Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 20/12/2014, a pag.8, con il titolo "L'ombra di Dahlan sulla Palestina ", la cronaca di Michele Giorgio.
Il titolo riflette correttamente il contenuto. Per Giorgio Mohammed Dhalan rappresenta " un'ombra sulla Palestina", quindi un nemico. Poco importa che oggi, a quanto riferisce lo stesso Giorgio, intrattenga rapporti con Hamas, Dahlan ha su di sè la macchia di avere intrattenuto colloqui con Usa e Israele quando rappresentava il Fatah a Gaza. Quanto basta per un deciso pollice verso. Su Dahlan non si è mai saputo molto, di certo è sempre stato uomo ambizioso e potente, fino al momento in cui ha sfidato Abu Mazen. Non è detto che in un futuro prossimo possa rivelarsi un interlocutore, pragmatico lo è sempre stato. Ma non lo si è mai potuto definire un odiatore di Israele, da qui la scarsa considerazione di Michel Giorgio. L'ideologia terrorista continua ad ammorbare le stanze del quotidiano comunista.
Michele Giorgio Mohammed Dahlan
Ecco l'articolo:
Gtovedì migliaia di palestinesi sono scesi nelle strade di Gaza inneggiando al loro leader, Mohammed DahIan, sotto processo in contumacia, urlando slogan contro Abu Mazen. Altre centinaia a Ramallah hanno sfidato le fore di sicurezza dell'Autorità nazionale palestinese scandendo «Abu Mazen traditore» «Abu Mazen dittatore». Parole simili a quelle usate da Dahlan che qualche ora prima aveva attaccato a fondo il suo nemico e presidente palestinese che nel 2011, dopo uno scontro con pochi precedenti ai vertici di Fatah, era riuscito a buttarlo fuori dal partito e poi a farlo condannare a due anni di carcere per diffamazione e, ora, a farlo processare per corruzione.
Mentre i pro Dahlan giovedì sfilavano, il presidente palestinese si affannava a raffreddare i toni dello scontro con gli Stati Uniti. Scontro in corso al Consiglio di Sicurezza Onu dove l'Amministrazione Obama ha ribadito che userà il veto contro l'approvazione della risoluzione palestinese, presentata mercoledì sera dalla Giordania, che prevede un accordo di pace con Israele entro 12 mesi e il completamento del ritiro israeliano dalla Cisgiordania entro il 2017. «La nostra risoluzione ha lo scopo di definire una data per la fine dell' occupazione israeliana», ha spiegato Abu Mazen due giorni fa. «Siamo favorevoli - ha aggiunto - a una Conferenza internazionale sui negoziati ma questi non devono durare oltre un anno». In corso non c'è solo la partita tra Abu Mazen e il premier israeliano Netanyahu, che si svolge ormai ogni giorno sui tavoli della diplomazia del mondo.
È cominciata infatti la corsa alla presidenza palestinese alla quale Mohammed Dahlan intende partecipare. Ex uomo forte di Fatah - nonostante la sua espulsione, guida ancora una nutrita pattuglia di sostenitori all'interno del partito - ed ex potente capo della sicurezza preventiva a Gaza (dove è nato e cresciuto, a Khan Yunis), Dahlan dopo aver combattuto, in evidente cooperazione con gli Stati Uniti e Israele, una lunga battaglia contro Hamas, è poi giunto allo scontro con Abu Mazen senza esclusione di colpi. Scontro cominciato dopo la bruciante sconfitta subita da Fatah e l'Anp nel giugno 2007 quando il movimento islamico ha preso il potere a Gaza. E che si è fatto più violento quando Abu Mazen ha deciso di usare le maniere forti e di espellere il rivale da Fatah, con l'accusa di aver tentato un «colpo di stato».
Da allora Dahlan ha vissuto tra il Cairo e Dubai, non mancando di stringere influenti amicizie e di ottenere da importanti uomini d'affari arabi finanziamenti per la sua ong, braccio esecutivo delle sue iniziative nei Territori occupati. La prossima udienza si terrà il 28 dicembre e Dahlan è intenzionato ad usare il processo in corso per lanciare un nuovo forte attacco alla presidenza palestinese e proporsi come possibile candidato alla guida dell'Anp al posto dell'anziano rivale. Sfruttando anche il via libera (di fatto) ottenuto dai leader di Hamas, un tempo suoi nemici e oggi interessati a cogliere un'opportunità per dare fastidio ad Abu Mazen e Fatah. Già un anno fa si parlò con insistenza di una intesa segreta tra gli islamisti e Dahlan in vista di una possibile corsa per la carica di leader dell'Anp. In cambio dei voti per diventare presidente, Dahlan avrebbe promesso che affiderà l'incarico di premier in Cisgiordania e Gaza ad un esponente di Hamas. I dirigenti del movimento islamico negarono tutto e negano ancora oggi, eppure di quella intesa si continua a parlare. E la minaccia di Dahlan deve essere davvero concreta se Abu Mazen ha «licenziato» in queste settimane un centinaio di uomini, tra comandanti e agenti, dei servizi di sicurezza ritenuti vicini al suo rivale, accusandoli di violare le regole di comportamento delle forze militari dell'Anp. Non solo. Ha anche «pensionato» Jamal Zakout, consigliere dell'ex premier Salam Fayyad (ora avversario di Abu Mazen) e tra i leader della prima Intifada.
Così oltre alla mancata soluzione dei contrasti tra Fatah e Hamas - malgrado l'accordo di riconciliazione tra i due partiti firmato ad aprile - i palestinesi continuano a presentarsi divisi e con un'alta conflittualità interna agli appuntamenti internazionali sul futuro della loro terra. Al Palazzo di Vetro di New York si continua infatti a trattare per evitare il veto degli Usa che, tuttavia, hanno seccamente bocciato il testo della risoluzione palestinese, in appoggio agli alleati israeliani. I tempi del voto si allungano e i palestinesi dopo aver già fatto delle concessioni - come estendere da due a tre anni il ritiro graduale di Israele dalla Cisgiordania - hanno fatto sapere che sono disposti a farne altre. «Continueremo a negoziare con tutti, anche con gli americani se saranno ben disposti», ha spiegato l'ambasciatore palestinese all'Onu Riad Mansour. Ma anche lui sa bene che Washington eviterà di farsi coinvolgere nella trattativa. Perché la posizione concondata dal Segretario di stato John Kerry e Netanyahu, nell'incontro di lunedì scorso a Roma, prevede il rifiuto di ogni intervento diretto dell'Onu nella soluzione del conflitto israelo-palestinese e il proseguimento dell'inutile negoziato a singhiozzo (mediato dagli Usa) al quale assistiamo da oltre venti anni, tra una Intifada e l'altra, tra una guerra e una tregua a Gaza.
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