Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 22/11/2014, a pag.18, con il titolo "Una strategia globale contro il terrorismo dell'isis, l'Egitto farà la sua parte", l'approfondita intervista di marc Perelman e Sonia Dridi al Presidente dell'Egitto Al Sisi.
Presidente Al Sisi, lei sta per compiere il suo primo viaggio ufficiale in Europa dopo la sua elezione ( lunedì sarà a Roma, ndr). Quali sono le sue aspettative? Che tipo di alleanze sta prendendo in considerazione?
«La mia visita in Francia e in Italia si inserisce nell'ottica degli sforzi volti a ristabilire il ruolo dell'Egitto».
Da quando ha deposto il presidente Mohamed Morsi, le forze dell'ordine hanno subito attacchi quasi quotidiani, in particolare nel Sinai. ll suo coinvolgimento nella coalizione che si batte contro i gruppi dell'Is aumenterà?
«Ci stiamo impegnando da più di un anno nella lotta al terrorismo. Facciamo parte di questa coalizione. Siamo impegnati in Egitto, nel Sinai, lungo i confini occidentali, i confini meridionali. Eravamo impegnati già prima della nascita della coalizione contro l'Is. Per diversi anni abbiamo invocato la formazione di una coalizione che combattesse l'estremismo. Ma la lotta contro il terrorismo non dovrebbe essere combattuta solo sul fronte militare. Per far fronte a questo fenomeno occorrerà adottare delle misure, una varietà di misure economiche, sociali, culturali di sicurezza e politiche».
Con la Libia, l'Egitto ha in comune un confine di 1200 chilometri. Perché non ammette che l'Egitto sta intervenendo in Libia?
«Voglio essere molto chiaro: se noi stessimo intervenendo direttamente, non esiterei a dirlo chiaro e forte. Voglio che sia chiaro: ad oggi ci siamo limitati a sostenere, attraverso il governo libico, l'Esercito nazionale libico e il Parlamento libico. Lo ripeto: se dovessimo compiere un intervento diretto lo affermerò apertamente. In quanto comunità internazionale, noi, gli europei e gli americani dovremmo rafforzare l'Esercito nazionale libico nell'ambito della lotta contro il terrorismo e per mettere in sicurezza il Paese».
Mi sta dicendo che in Libia non c'è stato alcun intervento da parte dell'aviazione militare egiziana: è così?
«Sì, è così. Assolutamente così. In Libia non abbiamo né aviazione né mezzi di terra. Ciò che invece stiamo facendo é mettere in sicurezza i confini sul fronte egizi ano. II regime è stato sconfitto. Tuttavia le istituzioni libiche non sono state restituite al popolo libico. Dopo la caduta del regime le forze straniere hanno lasciato la Libia lasciando armi e gruppi armati che sono ovunque.Francia e Italia da sole non sono in grado di risolvere il problema. Occorre uno sforzo comune, affinché la Libia torni ad essere uno stato normale, non una zona che richiama i terroristi del Mediterraneo. Un problema per i Paesi vicini e per l'Europa..
Lei sarebbe favorevole a una coalizione internazionale che ripristini l'ordine in Libia?
«Stiamo vivendo un momento molto critico. Contro l'estremismo dobbiamo fare fronte comune. Se affrontiamo il terrorismo in Iraq e in Siria, i terroristi si sposteranno in Libia, e la stabilità non solo della Libia, ma di tutta la regione ne risentirà».
Pensa che vi sarà uno scontro totale tra israeliani e palestinesi? C' è chi parla di una terza Intifada.
«Oggi abbiamo l'occasione di stemperare questa crisi. Una crisi che ha un impatto sull'intera regione. Da un lato i palestinesi sono frustrati, delusi, senza speranza. Quando parlo con il premier israeliano Netanyahu, gli dico sempre: dobbiamo dare della speranza ai palestinesi. Dobbiamo dar loro uno Stato, così che possano vivere in pace a fianco del popolo israeliano. E lo riaffermo qui: tutti abbiamo bisogno di Stati. Stati che amino la pace, che siano desiderosi di vivere pacificamente in questa regione. Dobbiamo garantire all'emergente Stato palestinese e a Israele che nessuno dei due possa rappresentare un pericolo per l' altro. In caso contrario la tensione e I'instabilità continueranno. Un intervento coraggioso permetterà di cambiare questa situazione. Chi avrebbe credutoche il trattato di pace firmato quarant'anni fa tra Egitto e Israele sarebbe durato cosi a lungo? Io credo che un'iniziativa coraggiosa creerà un situazione nuova nell'intera regione. Da parte nostra siamo pronti a contribuire fornendo le garanzie che la pace non rappresenterà un rischio né per i palestinesi né per gli israeliani».
Direbbe che Hamas è paragonabile ai gruppi dello Stato Islamico?
«Secondo me, i pensieri estremistici di ciò che chiamiamo islam politico hanno la stessa origine. Non si può separare lo Stato Islamico da ciò che sta accadendo in Afghanistan o dal gruppo Ansar Bait al-Maqdis. Non possiamo, e non dovremmo considerare questi gruppi come entità separate tra loro. E per questo che ho detto che il nostro approccio non dovrebbe essere esclusivamente di tipo militare. Dovrebbe essere una lotta globale. Perché le azioni di quei gruppi si ripercuotono non solo sulla regione ma in tutta l'Europa e nel mondo. Non sto parlando di misure militari, ma di misure globali».
Secondo le organizzazioni di diritti civili, la repressione è persino più dura di quanto fosse sotto Mubarak, migliaia di attivisti laici sono stati arrestati Tra loro anche giornalisti, e in particolare di Al Jazeera, in carcere da quasi un anno.
«Queste cifre sono esagerate. Non disponiamo dei mezzi per arrestare decine di migliaia di persone. In secondo luogo, la decisione di arrestare quelle persone fu presa quando io non ero al potere. Se lo fossi stato, avrei preferito arrestarle e rispedirle nei Paesi di origine, e la questione sarebbe finita li. C'è un punto che per noi è molto importante: nei vostri Paesi voi rispettate la legge, rispettate le decisioni dei tribunali, non le criticate. Perché non riuscite a capireche per noi in Egitto è lo stesso? Abbiamo delle leggi, abbiamo dei tribunali e dei giudici che devono essere rispettati, cosi come le loro decisioni».
Per inviare la propria opinione a Repubblica, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante