Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/11/2014, a pag. 1-8, con il titolo "Gerusalemme sotto choc, la morte arriva in sinagoga", cronaca e commento di Maurizio Molinari; da LIBERO, a pag. 1-15, con il titolo "Ecco gli 'interlocutori' che vuole la Mogherini", il commento di Carlo Panella.
L'attentato alla sinagoga di Gerusalemme
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Gerusalemme sotto choc, la morte arriva in sinagoga"
Maurizio Molinari
Terrore in sinagoga all’ora della preghiera. I palestinesi Ghassan e Oday Abu Jamal arrivano con un’auto bianca sulla Agassi Street, davanti alla «Keilat Bnei Torà» di Har Nof. È un quartiere di ortodossi e la sinagoga alle 7 del mattino ospita la preghiera di «Shachrit».
È ricolma di rabbini, studenti, gente comune. Tutti indossano gli scialli di preghiera - i talletot - e tengono legati sul braccio e sulla testa i filatteri - tefillin - contenenti brani di preghiere.
Blitz durante la preghiera
Ghassan e Oday conoscono gli orari della sinagoga perché uno di loro ha lavorato nel quartiere. Arrivano con pistole, coltelli e asce. Salgono i gradini all’entrata e si gettano dentro la sinagoga per compiere una carneficina. Sparano ad alzo zero, i proiettili forano cappelli, giacche, libri e anche l’«Aron», dove si trovano i rotoli della «Torà», il Vecchio Testamento. È un diluvio di proiettili, poi infieriscono con coltelli e piccole mannaie. La sinagoga si trasforma in un lago di sangue. Muoiono quattro rabbini: Moshe Twersky di 59 anni è il nipote del filosofo Joseph Soloveitichik, Aryeh Kupinsky di 43, Kalman Zeen Levine di 55 e Shmuel Goldberg di 68. Tre sono anche americani, uno è britannico. Lasciano un totale di 24 orfani.
Ammazzati i terroristi
I fedeli si trovano faccia a faccia con i terroristi. Yakov Amus li sente gridare «Allah hu-Akbar», svia le coltellate con lo scialle di preghiera. Nissim Sermoneta tira una sedia contro i killer. Il piccolo Pinchas, 13 anni, ha il volto coperto da sangue altrui. Otto persone vengono ricoverate in condizioni critiche, inclusi due agenti (in serata uno dei due muore) che, arrivati dopo 8 minuti, uccidono i terroristi: uno è il druso Zidan Saif, 27 anni, nuovo eroe nazionale.
«Ho pensato alla Shoah»
Assieme ai soccorsi ci sono i volontari di «Zaka», che recuperano i resti delle vittime. Yehuda Meshi Zahav, capo di «Zaka», è scosso: «Abbiamo affrontato attentati con più vittime ma davanti a una sinagoga col sangue ovunque, libri di preghiera in terra e talletot strappati ho pensato alla Shoah». È una sensazione che accomuna molti israeliani. Le radio parlano di «pogrom a Gerusalemme» per descrivere l’attacco più sanguinoso degli ultimi tre anni, diretto a un luogo di preghiera come nelle due precedenti Intifade non era avvenuto.
Netanyahu: reagiremo
Il rabbino capo, Yitzhak Yosef, chiede «protezione per ogni sinagoga» temendo di nuovi attacchi. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu punta l’indice verso «Abu Mazen, Hamas e Jihad islamica che incitano all’odio, abbiamo pagato un prezzo alto di sangue alle loro bugie».
Hamas festeggia a Gaza
Hamas e Jihad islamica festeggiano a Gaza, distribuendo dolci nelle strade, parlano di «rappresaglia per l’uccisione dell’autista Yusuf Hasan al-Ramuni» domenica a Gerusalemme. Il ministro della Sicurezza Ahronovich ribatte: «Al-Ramuni si è suicidato, ma Hamas diffonde odio». È il Fronte popolare per la liberazione della Palestina che rivendica l’attentato mentre Abu Mazen lo condanna. Le prime contromisure riguardano Gerusalemme Est perché è da qui che vengono i terroristi: le loro case saranno distrutte e i militari presidieranno in forze le aree più a rischio.
LIBERO - Carlo Panella: "Ecco gli 'interlocutori' che vuole la Mogherini"
Carlo Panella Federica Mogherini
L'onore per il massacro sacrilegio a colpi di accetta di quattro rabbini dentro la loro sinagoga di Gerusalemme ad opera di palestinesi si moltiplica di fronte alla sua piena rivendicazione da parte di Hamas. Cresce all'infinito di fronte agli osceni dolci offerti in segno di tripudio e festeggiamento dai suoi militanti nella festa subito organizzata in un quartiere di Gaza. Questa è Hamas, a questa banda di assassini, maggioritaria a Gaza e fortissima in Cisgiordania le anime belle vorrebbero consegnare lo Stato Palestinese.
Perché Hamas è oggi al governo della Autorità palestinese, la stessa Hamas che inneggia alle accette assassine in Sinagoga. E Hamas è al governo in Palestina perché così ha voluto quel «moderato» Abu Mazen che deplora sì l'efferato assassinio, ma essenzialmente perché è avvenuto in un luogo di preghiera. La strage di ieri, la prima in una Sinagoga in tutta la storia tormentata di Israele, dimostra che quel che muove Hamas, e che Abu Mazen tollera, non è antisionismo, non è lotta armata per liberare la terra.
No, è antisemitismo, il più atroce, il più schifoso antisemitismo che permea tutti i documenti, tutte le dichiarazioni di Hamas. Quella stessa Hamas che Ahmad Assaf il portavoce di al Fatah, il partito che fu di Yasser Arafat e che oggi è di Abu Mazen, ha definito il 10 novembre «l'altra faccia della medaglia dell'Isil di Abu Bakr al Baghdadi. Dichiarazione netta, condivisibile, emessa il giorno dopo una serie di attentati di Hamas contro esponenti di Fatah, diffusa da tutte le agenzie del mondo ma che nessuno ha ripreso, perché «scomoda».
Scomoda anche per un'incredibile Federica Mogherini che l'8 novembre ha rischiato di non potere recarsi a Ramallah a seguito proprio degli attentati di Hamas contro al Fatah, ma che nella sua prima missione come lady Pesc ha trovato il modo di non deprecare, di non condannare né le decine di migliaia di razzi e missili lanciati, a freddo, dalla Gaza di Hamas contro Israele, né l'assassinio barbaro di tre ragazzini ebrei che Hamas ha rivendicato trionfalmente. Né ieri ha avuto la decenza di bollare con parole di fuoco la rivendicazione dell'eccidio nella sinagoga, limitandosi a parole di circostanza «contro la violenza». Anzi, ha aggiunto che «la mancanza di progressi verso una soluzione a due stati sistematicamente genererà altra violenza». Siamo arrivati all'assurdo del portavoce di al Fatah che paragona Hamas al Califfato nero e di una Mogherini che omette colpevolmente ogni critica ad Hamas e che addirittura vorrebbe consegnargli quello Stato palestinese che invoca.
Ma la Mogherini non è sola - purtroppo - in una Europa sempre più ignava verso Israele. Dopo la Svezia e la Norvegia, ieri il Pse spagnolo ha presentato al voto una mozione che impegna il governo iberico a riconoscere lo Stato Palestinese. Quello Stato, retto in potenza da una Hamas che rivendica il massacro di 4 rabbini a colpi di accetta! E mozioni per il riconoscimento di questo Stato retto da macellai attendono il voto anche nel Parlamento italiano. Questa è l'Europa di oggi, quella stessa che si commuove al ricordo della Shoà, ma che fa finta di non vedere, anzi supporta di fatto, l'antisemitismo sbandierato da Hamas e da tanti palestinesi e che li spinge a massacrare ebrei inermi.
Un'Europa che è spesso stata ipocrita con Israele, che nel 1980 riconobbe l'Olp terrorista di Arafat solo per ingraziarsi gli arabi e avere il loro petrolio, ma sino alla presidenza Obama era comunque bilanciata dall'appoggio fermo e incondizionato degli Usa nei confronti di Gerusalemme. Ma oggi, Barack Obama ha interrotto anche quella pluridecennale tradizione che faceva onore agli Usa e ha portato i rapporti con Israele al livello più basso degli ultimi 50 anni. Basti pensare che ieri dopo avere definito «orribile» l'attentato alla sinagoga, ha subito sminuito e relativizzato la condanna affermando che «troppi israeliani e palestinesi sono morti negli ultimi mesi».
Duplice la ragione di questa ennesima politica fallimentare di Obama in Medio Oriente. Una totale incomprensione delle dinamiche interne al mondo arabo e all'islam, con conseguente totale sottovalutazione della carica di violenza e odio oggi sviluppate da quello scisma islamico salafita a cui si rifanno sia Hamas, che i Fratelli Musulmani, che i seguaci del Califfato nero. Poi, l'arrendevolezza totale e supina all'Iran (l'attentato di ieri è stato esaltato anche da Jihad Islamica, eterocomandata da Teheran), nel vano tentativo di strappare uno «storico» accordo sul nucleare a cui ambisce come suggello della sua presidenza. A tal punto che si appresta ora a chiudere con gli ayatollah un accordo al ribasso, che di fatto permetterà loro di produrre un'atomica, se non ora, tra un anno o due.
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