Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/12/2014, a pag. 13, con il titolo "Pamuk sfida Erdogan: 'Nella sua Turchia ormai regna la paura' ", il commento di Marta Ottaviani, che riporta le dichiarazioni dello scrittore Premio Nobel turco Orhan Pamuk.
Riflessione: da quando Pamuk è diventato un aperto - e coraggioso - avversario di Erdogan è quasi scomparso dalle pagine dei nostri quotidiani. Onore a Marta Ottaviani per il suo articolo.
Marta Ottaviani Recep Tayyip Erdogan
Orhan Pamuk
Un Paese dove i giornalisti stanno perdendo il loro posto di lavoro, un luogo dove la libertà di espressione è sempre più a rischio e dove l’atmosfera predominante è quella della paura. Si parla della Turchia e ad avere pronunciato queste parole è niente meno che il premio Nobel per la Leratura, Orhan Pamuk. In un’intervista al quotidiano «Hurriyet», lo scrittore turco ha detto: «La cosa peggiore è che c’è un clima di paura. Trovo che tutti abbiano paura, questo non è normale. La libertà di espressione è giunta a un livello molto basso».
Pamuk ha poi parlato anche della libertà di stampa nel Paese. «Molti miei amici – ha continuato l’autore di Il mio nome è rosso e Il Museo dell’Innocenza – mi hanno detto che loro colleghi hanno perso il posto di lavoro. Adesso, persino reporter vicini al governo hanno iniziato a essere infastiditi».
Stando a un report pubblicato dall’opposizione in parlamento a novembre, dal 2002, ossia da quando l’Akp, il Partito islamico-moderato per la Giustizia e lo Sviluppo, ha preso il potere, 1800 giornalisti hanno perso il posto di lavoro. La maggior parte è stata licenziata perché non gradita all’attuale Presidente della Repubblica, già Primo Ministro per 12 anni, Recep Tayyip Erdogan e ai suoi fedelissimi.
Da anni si sapeva che in Turchia la stampa è sotto la lente di ingrandimento da parte delle autorità di Ankara. Nel 2006 i quotidiani di opposizione pubblicarono schede che arrivavano dalla Presidenza del Consiglio, in cui erano segnalate testate e singoli giornalisti, con annesso livello di gradimento e quanto si dimostravano ricettivi davanti a pressioni o lusinghe.
Con il passare degli anni, il giro di vite sulla stampa è divenuto sempre più evidente, arrivando all’apice dopo la vittoria di Erdogan alle politiche del 2011 e soprattutto dopo la fine della rivolta di Gezi Park. In quell’occasione furono 53 i giornalisti che persero il loro lavoro, fra quelli licenziati o costretti alle dimissioni. Il quotidiano di opposizione «Radikal» ha smesso di uscire in edicola, motivazione ufficiale la crisi economica, e ora si legge solo online. Più di una volta Erdogan ha criticato non solo la stampa nazionale, ma anche quella straniera, accusata di fare parte di un complotto internazionale per screditare la Turchia.
Lo scorso anno decine di intellettuali turchi hanno sottoscritto un appello per chiedere la liberazione dei 73 scrittori che al momento si trovano in carcere.
Non è la prima volta che Pamuk balza agli onori delle cronache per le sue dichiarazioni. Era già successo nel 2006, anno in cui vinse il Nobel, in cui, durante un’intervista a un settimanale svizzero, parlò del genocidio armeno e della questione curda.
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