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La Stampa - Il Giornale Rassegna Stampa
10.12.2014 Cia: la verità deve venire a galla, ma non sia un premio ai terroristi
Interviste di Maurizio Molinari a Michael Walzer, di Paolo Mastrolilli a Kurt Volker, commento di Gian Micalessin

Testata:La Stampa - Il Giornale
Autore: Maurizio Molinari - Paolo Mastrolilli - Gian Micalessin
Titolo: «'Era giusto sapere: la lotta al terrore avrà più consensi' - 'Metodi sbagliati: ma il rapporto è un regalo all'Isis' - Sarà solo un processo all'anti-terrorismo»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/12/2014, a pag. 13, con il titolo "Era giusto sapere: la lotta al terrore avrà più consensi", l'intervista di Maurizio Molinari a Michael Walzer; con il titolo "Metodi sbagliati: ma il rapporto è un regalo all'Isis", l'intervista di Paolo Mastrolilli  a Kurt Volker; dal GIORNALE, a pag. 18, con il titolo "Sarà solo un processo all'anti-terrorismo", il commento di Gian Micalessin.


L'attacco alle Torri gemelle

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Era giusto sapere: la lotta al terrore avrà più consensi"


Maurizio Molinari                Michael Walzer

«Comprendo i timori sulle ripercussioni per i cittadini americani nel mondo ma la pubblicazione del rapporto sulle torture della Cia è giusta». Michael Walzer, direttore di «Dissent» e coscienza critica dei liberal in America, parla dallo studio all’ateneo di Princeton con l’intento di spiegare perché «la necessità di trasparenza prevale sui timori relativi alla sicurezza».
L’amministrazione Obama teme reazioni violente alla pubblicazione dell’indagine. Perché affrontare tali rischi?
«Condivido i timori di pericoli per gli americani nel mondo. Sono rischi che esistono, di cui è giusto tenere conto e che, suppongo, da tempo siano al centro della prevenzione. Anche perché si sapeva che questo rapporto sarebbe stato pubblicato. Comprendere i pericoli non significa però accettare che si trasformino in veto sulla trasparenza sull’operato della Cia».
Una trasparenza necessaria?
«Il motivo ha che vedere con la Costituzione americana e con le nostre leggi che vietano la tortura di chiunque. Non vi sono giustificazioni. È un pilastro della legislazione americana a protezione dell’individuo. In risposta agli attacchi dell’11 settembre 2001, l’amministrazione Bush iniziò una guerra al terrorismo con pratiche che, ammetto, deve essere molto difficile cambiare ma ciò non toglie che resta l’obbligo di far sapere se la Costituzione è stata violata. Obama assunse un preciso impegno nella campagna elettorale del 2008 e lo sta rispettando».
In realtà l’amministrazione Obama ha fatto pressione sui leader democratici del Congresso per rinviare la pubblicazione...
«La promessa la fece Obama da candidato e ora i leader democratici del Congresso la mantengono. Se l’amministrazione fa resistenza è perché all’interno c’è chi ha obiettato sulle ripercussioni per sicurezza ma, ribadisco, ciò non può impedire di sapere se, quando e da chi è stata praticata la tortura».
Che si aspetta dal dibattito pubblico sui «brutali interrogatori»?
«Il dibattito in America è iniziato con la pubblicazione delle prime ammissioni sul “waterboarding” nei confronti di alcuni terroristi. Sono seguite altre rivelazioni, sulle detenzioni segrete, ma adesso questo rapporto garantisce di fare piena luce sull’operato della Cia. È stata la forza del dibattito pubblico che ha portato alla pubblicazione del rapporto».
Ma nell’«intelligence community» c’è chi obietta che ciò nuocerà alla guerra al terrorismo...
«Non lo credo. Per due ragioni. La prima è che la guerra al terrorismo è una vasta operazione di polizia segreta che non viene certo svelata dal Congresso. L’altro motivo ha a che vedere con l’impatto delle rivelazioni. A mio avviso avranno conseguenze positive in America, aumentando il consenso popolare per la lotta al terrorismo e forse reazioni di questo tipo si avranno in altri Paesi del mondo. Quando l’America combatte i nemici rispettando le proprie leggi si rafforza, non si indebolisce».

 LA STAMPA - Paolo Mastrolilli: "Metodi sbagliati: ma il rapporto è un regalo all'Isis"


Paolo Mastrolilli       Kurt Volker

«Abbiamo sbagliato, ma questo rapporto è un regalo ad al Qaeda, all’Isis, e a tutti i gruppi terroristici che vogliono colpire gli Stati Uniti e i nostri alleati». Durante l’amministrazione Bush, Kurt Volker è stato prima assistente segretario di Stato per l’Europa, e poi ambasciatore alla Nato. In altre parole, al centro dello scandalo torture.
Cosa avete sbagliato?
«Ad esempio le prigioni segrete, in buona parte basate in Europa, dove avvenivano gli interrogatori».
L’Italia è stata coinvolta in questo aspetto, con l’extraordinary rendition dell’Imam di Milano di Abu Omar.
«In generale, questi metodi sono stati un errore».
Lei avrebbe praticato il «water boarding» sui prigionieri accusati di terrorismo?
«No, anche perché sappiamo che le informazioni raccolte con questi sistemi non sono attendibili. Nello stesso tempo, però, non sono sicuro che sia giusto analizzare col senno di poi le attività di persone che dovevano proteggere il nostro Paese, mentre c’erano motivi validi per ritenere che fossimo davanti alla minaccia imminente di un attacco terroristico. In altre parole, erano metodi sbagliati, ma bisogna anche capire la pressione sotto cui si trovavano gli uomini che li hanno applicati».
Il rapporto accusa anche la Cia di aver mentito a voi, al governo.
«Le agenzie di intelligence lavorano per comparti, proprio per evitare la dispersione delle informazioni, e quindi è normale che ognuno conosca solo gli elementi necessari alla propria missione. Al livello di vertice, però, tutti devono avere tutte le informazioni: se ci hanno mentito, sarebbe uno choc».
Lei, da sottosegretario e ambasciatore, ha mai avuto la sensazione che la Cia non le dicesse tutto?
«No, ma questo non vuol dire che non sia accaduto».
Tutto ciò non giustificava un’inchiesta?
«Certo, siamo tutti d’accordo sul fatto che fosse necessaria».
E allora quali sono le sue obiezioni?
«In questi casi, le inchieste dovrebbero servire a capire cosa non ha funzionato e come correggerlo. Tra l’altro l’amministrazione Bush aveva già interrotto queste pratiche fra il 2005 e il 2006, e quella Obama non le ha proseguite».
Perché il rapporto del Senato è dannoso?
«Due motivi. Il primo è che aiuta al Qaeda, l’Isis e tutti i gruppi terroristici, che come abbiamo visto si stanno rafforzando soprattutto in Siria, Iraq e Africa settentrionale. Questi nemici degli Stati Uniti prenderanno il rapporto come un segno di debolezza, e lo useranno per fomentare la gente contro di noi. Il secondo motivo è politico. L’inchiesta è stata voluta e gestita dai democratici, con il solo scopo di infangare la nostra amministrazione. Agire in questa maniera non è nell’interesse della sicurezza del Paese: bisognava condurre un’inchiesta bipartisan rapida seria, tenerla riservata, e usare con discrezione i suoi risultati per correggere gli errori, non per umiliare una parte politica e l’intero Paese».

IL GIORNALE - Gian Micalessin: "Sarà solo un processo all'anti-terrorismo"


Gian Micalessin


"No democrazia, vogliamo solo l'islam"

La guerra al terrorismo è finita. E non perché il nemico sia stato sconfitto, ma semplicemente perché il suo principale avversario ha accettato di farsi da parte. Con la pubblicazione del rapporto che equipara alla «tortura» le cosiddette «tecniche d'interrogatorio intensificate» approvate dopo l'11 settembre Barak Obama porta alle estreme conseguenze quel processo di smantellamento dell'immagine dell'America perseguita con certosina meticolosità dopo la salita alla Casa Bianca. Quel che sopravvive alla devastante opera di Obama è un colosso privo di legittimità morale incapace d'imporre al mondo linee e scelte politiche. E tantomeno di guidare un qualsiasi intervento militare. Quest'ultimo capolavoro di autolesionismo è l'atto finale di un'operazione di delegittimazione perseguita per sei lunghi anni. Sei anni durante i quali Obama ha progressivamente ridisegnato il profilo dell'America sostituendo la sua immagine di nazione campione dei valori liberali e occidentali con quella di un gigante avulso ed indifferente incapace non solo d'incutere timore ai propri nemici, ma anche di rassicurare i propri alleati. Il peccato originale risale a poco dopo l'elezione quando un Obama convinto di dover rinnegare in maniera totale ed evidente le scelte del suo predecessore non esita a tendere la mano a quel movimento dei Fratelli Musulmani da cui sono germinati Al Qaida prima e lo Stato Islamico poi. Non pago getta alle ortiche la vittoria conseguita in Iraq lasciando spazio alla nascita del Califfato e collaborando fattivamente alla caduta di quei regimi di Libia, Tunisia ed Egitto che per trent'anni hanno impedito l'avanzata della follia integralista in Egitto e Nord Africa. Ma la pubblicazione del rapporto sulle torture non è solo il cesello finale di questa sistematica opera di distruzione. Il sì di Obama a quest'atto di devastante autolesionismo segnala anche la debolezza di un presidente incapace di opporsi alle visioni messianiche della senatrice Dianne Feinstein e dagli altri membri democratici della commissione intelligence del Senato convinti di poter riabilitare l'America esponendone peccati e colpe. Colpe peraltro abbastanza circoscritte visto che il rapporto s'incentra sugli interrogatori di una ventina di terroristi e su soli tre casi di «waterboarding», la tecnica di soffocamento simulato utilizzata dalla Cia. A fronte della convinzione di dover riparare agli abusi commessi peraltro anche sull'onda dell'emozione generata dall'11 settembre la Feinstein e gli autori del rapporto non sono però disposti a riconoscere che quei tre casi di "waterboarding" e quei venti casi di tortura hanno consentito agli Stati Uniti d' individuare il covo di Osama Bin Laden e mettere con le spalle al muro Al Qaida. Come non sono neppure disposti ad ascoltare le valutazioni di quanti all'interno della stessa Amministrazione ricordano come la pubblicazione del rapporto rischi di generare una nuova spirale d'odio anti americana. Inebriati dal mito della trasparenza e del "politicamente corretto" arrivano a sostenerli fino al punto di mettere a rischio la sicurezza nazionale e le vite dei loro connazionali. Prigionieri di questa deriva masochista diventano, assieme al loro debole e ininfluente presidente il simbolo di un America democratica, arrendevole e autolesionista. Un'America quasi compiaciuta nell'attribuirsi quelle torture che la spogliano di ogni residua autorità morale e la rendono definitivamente incapace di guidare la lotta al terrorismo.

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