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Il Manifesto Rassegna Stampa
30.12.2014 E se Michele Giorgio fosse un buon profeta ?
Sanzioni Usa contro Anp ?

Testata: Il Manifesto
Data: 30 dicembre 2014
Pagina: 6
Autore: Mivhele Giorgio
Titolo: «Stato palestinese? Sì, anzi no»

Riprendiamo dal MANIFESTO/STÜRMER di oggi, 30/12/2014, a pag. 6, il commento di Michele Giorgio.

Come sempre  il quotidiano comunista sparge a piene mani menzogna su Israele, contribuendo attivamente allo sviluppo dell'odio antisionista e antisemita in Occidente.
Michele Giorgio scrive un articolo colmo delle ormai usuali falsità su Israele: la capitale dello Stato ebraico non è riconosciuta in Gerusalemme, ma in Tel Aviv e si parla di Israele come di un Paese che occupi terra altrui - e perciò, in buona sostanza, non legittimato a e esistere.
Anche gli Usa - come da manuale nella propaganda di estrema sinistra - non vengono risparmiati, e sono definiti "gendarmi del pianeta".
Ciononostante, sottolineiamo un dato riportato da Giorgio che non trova riscontro in alcun altro quotidiano, secondo cui gli Stati Uniti starebbero pensando a sanzioni nei confronti dei palestinesi, governati da una leadership che nel migliore dei casi incita al terrorismo, nel peggiore lo pratica. Ci auguriamo che  - per una volta- Giorgio sia buon profeta.

Ecco l'articolo:


Michele Giorgio


Bin Laden: "Come è possibile che il mondo approvi le vostre azioni terroristiche?"
Arafat: "E' perché, per il momento, sono solo contro gli ebrei!"

Cambiano i volti, ma la minestra è la stessa

"Malgrado le sfide, le pressioni e i complotti, siamo in una posizione politica forte: il mondo è dalla nostra parte", sosteneva convinto l'altro giorno il presidente palestinese Abu Mazen. Il mondo o almeno una parte di esso. Di sicuro non i gendarmi del pianeta, gli Stati uniti, che ribadiscono l'intenzione di usare il veto per impedire che vada avanti l'iniziativa al Consiglio di Sicurezza dell'Onu per la fine dell'occupazione israeliana.

Tel Aviv da parte sua spara a zero su Abu Mazen. Il premier Netanyahu e alcuni dei suoi ministri accusano il leader palestinese di «terrorismo diplomatico». Parole forti, che trovano consenso nel Congresso Usa pronto, pare, a varare sanzioni economiche contro i palestinesi. Tanta agitazione per nulla. Perché, in verità, la leadership dell'Olp, o meglio di Fatah, per ora fa solo del «caos diplomatico». Ogni giorno se ne sente una nuova.

I dirigenti palestinesi rilasciano, talvolta nel giro di poche ore, dichiarazioni contrastanti che generano forti perplessità. Ieri alle 11,30 ora di New York, i rappresentanti dei Paesi arabi alle Nazioni Unite hanno cominciato ad esaminare l'ultima delle varie versioni della risoluzione destinata ai Paesi membri del Consiglio di Sicurezza. In serata, stando a radio Voce della Palestina, era atteso il via libera alla presentazione del testo che chiede il ritiro di Israele da Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. La risoluzione dovrebbe essere votata tra oggi e domani, ha assicurato al Manifesto Xavier Abu Eid, dell'ufficio dell'Olp per i rapporti con la stampa. Naturalmente i palestinesi dovranno ottenere prima i voti favorevoli alla presentazione da almeno 9 dei 15 membri del Consiglio di Sicurezza. In quel caso si andrà alla votazione, sapendo però che Washington userà il suo veto. In serata invece sono giunte le dichiarazioni del ministro degli esteri palestinese, Riad al Malki, che ha parlato di voto rinviato ai primi di gennaio per consentire nuove modifiche al testo circolato ieri.

Alcuni dirigenti di Fatah sostengono che la presidenza palestinese non avrebbe ancora rinunciato alla possibilità di coinvolgere gli Usa nella stesura della risoluzione. Ciò mentre resta ampia la confusione sul testo da presentare. All'origine era quello giordano, scritto assieme ai palestinesi. Poi sarebbe stato adottato quello francese, vago, senza scadenze, con lo scopo di ammorbidire l'opposizione degli Usa. Quindi si sarebbe di nuovo adottata la bozza giordana emendata in otto punti. Infine un compromesso tra quella di Amman e quella di Parigi. E durante una riunione del Comitato esecutivo dell'Olp, c'è stato un duro scontro tra Abu Mazen e Basam Salhi, il leader del Partito del popolo (ex comunista) che aveva chiesto spiegazioni sui continui emendamenti al testo della risoluzione. Abu Mazen sostiene di volere arrivare al più presto all'indipendenza palestinese e alla fine all'occupazione israeliana.

II tempo corre. Lui ha quasi 80 anni e a gennaio sarà il decimo anniversario della sua presidenza sino ad oggi senza risultati per il popolo palestinese. A gennaio avrà inoltre inizio il congresso di Fatah (movimento che a Capodanno compie 50 anni), che potrebbe far emergere il nome del futuro presidente dell'Anp. Il caos all'Onu tuttavia gioca contro Abu Mazen. La popolazione è perplessa e il movimento islamico Hamas, che resta in controllo di Gaza, ha chiesto il ritiro dell'iniziativa all'Onu che descrive come «catastrofica» per i diritti dei palestinesi. «L'impressione di molti è che Abu Mazen stia cercando soltanto di guadagnare tempo e di mostrarsi come un leader impegnato. In realtà anche lui sa bene che dall'iniziativa all'Onu non uscirà fuori nulla di concreto a causa del disinteresse dei governi occidentali per i diritti dei palestinesi e che i riconoscimenti della Palestina (da parte dei parlamenti europei, ndr) non cambiano nulla», afferma Diana Butto, una esperta palestinese di diritto internazionale che è stata consulente dell'ex premier Salam Fayyad e di strutture legali dell'Anp. Butto sottolinea l'impatto negativo tra i palestinesi dell'incertezza nell'Olp e si dice scettica verso una reale adesione della Palestina alla Corte Penale Internazionale minacciata da Abu Mazen se gli Usa useranno il loro potere di veto. Sullo sfondo ci sono i drammi quotidiani della popolazione palestinese.

Ieri allo svincolo di Zaatara per Nablus, soldati hanno sparato contro due adolescenti che avevano lanciato sassi contro automobili dei coloni. E' stato ucciso Imam Dweikat, 17 anni. I dati palestinesi riferiscono che Dweikat è il 50esimo ucciso in Cisgiordania dalle truppe israeliane nel 2014. Nell'anno che sta per chiudersi, il bilancio totale dei palestinesi uccisi - che include i circa 2.200 morti dell'offensiva israeliana «Margine Protettivo» della scorsa estate a Gaza - ha toccato la quota di 2.335.

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