Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 26/11/2014, a pag. 4, con il titolo "Lo sputo di Khamenei", l'analisi di Michael Ledeen.
Michael Ledeen Ali Khamenei
L’ha fatto ancora, come avremmo dovuto aspettarci. La Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha camminato fin sopra alla linea d’arrivo, ci ha sputato sopra ed è tornato indietro. Mesi e mesi di colloqui segreti e pubblici, di lettere, di comunicazioni riservate non hanno prodotto niente di quello che il presidente, i vari primi ministri, gli esperti e i politici avevano predetto. Invece dobbiamo continuare a parlare, e dobbiamo pagare la Repubblica islamica per il piacere e il privilegio. Non è un fallimento del solo Barack Obama; la stessa cosa è successa a Bill Clinton e a George W. Bush. Entrambi avevano creduto di avere un accordo con Khamenei, ed entrambi si sono persuasi del loro errore quando gli iraniani hanno abbandonato i colloqui. Il segretario di stato di Bush, Condoleezza Rice, era così sicura di aver raggiunto un accordo che ha emesso trecento visti a settembre del 2006 per consentire ai passeggeri dell’aereo di Ali Larijani di volare a New York per la cerimonia della firma all’Onu. Poi è volata a New York per aspettare gli iraniani. Ma l’aereo di Larijani è rimasto a Teheran, e nessuno dei 300 è mai arrivato.
E’ tempo di trarre le appropriate conclusioni da questo comportamento ricorrente, e di ripensare la politica dell’occidente verso l’Iran. Come prima cosa, bisogna cercare di capire la Guida suprema. Khamenei non vuole un accordo con gli Stati Uniti (il Grande Satana). Obama ha cercato un’alleanza strategica con l’Iran fin dal 2008, molto prima del suo insediamento e prima ancora della sua elezione. Durante la campagna elettorale ha silenziosamente mandato l’ambasciatore in ritiro William Miller a Teheran per informare i mullah che una nuova èra nelle relazioni tra l’Iran e l’America stava per iniziare, e il “dialogo” tra Washington e Teheran è continuato per più di sei anni. Nessuna persona di buon senso dubita della volontà di Obama di essere generoso con gli iraniani. Ogni scetticismo rimasto dovrebbe essere eliminato definitivamente dall’ultima “estensione”, che pare conceda 700 milioni di dollari al mese a Khamenei per continuare il dialogo. E questo oltre ai pagamenti che sono già stati fatti a Teheran. Se i miei conti sono giusti, daremo all’Iran qualcosa come 8,5 miliardi di dollari nei prossimi 7 mesi. Khamenei potrebbe certamente ottenere un buon accordo se volesse. Se non ne accetta nessuno, vuol dire che non lo vuole. Perché? Dipende dalle sue convinzioni intime: ci odia, e non vuole concludere il suo dominio – probabilmente presto, se i report sulla gravità del suo cancro alla prostata sono accurati – come l’ayatollah che è sceso a patti con Satana.
Inoltre non ha bisogno di accordarsi con il demonio per raggiungere i suoi obiettivi principali. L’accordo ad interim gli dà abbondante spazio di manovra, come si vede dal trattamento duro riservato all’Agenzia internazionale per l’energia atomica. L’Agenzia chiedeva di ispezionare le strutture nucleari sospette di Parchin, gli iraniani gli hanno detto di andare all’inferno, e non è successo niente. Per quanto riguarda le sanzioni, Khamenei le detesta, ma sta riducendo la loro applicazione, trovando infiniti modi per evitarle.
Sul campo di battaglia, le cose gli stanno andando bene, grazie anche al sostegno europeo e americano al suo primo obiettivo (e a quello dell’alleato russo): la sopravvivenza del regime di Assad in Siria. Non stiamo davvero aiutando nessuno che sia un pericolo per Assad. E i nuovi leader del governo iracheno, di cui pretendiamo di avere fiducia, sono sgattaiolati a Teheran pochi giorni dopo aver assunto l’incarico. In questi e in altri modi, la ricerca di un’alleanza con Teheran da parte di Obama ha fatto progressi notevoli, ma soprattutto alle condizioni di Khamenei. Sospetto che Javad Zarif e Hassan Rohani abbiano convinto Khamenei ad approvare la maratona di dialogo con il Grande Satana perché avevano capito che l’Iran avrebbe potuto ottenere ciò che voleva da Obama. Non penso che siano stati attratti al tavolo di negoziato dalle “dure sanzioni”, anche se le sanzioni hanno colpito la popolazione iraniana e una parte sensibile dell’economia. L’attività nucleare è aumentata mentre le sanzioni si inasprivano, e l’attività militare iraniana in Siria e Iraq si sta espandendo. Questo a Khamenei importa molto di più che una carenza di polli sul mercato.
Il bisogno di un regime change
Non c’è un accordo, e i fatti mostrano che non ce ne sarà nessuno. Che fare, allora? Gli apologeti di Obama, compresi alcuni distinti diplomatici e un tempo colleghi come Dennis Ross e Robert Gates, ci hanno detto più volte che le “aperture” all’Iran sarebbero state brevi, e che se fosse diventato chiaro che l’accordo non era nell’aria, Obama avrebbe usato la mano pesante. Ricordate l’“io non faccio bluff?”. Sei anni e oltre sono sufficienti? Se sì, sarebbe prudente ripensare la nostra politica, iniziando dal semplice fatto per cui se vuoi prevenire un Iran nucleare, devi fare un regime change a Teheran. Khamenei lo sa, e ha paura. Sa che il suo popolo lo odia e che vuole la rimozione del regime. Questo è dimostrato dall’aumento della repressione da quando Rohani è salito al potere; un tiranno sicuro del sostegno popolare non massacrerebbe i suoi presunti seguaci. Il regime change deve essere una strategia politica, non una campagna militare. Le sue armi principali sono le parole e i dollari, non i droni e le forze speciali. Ci sono molte persone nel paese che hanno condotto campagne simili contro l’Unione sovietica, che era molto più pericolosa della Repubblica islamica d’Iran. Se ha funzionato contro i sovietici, perché non dovrebbe funzionare contro i mullah?
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