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Informazione Corretta Rassegna Stampa
20.12.2014 Il Medio Oriente fuori controllo
Analisi di Mordechai Kedar

Testata: Informazione Corretta
Data: 20 dicembre 2014
Pagina: 1
Autore: Mordechai Kedar
Titolo: «Il Medio Oriente fuori controllo»

Il Medio Oriente fuori controllo
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)

 Ovunque si guardi, in Medio Oriente c’è il caos: massacri sanguinosi, crolli economici e disastri politici. L’atmosfera prevalente degli ultimi giorni, è quella di una situazione che sta andando fuori controllo in tutti i settori.
L’Autorità Palestinese spinge verso il riconoscimento di un proprio Stato presso il Consiglio di Sicurezza, il Parlamento Europeo, la Corte Internazionale e molte altre istituzioni, hanno cancellato, con una chiara e palese violazione, gli Accordi sottoscritti a Oslo.

Israele non ha ancora reagito seriamente a queste iniziative palestinesi, e di recente si è saputo che il Ministro Livni, cui era stata affidata la responsabilità dei negoziati con l’Autorità palestinese, è ideologicamente e politicamente a favore di chi ha architettato gli Accordi di Oslo.
Qualcuno in Israele non era attento mentre avrebbe dovuto vigilare sulle terre che la Società delle Nazioni aveva concesso al popolo ebraico durante la Conferenza di San Remo nel lontano 1920. La conseguenza delle iniziative dell’Autorità Palestinese potrebbe essere la nascita di un altro Stato arabo nella regione di Giudea e Samaria, che si trasformerà entro breve nello Stato di Hamas. Quest’ultima trasformazione potrebbe avvenire tramite elezioni, come accadde nel 2006, o con una violenta presa del potere come già successe a Gaza nel 2007.

I sondaggi d’opinione tra la popolazione araba che vive in Giudea e Samaria, dimostrano che Hamas gode più consensi di Fatah. Ecco perché gli israeliani, ma anche tutti coloro che dicono di lavorare per questa soluzione, in realtà stanno favorendo l’ascesa di un altro Stato terrorista come quello sorto a Gaza.
La dichiarazione di una guerra più grave e sanguinosa tra Hamas e Israele potrebbe essere solo una questione di tempo.

L’ISIS ha trucidato 150 donne a Falluja, in Iraq, perchè non avevano accettato di sottomettersi agli umilianti diktat dell’organizzazione islamica. A Peshawar, in Pakistan, i talebani assassini hanno preso di mira una scuola e hanno fatto 141 vittime, tra studenti e insegnanti. Nel Sudan del Sud si sta svolgendo una guerra fra tribù e i morti della giovane nazione sono già migliaia. La Libia è diventata un bagno di sangue in una guerra senza fine tra milizie tribali, mentre un’organizzazione sciita, schierata pro Iran, ha conquistato metà Yemen, compresa la capitale, Sana’a.
La battaglia che il governo egiziano ha intrapreso contro gli jihadisti nella Penisola del Sinai, continua a mietere morti su entrambi i fronti, con il regime che estende lungo il confine con Gaza una zona cuscinetto profonda un chilometro, distruggendo centinaia di case abitate nella Rafah egiziana.

Dove sono le Organizzazioni per i Diritti Umani? Dove sono gli amici di Rachel Corrie? Perché non li sentiamo né li vediamo fermare con i loro corpi i bulldozer egiziani, come fecero invece quando Israele aveva distrutto ma in misura meno profonda, il Corridoio Philadelphia?
Perché nessuna chiesa esorta al boicottaggio di Caterpillar, i cui bulldozer sono utilizzati per distruggere queste case e le vite tranquille di migliaia di persone che vi abitano?

Anche la crisi economica della Russia influenza la situazione in Medio Oriente: il crollo del rublo e i problemi dell’economia russa stanno limitando gli aiuti militari russi al regime di Assad. Le conseguenze si possono vedere nelle sconfitte che negli ultimi giorni il regime ha subito nel Nord-Ovest della Siria. Due grandi basi militari a Idlib sono cadute in mano a Jabhat al Nusra, un alleato di Al Qaeda, 100 tra soldati e ufficiali dell’esercito siriano sono stati uccisi e altri 120 fatti prigionieri. Questi ultimi possono essere utilizzati in negoziati per ottenere la liberazione di jihadisti detenuti dal regime in modo che possano rinfoltire le milizie, contribuendo ad alimentare il fuoco che arde in Siria da quasi quattro anni.

I combattenti islamici stanno operando nella regione di Idlib per due motivi:
il primo, per raggiungere la vicina regione Alawita per annientare fisicamente questa minoranza, considerata eretica e idolatra dagli islamisti, e allo stesso tempo vendicare i massacri di Hafez e Bashar Assad commessi sulla maggioranza sunnita da quando comandava Hafez Assad nel 1970, proseguendo poi con il massacro di Hama del 1982 e terminando con le stragi che avvengono a partire dal 2011.
Il secondo motivo che spiega il forte impegno di Jabhat al Nusra a Idlib, è la volontà degli islamisti di raggiungere il Mar Mediterraneo. Il controllo della costa gli permetterebbe di attaccare dal mare le roccaforti del regime nelle città costiere e impadronirsi le navi che portano armi e rifornimenti.
In più, darebbe la possibilità di esportare militanti e Jihad in Europa.

Un altro fattore che aggiunge instabilità nella regione è l’attività dell’Arabia Saudita. Non si compromette direttamente nella guerra, ma condizionando il prezzo del greggio. I sauditi recentemente hanno aumentato la produzione di petrolio in modo da invadere il mercato e abbassare i prezzi. La ragione immediata per questo passo è probabilmente da ricercarsi nei piani sauditi per rendere la produzione di greggio - in rapido sviluppo negli Stati Uniti - in un’impresa non redditizia economicamente e quindi non competitiva.
Il passo saudita ha avuto echi anche altrove: l’Iran è molto preoccupato per la diminuzione dei prezzi del petrolio perché ha un bisogno disperato di soldi e anche la crisi economica russa deriva in parte dai minori utili che il paese riesce a ottenere dalle sue esportazioni di gas e greggio.

Qualcuno crede che Paesi come l’Iran rimarranno a guardare, mentre l’Arabia Saudita nuoce alla loro economia così duramente? Tutti si rendono conto che un missile iraniano su una piattaforma petrolifera saudita non necessariamente porterebbe alla guerra, ma può certamente far salire alle stelle il prezzo del petrolio. Chi detiene il potere in Iran, nemico di vecchia data dei sauditi, non ci penserà due volte. Vale la pena notare che anche l’Arabia Saudita è stata danneggiata dai minori proventi derivanti dalle esportazioni di petrolio, ma la monarchia saudita ha enormi riserve finanziarie che le conferiscono una tranquillità economica quasi illimitata. I sauditi possono distribuire il petrolio che producono senza profitti anche per un anno, senza gravi danni per la loro economia.

Israele, l’isola di stabilità in Medio Oriente, è ora presa nel vortice di una campagna elettorale, che porta naturalmente a una qualche incertezza sul futuro: la coalizione che uscirà dalle elezioni, sarà di centro-destra o di centro -sinistra? Chi verrà eletto cederà alle vane speranze di coloro che in Israele e fuori credono nel delirio dei due Stati, o porterà un elemento di razionalità nel pensiero politico israeliano e si rifiuterà di prendere in considerazione una politica che potrebbe consentire la creazione di un altro Stato del terrore in Medio Oriente, questa volta sulle alture della Giudea e Samaria, il luogo di origine del popolo ebraico?

Durante Hanukkah, che stiamo celebrando in questi giorni, ricordiamo i miracoli che i nostri antenati hanno vissuto nella guerra contro i conquistatori greci e in quella culturale che hanno condotto contro gli ebrei ellenizzati che stavano in mezzo a loro, e che si erano schierati con il nemico. Le sfide affrontate allora, sono incredibilmente simili a quelle che il popolo ebraico deve fronteggiare oggi.

Possa Dio concedere la vittoria a coloro che sono fedeli a Lui oggi, proprio come fece allora.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi


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