Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/11/2014, a pag. 24, l'articolo "Farmaci equivalenti per una Sanità più sostenibile".
Puntare su prevenzione ed equità. Usare medicinali e strutture in modo intelligente, mirato, puntuale, riducendo a zero sprechi e inefficienze. Imparare a fidarsi dei farmaci equivalenti e - per medici e farmacisti - anche a prescriverli e consigliarli senza esitazioni. Passa soprattutto da qui l’impresa di far ripartire il sistema sanitario nazionale, lo sforzo quanto mai necessario per renderlo sostenibile nel presente e nel futuro. È un’impresa per tutti, che coinvolge cittadini e farmacie, medici e aziende farmaceutiche, media e istituzioni.
A suggerirlo sono gli stessi cittadini, intervistati dall’istituto di ricerca Doxa per un’indagine ad ampio spettro, commissionata da Teva Italia e pubblicata con il titolo: «Sostenibilità delle cure, chi è il responsabile?». Un’indagine che ha coinvolto 600 persone, uomini e donne tra i 18 e i 64 anni, e che mostra prima di tutto una cosa: gli italiani chiedono una svolta in materia di salute. Gran parte di loro (il 73%) è leggermente o decisamente pessimista sul futuro del sistema sanitario. Ma è pronto a fare la propria parte per cambiare rotta.
Non a caso proprio i cittadini stanno diventando i più grandi sostenitori dei farmaci equivalenti, quelli liberati da brevetto e venduti sotto il nome del principio attivo. Medicinali che negli anni - grazie alla concorrenza - hanno favorito la discesa dei prezzi di molte cure e consentito di abbattere la spesa, pubblica e privata, legata alla salute. Gli equivalenti sono un elemento vitale per la sostenibilità del sistema sanitario e gli italiani l’hanno capito: ad essere favorevoli al loro uso è il 73% di chi è stato intervistato da Doxa, contro il 70% di un anno fa. Sette persone su 10 sanno che non c’è alcun dubbio o rischio sulla loro sicurezza e quasi otto su 10 riferiscono di averne avuto un’esperienza positiva.
Il cammino è tracciato e, a 10 anni dalla loro entrata in commercio, i farmaci equivalenti hanno ormai convinto una larga maggioranza degli italiani. Secondo la ricerca, qualche freno in più rimane solo tra ambulatori e farmacie. È qui che le istituzioni possono fare la differenza, con una corretta informazione a tutte le strutture del Paese. «Il ruolo del farmacista è essenziale per garantire prevenzione e accessibilità ai farmaci sul territorio, ma servono anche linee guida a livello centrale, strumenti per tutelare il nostro lavoro», spiega Claudio Di Stefano, past president della Federazione nazionale associazione giovani farmacisti (Fenagifar).
Le parole contano e c’è chi propone di accantonare la dicitura «farmaco generico» - che si presta a qualche equivoco - e mantenere solo quella più corretta: «farmaco equivalente». Un tema su cui anche Silvio Garattini, scienziato e ricercatore che dirige l’Istituto Mario Negri di Milano, concorda. «L’indagine dimostra che rimangono molti pregiudizi sui farmaci dal nome generico e che, quindi, è necessaria ancora molta informazione. Troppo di rado la scienza trova ospitalità nella cultura e sui media italiani e questo ha impatto su tutti i settori legati alla salute».
Governo, pubblica amministrazione ed enti locali sono i primi colpevoli indicati dai cittadini per i problemi del sistema sanitario. Per il 64% degli intervistati il punto più dolente resta lo sperpero di risorse da parte della pubblica amministrazione, seguito dalla scarsa equità sociale (per il 63%) e dalla poca onestà di chi è al potere (59%). Al quarto posto c’è invece l’alto costo dei farmaci. «E questo chiama in causa direttamente le aziende farmaceutiche», dice Hubert Puech d’Alissac, amministratore delegato di Teva Italia. «Ma in realtà occorre sottolineare come gli enormi progressi scientifici fatti negli ultimi 50 anni siano arrivati spesso proprio grazie all’impegno e alle risorse investite dall’industria farmaceutica nella ricerca. Non solo. Proprio le aziende che producono farmaci equivalenti sono state in grado di far risparmiare al sistema sanitario italiano 1,5 miliardi di euro solo negli ultimi sei anni».
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