Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 17/11/2014, a pag. 13, con il titolo "Autobotti, zattere e tubi interrati: così il Califfo esporta il 'suo' petrolio", l'analisi di Maurizio Molinari; con il titolo "Gli Usa istruiscono l'Iraq: 'Servono 80mila uomini per riconquistare i territori' ", il commento di Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Maurizio Molinari: "Autobotti, zattere e tubi interrati: così il Califfo esporta il 'suo' petrolio"
Miliziani Isis
Autobotti, pulmini, pick up, taniche a dorso d’asino, zattere e tubi interrati: sono gli strumenti che i miliziani jihadisti dello Stato Islamico (Isis) adoperano per vendere oltrefrontiera il greggio estratto in Iraq e Siria, garantendo al Califfato entrate che si aggirano sul milione di dollari al giorno.
A descrivere il metodo con cui il Califfo Abu Bakr Al Baghdadi alimenta la propria Jihad sono documenti dell’Agenzia internazionale per l’Energia e del Congresso di Washington che attestano come i raid aerei della coalizione guidata dagli Stati Uniti, iniziati l’8 agosto, hanno contribuito a ridurre il traffico di greggio ma non a bloccarlo: le entrate giornaliere dalle vendite illegali sono infatti scese da 3 milioni a circa un terzo. Si tratta comunque sempre di una cifra considerevole per il Califfato, da qui l’attenzione per il percorso seguito dal petrolio contrabbandato.
L’origine sono i pozzi controllati, ovvero il 60 per cento di quelli siriani e circa 350 in Iraq. È da qui che si dirama un sistema di distribuzione che ricalca in gran parte il precedente creato da Saddam Hussein negli Anni Novanta per evadere le sanzioni Onu. Gli uomini del Califfo affidano il greggio estratto ai trafficanti, incaricati di farlo arrivare in Turchia, Giordania e Kurdistan dove vi sono acquirenti che pagano circa 40 dollari a barile, rispetto ai 71,4 del mercato. I trafficanti si servono di piccole autobotti, pulmini, pick up o anche taniche legate alle schiene di asini che raggiungono piccoli depositi, situati nei pressi delle frontiere. È da queste case, tende o ruderi che partono tubi interrati, con lunghezze che consentono di arrivare sul lato opposto del confine, dove sbucano in superficie dentro luoghi chiusi, nei quali si trovano gli acquirenti. Le compravendite avvengono a distanza e sono comandi via cellulari ad ordinare ai rubinetti delle mini-cisterne di «aprirsi» o «chiudersi» per far arrivare il greggio a destinazione. In questa maniera Isis esportava 80 mila barili al giorno fino ad agosto, ed ora si sono ridotti a 18-20 mila.
Sono molteplici le aree degli «attraversamenti di greggio» ma una delle zone più sfruttate è il passaggio attraverso il fiume Oronte, all’altezza della città siriana di Ezmerin dove i jihadisti hanno sepolto in direzione della Turchia circa 500 tubi sotterranei, che attraversano anche il corso d’acqua. Si stima che circa l’80-90 per cento degli abitanti nel villaggio turco di Hacipasa siano coinvolti nel traffico di greggio che produce un indotto oramai determinante per gran parte della provincia di Hatay. Le autorità di Ankara da un lato danno la caccia ai trafficanti - sono riuscite a neutralizzare un tubo sotterraneo lungo 4,8 km - ma dall’altro esitano ad azzerare del tutto il contrabbando. Senza contare che spesso vengono beffate: è avvenuto ad esempio quando apposite «zattere» sull’Oronte hanno fatto arrivare la merce a destinazione.
La capacità del Califfato di ripetere le esportazioni illegali di greggio di Saddam ripropone la possibilità che ex militari del Baath siano al servizio di Al Baghdadi, forse spinti dall’avversione contro gli sciiti. Ma non è tutto perché l’osservazione dell’export di greggio porta a ritenere che il Califfo stia cambiando tattica: sempre più spesso lo adopera per cementare il consenso popolare. Un crescente numero di barili viene infatti destinato al «mercato interno», vendendo il combustibile per auto e case a prezzi stracciati oppure - come a volte à avvenuto - a consegnarlo gratis.
In rosso, le zone sotto il controllo dello Stato islamico
Maurizio Molinari: "Gli Usa istruiscono l'Iraq: 'Servono 80mila uomini per riconquistare i territori' "
Il generale Usa Martin Dempsey
«Possiamo imprimere una svolta al conflitto contro Isis»: il generale americano Martin Dempsey arriva a Baghdad con l’intento di pianificare una campagna irachena di terra capace di riconquistare i territori caduti nelle mani del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi.
È l’incontro con il ministro della Difesa iracheno, Khaled al-Obeidi, il momento in cui il capo degli Stati maggiori congiunti Usa, illustra cosa ha in mente. L’occasione viene dalla riconquista della raffineria di Baiji da parte degli iracheni, registrata nella mattinata: «È un momento importante, vi abbiamo aiutato ad allontanarvi dal precipizio e ora possiamo arrivare ad una svolta contro lo Stato Islamico».
Il riferimento è al piano di sfruttare l’imminente arrivo dei nuovi 1500 marines da parte del presidente Barack Obama - che si aggiungeranno ai 1400 già presenti - per spingere l’esercito iracheno ad una «maggiore cooperazione sciiti-sunniti» ovvero siglare accordi con le tribù sunnite dell’Anbar per spingerle a rivoltarsi contro i jihadisti dello Stato Islamico. La creazione di un pilastro sunnita anti-Isis deve accompagnarsi, secondo Dempsey, ad un migliore addestramento delle truppe regolari di Baghdad perché, come lui stesso ha detto giovedì intervenendo al Congresso di Washington, «servono almeno 80 mila uomini ben preparati e armati per riconquistare tutti i territori iracheni catturati da Isis».
È questo lo scenario di una campagna di terra, affidata alle truppe di Baghdad, cui si è discusso nella scorsa settimana alla sede del Comando Centrale di Tampa, in Florida, fra circa 300 pianificatori militari di 20 Paesi della coalizione anti-Isis. Washington chiede agli alleati, europei e arabi, di prevedere un maggiore sforzo militare in Iraq nei prossimi mesi per sostenere la prospettiva di un’offensiva di primavera delle truppe di terra di Baghdad nel Nord e nell’Ovest. Non si parla di truppe Usa. Lo ha ribadito anche Obama dal G20.
L’arrivo degli istruttori statunitensi servirà proprio a preparare i reparti che dovranno assaltare le roccaforti di Isis in Iraq, separando dunque questo scacchiere dalla Siria. Un tassello importante del piano militare è il riassetto dei vertici delle forze armate di Baghdad innescato dalla decisione del nuovo premier Haider Al-Habadi di sostituire 36 comandanti, addebitandogli la responsabilità di non essere riusciti a difendere il territorio nazionale da Isis sotto il precedente governo di Nouri Al-Maliki.
I nomi dei generali defenestrati non sono stati diffusi, ma la nomina dei successori si preannuncia come il primo tassello della possibile campagna di primavera contro il Califfato: dovranno essere ufficiali in grado di operare agilmente tanto con gli americani che con le tribù sunnite.
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