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Anche nel campo dell'arte Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici, io vado sostenendo da tempo che Auschwitz non è mai stata chiusa davvero, che noi in Europa viviamo il privilegio momentaneo di una tregua di cui molti segnali annunciano però la fine non troppo lontana. Tutto ciò ha a che fare con la mentalità dell'Europa, con la sua politica, con il fondersi dell'aggressività antisemita degli islamisti con il nichilismo di ciò che resta della sinistra. Grandi temi, che mi sforzo di discutere con voi quasi quotidianamente nel concreto, citandovi fatti, esempi, discorsi, che secondo me chiamano all'allarme intorno al nuovo antisemitismo che assume le forme dell'odio per Israele. Ma il nazismo non è mai terminato anche in un senso molto più minuto. Vi sono conseguenze dei crimini nazisti che continuano ad avere effetti, a produrre fatti. Una di queste dimensioni, che spesso si dimentica, è quella economica. Il genocidio degli ebrei, prima ancora di essere strage fu la più gigantesca e sistematica rapina della storia dell'umanità. I sei milioni di morti e anche buona parte di quelli che si salvarono furono derubati di tutto, case aziende proprietà oggetti denaro, fino a parti del loro corpo, come accadde nei campi di sterminio con protesi dentarie, capelli, la cenere dei loro cadaveri. Il furto iniziò immediatamente dalla presa del potere nazista: chi se ne andava doveva lasciare più o meno tutto quel che aveva, e chi restava era progressivamente espropriato. La rinomata “politica sociale” nazista, la capacità di uscire rapidamente dalla crisi del '29 nasce non da geniali politiche economiche, come qualche pazzo ha ancora il coraggio di sostenere qua e là, ma semplicemente dall'esproprio totale di un intero popolo, piccolo ma intraprendente com'erano gli ebrei europei settant'anni fa. L'economia nazista fu dall'inizio un esempio di sfruttamento industriale della rapina. Beninteso tutto quel che ho detto del nazismo si applica anche ai regimi satelliti e in particolare ai fascisti italiani che non rubarono meno dei loro colleghi tedeschi. Gli uni e gli altri furono volonterosamente aiutati dalla gente comune: vicini di casa, concorrenti commerciali, ragazzi di studio, amministratori, che si impadronirono di tutto quello che era sfuggito alla caccia grossa dei regimi. Un campo in cui questa attività di rapina fu particolarmente rilevante furono gli oggetti d'arte. Molti ebrei, soprattutto in Germania e in Francia, avevano gusto, coraggio, interesse e furono collezionisti appassionati delle avanguardie, a partire dall'Impressionismo. Il nazismo da un lato condannava con estrema violenza “l'arte degenerata”, l'accostava alla follia e alla “contaminazione razziale”, dall'altro ci speculava sopra economicamente, la sequestrava per metterla sul mercato o magari convogliarla nelle collezioni private dei capi, la cui corruzione e avidità non aveva limiti, quasi per smentire chi associa le caste e le bustarelle alla democrazia. Il nazismo organizzò delle commissioni di esperti, degli inviati, dei commissari per la rapina degli oggetti d'arte, che avevano pieni poteri in Germania e ancora di più nei territori occupati sulle proprietà ebraiche (e non solo su queste, anche sui patrimoni pubblici e privati degli stati conquistati). Uno di questi pirati dell'arte, uno dei più importanti, si chiamava Hildebrand Gurlitt e merita la nostra attenzione. Gurlitt nacque in una famiglia di artisti a Dresda nel 1895. Suo padre Cornelius Gurlitt era un architetto e storico dell'arte, il fratello Willibald musicologo, la sorella Cornelia pittrice e suo cugino Wolfgang era un mercante d'arte anche lui. Sua nonna Elisabeth Gurlitt era ebrea, cosa problematica sotto il regime nazista: era considerato “un quarto di ebreo" secondo le leggi di Norimberga. Dopo la laurea provò a fare il direttore di museo e il curatore, ma era troppo vicino all'arte contemporanea per avere successo in provincia, fece un po' il mercante e un po' il gallerista, fino all'avvento del nazismo. Cui, piuttosto misteriosamente, si convertì o con cui venne a patti. Fatto sta che fu assunto al ministero dell'educazione nazionale guidato da Goebbels per fare il cacciatore d'arte e crebbe tanto in quel mestiere da maneggiare milioni di marchi, in particolare ritagliandosi un suo terreno di caccia privilegiato nella Parigi occupata dai tedeschi. Inutile dire che molte delle opera rapinate gli rimasero in casa, altre finirono nelle cantine dei gerarchi nazisti. Insomma si costruì col furto e la corruzione una straordinaria fortuna, che oggi varrebbe probabilmente centinaia di milioni, forse miliardi di euro: tutti rubati, naturalmente. Alla fine della guerra Gurlitt fu arrestato dagli americani, ma riuscì a farsi rilasciare usando le sue radici ebraiche per atteggiarsi a vittima e sostenendo di aver perso la sua collezione nel bombardamento di Dresda. Poi morì nel '56 in un incidente automobilistico (http://en.wikipedia.org/wiki/Hildebrand_Gurlitt). Ma la sua collezione di furti, o almeno un bel pezzo di questa, non era affatto stata distrutta, e passò clandestinamente al figlio Cornelius che non la denunciò mai e sopravvisse vendendone dei pezzi ogni tanto. Proprio uno di questi commerci lo fece scoprire, quando gli fu trovata addosso una somma di denaro al confine con la Svizzera, nel 2010. Casa sua fu perquisita e saltarono fuori più di 1500 opere d'arte dal valore di svariate decine di milioni di euro, fra cui dei Matisse, dei Picasso, dei Renoir. Cornelius Gurlitt morì nel maggio di quest'anno lasciando erede della “sua” fortuna il museo d'arte di Berna, che dopo attenta riflessione ha appena annunciato di aver accettato l'eredità, fatta eccezione per i quadri di cui si sa già da chi sono stati rubati. (Gli altri non è che non siano di provenienza illegale, semplicemente i proprietari non si sono trovati, magari perché si tratta di famiglie sterminate ad Auschwitz). L'appello di organizzazione ebraiche a rinunciare non è stato ascoltato dal museo svizzero (http://www.jpost.com/Breaking-News/Swiss-museum-to-accept-part-of-Nazi-loot-art-trove-382672): evidentemente la tentazione di arricchire la propria collezione con opere straordinarie è stata più forte del rispetto per le vittime (http://en.wikipedia.org/wiki/2012_Munich_artworks_discovery). Non discuto qui sul piano legale la correttezza del comportamento del museo e delle autorità tedesche che hanno lasciato a Cornelius Gurlitt la disponibilità della refurtiva. Il problema che voglio discutere qui è un altro. Questa storia merita una morale o se volete una conclusione storica: anche nel campo dell'arte, non solo in quello della politica e delle mentalità, l'Europa non ha davvero chiuso con le conseguenze del suo millenario antisemitismo e della sua acme nazista. Si assolve pretendendo di essere la custode della pace e della moralità, ma non rigetta la sua eredità nazista.
http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90 |
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