Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 19/11/2014, a pag. 14, con il titolo "Ma è colpa anche dell'Occidente", l'analisi di Fiamma Nirenstein; dal FOGLIO, a pag. 4, con il titolo "Israele teme la terza Intifada, ma conserva un alleato forte al Cairo", l'analisi di Daniele Raineri.
Una delle armi con cui due terroristi palestinesi hanno ucciso 5 israeliani ieri in una sinagoga di Gerusalemme
IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Ma è colpa anche dell'Occidente"
Fiamma Nirenstein
Quei due cugini palestinesi con gli occhi annegati nel sangue, che sono entrati nella sinagoga di via Agassi per sparare alla gente che pregava e farla a pezzi con le mani brandendo coltelli da cucina non sono squilibrati, ma il risultato di una campagna cinica e fanatizzante che ha al suo centro la Moschea di Al Aqsa e Gerusalemme; ma al loro gesto ha contribuito, dispiace dirlo, l'atteggiamento sconclusionato e spastico dell'Unione Europea e degli Stati Uniti. Non si può combattere da una parte le decapitazioni dell'ISIS, e dall'altra seguitare a considerare gli attacchi terroristici contro gli ebrei di queste ultime settimane come una conseguenza pressoché logica del comportamento israeliano. Le condanne odierne, stanno a zero. La condanna di Abu Mazen strappatagli da una telefonata di John Kerry non parla di "terrorismo": si è limitata a condannare "l'accaduto" e quanto legato all'odio religioso. Dà da pensare la curiosa parentela concettuale fra la dichiarazione di Alaa Abu Jamal, familiare dei due assassini nel quartiere gerusalemitano di Jabael Mukabaer (in gran festa per l'attacco compiuto mentre i siti sociali si riempivano di immagini di asce insanguinate e di ebrei terrorizzati col naso curvo e lo zucchetto) e le cose dette in queste giorni dai rappresentanti dei Paesi europei. Ha detto Abu Jamal a nome della sua gente: "L'attacco è avvenuto a causa della pressione delle forze occupanti del Governo israeliano sul popolo palestinese e specialmente sulla Moschea di Al Aqsa. L'atto compiuto è normale per chiunque sia connesso al suo popolo, al coraggio, all'Islam". Se si guarda per esempio alle dichiarazioni dei ministri degli esteri dell'Unione Europea riunitisi lunedì, fa impressione come per bloccare la violenza a Gerusalemme, invece di concentrarsi sull'enorme mole di bugie propagate anche da Abu Mazen stesso sull'atteggiamento israeliano rispetto alla Moschea di Al Aqsa, cioè che Israele voglia cambiare lo status quo della spianata delle Moschee per cacciarne i fedeli musulmani, i ministri abbiano insistito nel condannare Israele per le costruzioni nei territori; non si chiede ai palestinesi che seguitano a compiere giorno dopo giorno mortali attacchi terroristici a Gerusalemme di "trattenersi da atti che peggiorino la situazione, da incitamento, da provocazioni e dall'eccessivo uso della forza" ma a Israele. Intanto la fuoriuscita di notizie su un documento dell'Unione Europea di applicare sanzioni a Israele deve avere confortato la linea della colpevolizzazione senza sosta di Israele. Adesso, Federica Mogherini ha dichiarato che si tratta di notizie vecchie e infondate. Ma l'aria che sale dall'Europa verso Israele non placa gli animi, li convince che i gesti aggressivi verranno compresi, forse giustificati, e che alla fine lo Stato palestinese nascerà non come una forma di compromesso, ma come una forma di compensazione dovuta. Lo confermano i riconoscimenti dello Stato Palestinese da parte del Governo svedese, del Parlamento inglese, della mozioni per il Parlamento italiano e della mozione che proprio di ieri al Parlamento spagnolo. E' incredibile come l'alleanza di Abu Mazen con Hamas, le condoglianze ai terroristi, il ripetere che Israele vuole appropriarsi della spianata delle Moschee mentre si è limitata a vietare nei giorni topici l'ingresso ai minori di 50 anni per poche non vengano mai rilevate. E' vero che gruppi di religiosi chiedono di salire sul Monte del Tempio per pregare, ma la cosa viene misurata col contagocce. La scelta difensiva rispetto a un mondo fanatizzato e ostile con cui Israele non cede a facili compromessi territoriali dovrebbe ormai essere chiara anche ai ministri dell'UE che ieri si sono affrettati a condannare. Se possiamo parafrasare il parente dei due assassini, gli attacchi odierni sono in parte frutto dell'atteggiamento compiacente e debole del nostro mondo verso i palestinesi e Abu Mazen, compagno di governo di Hamas, come una vacca sacra.
IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Israele teme la terza Intifada, ma conserva un alleato forte al Cairo"
Daniele Raineri
Roma. Il governo israeliano teme una nuova Intifada in casa, che arriva dai quartieri arabi di Gerusalemme est, allungherà la lista degli attacchi "di strada" culminati ieri nella strage alla sinagoga di Har Nof e potrebbe persino portare a un "riavvicinamento ma guardandosi in cagnesco" di Hamas - che governa la Striscia di Gaza - con la leadership dell'Autorità nazionale a Ramallah, che controlla il resto dei territori palestinesi. La scorsa settimana quattro altre fazioni palestinesi, incluso il Jihad islamico, hanno invitato delegati dei due gruppi maggiori a una riunione comune per parlare del cosiddetto "governo di unità nazionale", ma l'incontro non ha avuto risultati.
In questo scenario tendente al peggio per tutti, Israele mantiene una cooperazione discreta e solida con il governo egiziano di Abdel Fattah al Sisi, che considera Hamas un pericolo esistenziale per il paese a causa del legame con la Fratellanza musulmana. L'esercito egiziano applica una pressione pesante su Gaza. Lunedì ha annunciato al giornale di stato al Ahram che raddoppierà la cosiddetta "buffer zone" a Rafah, nel Sinai, al di qua del confine con la Striscia di Gaza. Dopo avere demolito 800 case e altre strutture in una fascia larga 500 metri e lunga 14 chilometri il mese scorso, i militari hanno scoperto che alcuni tunnel per il contrabbando usati da Hamas sono ancora più lunghi, tra gli ottocento e i mille metri, e quindi raderanno al suolo con l'esplosivo ogni edificio a meno di un chilometro di distanza dal confine, cancellando in pratica Rafah.
Sopra i tunnel, il valico ufficiale di Rafah è chiuso ormai da tre settimane, dopo un attacco terroristico contro l'esercito vicino al Arish. Succede sempre più spesso, più a lungo e con scarso preavviso e questo vuol dire che la Striscia controllata da Hamas è quasi isolata anche sul lato egiziano. Il ricasco è disastroso per l'economia di Gaza e sta spingendo Hamas suo malgrado verso l'Autorità palestinese, che invece non è isolata, riceve aiuti dall'esterno e può indirizzare qualche soldo per gli stipendi e l'amministrazione della Striscia.
Dopo la deposizione di Mohammed Morsi e l'arrivo al potere di Sisi, gli analisti dell'intelligence israeliana si precipitarono a studiare ogni genere di materiale che riguardasse il generale egiziano, compresi i suoi scritti, dichiarazioni e conversazioni private, anche risalenti nel tempo. Dal profilo che tracciarono risulta che Sisi è freddo con il governo di Gerusalemme e si considera in missione per conto di Allah, ma che facendo quello che percepisce essere l'interesse nazionale dell'Egitto è di fatto un alleato forte di Israele e un nemico mortale di Hamas. Il gruppo palestinese prima aveva contatti con il governo del Cairo a ogni livello e ora è costretto a mendicare attenzione attraverso un solo ufficiale, un militare che ha l'incarico di tenere aperto il canale di comunicazione ma ha un'antipatia personale nei confronti di Hamas. La consacrazione di questo allineamento è arrivata durante la guerra di luglio, quando Gerusalemme, Gaza e gli egiziani negoziarono tra loro il cessate il fuoco, escludendo dal triangolo Washington - che in qualche caso venne a sapere le notizie da Twitter. In quei giorni il blocco imposto dagli egiziani al confine con la Striscia era così stretto che alcuni analisti del governo israeliano - raccontò il Wall Street Journal - temettero che fosse persino "troppo duro".
La collaborazione in queste settimane è evidente nella penisola del Sinai, dove l'esercito egiziano sta reagendo alla presenza di un gruppo affiliato allo Stato islamico con manovre militari che includono l'uso di carri armati ed elicotteri da guerra (americani) e sono possibili soltanto grazie all'assenso di Israele, perché in teoria quella sarebbe una zona demilitarizzata in seguito agli accordi del 1979.
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