Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/12/2014, a pag. 16, con il titolo "Ma Israele più dell'Isis teme Hezbollah", il commento di Maurizio Molinari; dal GIORNALE, a pag. 12, con il titolo "Quell'arsenale da cui Israele deve difendersi", il commento di Fiamma Nirenstein; da LIBERO, a pag. 1-13, con il titolo "Sul Golan con gli israeliani contro Assad, Isis e Al Qaeda", il reportage di Fausto Carioti.
Miliziani di Jabhat al-Nusra nella Sirai meridionale, vicino al confine con il Golan israeliano
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Ma Israele più dell'Isis teme Hezbollah"
Maurizio Molinari
Il blitz israeliano in Siria ha assestato un duro colpo agli Hezbollah e la risposta arriva da Teheran e Mosca. Sono i media libanesi e siriani a descrivere nei particolari quanto avvenuto: gli aerei di Gerusalemme hanno colpito contenitori di missili terra-aria, terra-terra e terra-mare, di produzione russa o iraniana, in almeno due depositi ed hanno anche bersagliato un convoglio di Hezbollah che si stava dirigendo verso il Libano, causando la morte di due miliziani filo-iraniani incluso un alto ufficiale. È stato un raid condotto di giorno, da almeno 8 jet e nei depositi siriani colpiti, all’aeroporto di Damasco e Dimas, vi erano anche droni iraniani destinati sempre a Hezbollah. Sebbene dal gennaio 2013 Israele aveva già colpito in cinque occasioni dentro la Siria armamenti destinati a Hezbollah, questa volta si è trattato di un raid più esteso: per durata e obiettivi. Ecco perché il ministro degli Affari Strategici, Yuval Steinitz, parla del «risultato di mesi di raccolta di intelligence» e il premier Benjamin Netanyahu ribadisce che «restiamo con il dito sul bottone per colpire i nostri nemici» pur in assenza di un’ammissione di responsabilità formale. Ad avvalorare l’impressione che si sia trattato di un salto di qualità nei raid israeliani in Siria, ci sono le reazioni di Teheran e Mosca. Nella capitale iraniana il ministro degli Esteri Javad Zarif accoglie il collega siriano Walid Muallem, nella cornice di una conferenza contro il terrorismo, parlando dello Stato ebraico come di un protagonista attivo nel conflitto in atto. «Israela aiuta i ribelli islamici a compensare le perdite subite» afferma Muallem e Zarif aggiunge: «La Siria deve far venir meno questi appoggi ai terroristi». La presenza al tavolo del ministro di Baghdad accresce la dimensione regionale. Ad avvalorare la minaccia siriana di considerare Israele alleato dei gruppi anti-Assad arrivano le parole di Alexander Prokhanov, consigliere di Putin, secondo il quale «agenti del Mossad addestrano Isis in Iraq e Siria» perché «Isis è uno strumento dell’America in Medio Oriente». L’irritazione di Mosca diventa formale con Alexander Lukashevich, portavoce del ministero degli Esteri, che chiede a Israele una «formale spiegazione». Nulla da sorprendersi se sul confine israelo-libanese-siriano le truppe sono in allerta.
IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Quell'arsenale da cui Israele deve difendersi"
Fiamma Nirenstein
L'attacco areo israeliano (mai confermato) di domenica è avvenuto nella piena luce del giorno. I sei velivoli da guerra dell'esercito hanno lasciato che il loro rombo e le dieci esplosioni causate dal bombardamento dei siti stipati di armi letali dirette agli Hezbollah, si sentissero bene. I due siti sono lontani fra di loro, uno vicino all'aeroporto di Damasco, e l'altro presso Dimas, verso il confine libanese.
L'aereoporto è in genere la meta delle armi iraniane o russe destinate agli Hezbollah. Potrebbe aver innescato l'azione l'arrivo di missili paricolarmente potenti e pericolosi, come accadde quando Israele attaccò il trasporto di febbraio e prima quello del maggio 2013. Fu in quel maggio che i missili Fateh 110 arrivarono in aereo dall'Iran e la notte successiva un sito di stoccaggio presso il confine libanese fu distrutto. Nei casi citati, non ci sono state reazioni siriane, e anche adesso sembra difficile che Assad, con tutti i problemi che ha, si metta in aperto scontro con Israele. Gli Hezbollah, invece, che pare abbiano avuto due uomini uccisi nell'attacco, potrebbero come hanno fatto a febbraio rispondere con azioni di confine. In genere si è trattato di bombe al lato della strada che in un caso hanno ferito tre soldati israeliani: la risposta, costruita per recuperare la pubblica opinione libanese che li critica per il sostegno a Assad, ha sventolato il drappo della «resistenza» a Israele. Anche adesso, non è peregrino pensare a azioni di rappresaglia. La «resistenza» come loro chiamano l'odio per Israele pilotato dall'Iran, è la loro ragione di vita.
L'attacco aereo di Israele è stato programmato con cura sulla base di informazioni allarmanti, le dietrologie che lo attribuiscono a un gesto di propaganda di Netanyahu prima delle elezioni non tengono conto dei meccanismi quasi matematici che determinano le scelte dell'esercito. Gli Hezbollah sono ormai, grazie al giro Iran-Russia-Siria, la quinta potenza del mondo per potenza di fuoco, si stima che la sua forza balistica ammonti a circa 100mila missili di varie dimensioni, e tutti puntati su Israele. Se si può arguire che ogni volta che un carico pericoloso si avvia nelle mani degli Hezbollah, Israele interviene, viene da pensare che adesso che il futuro delle trattative con l'Iran è incerto e che Israele potrebbe essere costretto un giorno a intervenire contro i reattori nucleari, sia diventato indispensabile contenere la più agguerrita delle armi iraniane: Hassan Nasrallah.
La reazione del mondo arabo e anche della Russia sono state paradossali: intanto, Assad fa ripetere dalle sue tv e sparge fra la gente la ridicola supposizione che Israele sostenga Isis. Il ministro degli esteri siriano Walid Moallem e il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif insieme spiegano che fa causa comune con i terroristi e si rivolgono all'Onu perché sanzioni il comportamente aggressivo e «terrorista» di Gerusalemme. E si è fatta viva anche Mosca, che ha chiesto «chiarificazioni» per gli attacchi israeliani. Se Israele volesse dare queste chiarificazioni, non potrebbe fare a meno di domandare a sua volta per quali ragioni la Russia, se non la disponibilità a pagare il prezzo della distruzione di Israele per un pò di egemonia sulle mobili sabbie del Medio Oriente, continua a rifornire Assad e Nasrallah di armi.
LIBERO - Fausto Carioti: "Sul Golan con gli israeliani contro Assad, Isis e Al Qaeda"
Tratteggiate in rosso, le alture del Golan
Fa freddo, qualche chilometro più in là le cime sono coperte di neve. Dalla sommità delle alture del Golan, al confine con la Siria, i soldati d'Israele controllano con i binocoli la valle che in teoria dovrebbe costituire la «buffer zone», la fascia di sicurezza smilitarizzata disegnata dalle Nazioni Unite, sapendo che presto da qui, anche per loro, arriveranno brutte notizie.
Di smilitarizzato laggiù non c'è ovviamente nulla: ogni notte nella città fantasma di Quneitra le milizie islamiste combattono contro gli uomini di Assad. Bombe e pallottole le cui prime vittime sono come sempre i civili. Chi ha i contatti giusti riesce a farsi portare al posto di controllo israeliano, dove i soldati trasportano i feriti allo Ziv Medical Center di Zafed, trenta chilometri dalla parte opposta. Le Nazioni Unite sono presenti in questa zona dal 1974 con gli osservatori dell'Undof. Un totale di 1.178 uomini, ma appostati sulle trincee qui sopra, a pochi metri dagli israeliani, se ne vedono solo due: un casco blu svedese e uno olandese. Educati, sorridenti, paiono messi lì apposta per farsi fotografare.
Che quella dell'Onu sia una presenza essenzialmente coreografica gli israeliani lo hanno capito da tempo. Il bar-rifugio che vende cibo, bevande e souvenir a chi arriva quassù lo hanno ribattezzato «Coffe Annan»: un gioco tra le parole ebraiche che significano «caffè tra le nuvole» e il nome dell'ex segretario generale delle Nazioni Unite, il ghanese Kofi Annan, i cui estimatori israeliani, se esistono, non superano le dita di una mano. Gli analisti del ministero della Difesa a Tel Aviv ti dicono senza giri di parole che «Syria is dead», al pari di Iraq e Libano.
E' la fine dell'ordine fondato sugli Stati-nazione, innescata da quella primavera araba che aveva tanto entusiasmato gli osservatori europei e che ha finito per aprire la strada ai macellai dell'Isis, che qui preferiscono chiamare con la sigla araba Daesh, e ai mujaheddin di Jabhat al-Nusra, affiliati di Al Qaeda. Vista con i binocoli dei militari dalle alture del Golan la Siria di Bashar al-Assad sembra però dura a morire. A spiegare la situazione provvede un capitano israeliano. Sarà sulla trentina, il che fa di lui un veterano in un esercito composto di giovanissimi e dove è facile incontrare ragazzi di venticinque anni che questa estate hanno operato in territorio nemico, nella striscia di Gaza, per chiudere i tunnel scavati da Hamas per portare il terrore dentro Israele.
L'ufficiale non vuole rendere noto il proprio cognome. Vietato fotografarlo. Spiega che l'esercito di Assad non è quello di un tempo, ma è ancora forte e organizzato. Di sicuro, in questo momento lo è più dei ribelli che gli si oppongono. Se non ha soppresso le milizie nemiche è per una questione di priorità: per Damasco adesso i fronti più importanti sono altri, il turno del Golan verrà dopo. L'esito non è comunque scontato. In attesa di usare i fucili gli israeliani fanno un gran lavoro d'intelligence. Infiltrare i guerriglieri è difficile, ammette il capitano, ma non impossibile. Dalle informazioni raccolte risulta che ad operare contro l'esercito siriano ci siano adesso un migliaio di uomini, ma il numero è relativo. «In breve tempo ne possono portare qui molti di più», spiega. A fronteggiare Assad sono stati dapprima i locali: sunniti, drusi, persino i discendenti dei circassi. Col tempo si sono aggiunti combattenti provenienti dall'Iraq e da altri fronti. Hanno agende diverse: alcuni sparano per deporre Assad e instaurare la democrazia, o almeno qualcosa che le assomigli. Altri si battono per l'indipendenza. Molti lo fanno per il grande Califfato, e sono questi che Israele teme di più.
L'Islam è l'unico vero collante di tutti quelli che si oppongono ad Assad. «Hanno detto che vogliono arrivare a Roma, ed è chiaro che Gerusalemme rappresenta una tappa del percorso», dice l'ufficiale dell'intelligence. E' convinto che sia solo questione di tempo prima che Jabhat al-Nusra rivolga le proprie attenzioni verso Israele, se non altro per il prestigio che otterrebbe nel mondo islamico sfidando i sionisti. In questo, lui e gli analisti del governo la pensano allo stesso modo. Il che non impedisce a Israele, quando serve, di giocare un ruolo attivo contro Assad. Come ha fatto domenica bombardando, vicino a Damasco, depositi di droni e missili anti-aerei che sarebbero stati destinati agli Hezbollah in Libano. Pur senza confermare la paternità del raid aereo, il ministro dell'Intelligence, Yuval Steinitz, ieri ha spiegato che la priorità è impedire che armi tanto sofisticate cadano nelle mani di terroristi.
Un recente rapporto Onu parla anche di contatti sempre più frequenti tra truppe israeliane e «ribelli siriani» e sostiene che alcuni di questi sono stati curati negli ospedali israeliani. Allo Ziv Medical Center non ne fa mistero nessuno.Anzi, ne vanno orgogliosi. «Curiamo tutti, senza chiedere da che parte stanno», spiega con un italiano perfetto il vicedirettore Calin Shapira. Molti dei pazienti che arrivano dalla Siria sono bambini, ma ci sono anche uomini tra i diciassette e i quarant'anni che con ogni probabilità pochi giorni prima imbracciavano un fucile. Gli chiedi se essere stati salvati da un ospedale israeliano gli ha fatto cambiare opinione sugli ebrei e si guardano imbarazzati. Finché uno di loro, il più anziano, barba lunga e fisico da battaglia, se la cava con la risposta più diplomatica che può: «In parte, sotto certi aspetti, sl...».
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