Mano nera
Frediano Sessi
Marsilio euro 17
Quanto è stato dimenticato — oltre ai grandi numeri, ai grandi nomi — dei crimini del Terzo Reich, e delle sue vittime, e degli eroi antinazisti? Frediano Sessi, dopo numerosi titoli sull'antisemitismo hitleriano e non solo, ci racconta un piccolo grande nuovo capitolo quasi ignorato della Seconda Guerra Mondiale, avvenuto in Alsazia, una regione che insieme alla Mosella nel giro di poco più di 70 anni fu costretta a cambiare appartenenza quattro volte dopo altrettanti conflitti, da francese a tedesca nel 1871, poi di nuovo francese nel 1918, ancora tedesca con l'annessione al Terzo Reich del 1940, e grazie agli americani, liberata definitivamente tra il '44 e il '45. Con Hitler e la sua teoria della razza, l'idea che questo popolo fosse perfettamente ariano, tutto precipitò: la germanizzazione si impose nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nelle istituzioni, per le strade. Furono espulsi gli impuri, si proibì di parlare, di cantare, in francese. Si spedirono al fronte i "Malgré-Nous", i soldati arruolati nella Wehrmacht malgrado non volessero: 100.000 ragazzi, 22.000 morirono, 10 000 i mutilati gravi. Ci furono anche i collaborazionisti, chiaro. E in questo drammatico vortice che si incrociano due storie quasi cadute nell'oblio, quella di un aguzzino e quella di un manipolo di giovanissimi ribelli, minorenni tra i 14 e i 17 anni ( solo uno era maggiorenne ), che a Strasburgo resistettero all'invasore in nome della Francia, della libertà, e anche di Dio. Fu Marcel Weinum a fondare la Mano Nera. Era il 1940 e lui era un sedicenne molto credente. Creò un gruppo d'azione insieme ad altri pulcini di uomini. Raccoglievano armi e esplosivi, scrivevano "Viva de Gaulle" sui muri, infrangevano le vetrine con immagini naziste, danneggiavano le auto degli ufficiali fino a far saltare quella del Gauleiter, minavano depositi, prendevano contatto oltre frontiera con diplomatici inglesi per fornire dati sul nemico. Incredibile, erano degli eroi. Furono catturati, torturati, mandati a Schirmeck, lager di rieducazione dei ribelli, talvolta per essere poi arruolati di forza, talvolta giustiziati. Eroi. La loro nobile storia si incontrò con quella buia di Eugen Haagen, virologo tedesco di fama a capo dell'Istituto di Igiene di Strasburgo. Nel campo di Schirmeck e più tardi in quello del vicino Struthof (dove c'era anche una camera a gas per chi non resisteva alla prova ) si dedicò a testare i suoi vaccini per la febbre gialla, il tifo ed altre malattie contagiose su esseri umani. Quando gli mancavano, ne chiedeva di nuovi, zingari e polacchi preferibilmente, subumani dal suo punto di vista. Ne morirono molti. I nostri ragazzi tentarono di colpirlo. Lui morì tranquillo nel suo Ietto nel 1972 da stimato scienziato, dopo aver ripreso il suo lavoro di ricerca nel 1956. Eppure tra tutti i medici dell'Alsazia fu quello che utilizzò più cavie umane.
Susanna Nirenstein - La Repubblica