamente gli sforzi per migliorare la situazione economica del Paese, la chiave per la sopravvivenza del regime. Ha compiuto passi coraggiosi ma impopolari, come il taglio dei sussidi, ha lanciato un progetto ambizioso per raddoppiare il Canale di Suez, nuove zone turistiche, ampliare in molte zone del Paese i terreni coltivabili, rendere transitabili centinaia di miglia di nuove strade. Il PIL è migliorato, il deficit è iniziato a scendere, anche se in misura modesta e si stima che il Prodotto Nazionale Lordo crescerà dal 2.1 % del 2013 al 4.7 % nel 2016. Sono buone notizie, ma troppi in Egitto vivono ancora sotto la soglia di povertà, e la riduzione dei sussidi ha portato a una crescita dei prezzi dei generi di prima necessità. L’Egitto ha disperatamente bisogno di investimenti e tecnologia: 1.200 aziende internazionali fra le più importanti sono state invitate al summit che si terrà in marzo a Sharm El Sheik. Ma l’Occidente non sente ancora l’urgenza di investire.
Per questo Sisi si rivolge a Russia e Cina firmando molti contratti economici, sempre sperando che Europa e Stati Uniti se ne rendano conto e scendano in campo. Dopo tutto l’Egitto è l’unico Paese arabo con un minimo di democrazia che combatte l’islam estremista.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. I suoi editoriali escono sul Jerusalem Post. Collabora con Informazione Corretta.