Il commento di Giorgio Levi
Dal 9 al 15 novembre 2014
Manifestazione del Movimento Studentesco
Tra il '68 e il '70 frequento un liceo di Torino. Mi aggrego al Movimento Studentesco. Partecipo a riunioni, cortei, occupazioni, manifestazioni di piazza, sit-in, contestazioni scolastiche e politiche. Mi piace perché quella del movimento è una protesta globale (come si direbbe oggi), è un coro che sale e che cresce e che si alimenta, che arriva da lontano e che tiene insieme giovani e anziani, intellettuali e operai. E' la prima grande presa di coscienza europea.
Sono di famiglia che ha radici nel Partito Repubblicano, ma io sto a sinistra, dall'altra parte c'è il fascismo più bieco, violento, arrogante dalla fine del regime fino a quei giorni. Con loro c'è una buona parte del conservatorismo liberale, e persino monarchico, che vorrebbe tenere l'Italia legata al Ventennio. Nel mezzo però, almeno per me, c'è la questione ebraica, a pochi anni dalla trionfale Guerra dei Sei Giorni.
Una mattina partecipo ad una delle mille assemblee. Dalla discussione viene fuori il tema “Palestina”, che io chiamo Israele. Capisco subito che quella ondata di simpatia per il piccolo Stato ebraico della guerra contro l'Egitto si è esaurita, i “compagni” cominciano (anche con veemenza) a portare sul banco degli imputati lo Stato d'Israele, con tutte quelle accuse che negli anni che verranno saranno all'origine di questa guerra infinita. Sono i primi segnali che la sinistra ha fatto la sua scelta. Pur con molti ebrei che allora militavano, e anche attivamente, nel Partito Comunista Italiano.
Sull'altro fronte (la scena politica aveva contorni molto più netti di oggi) fa proseliti una destra ignorante e vile. Il giorno dopo una notte di occupazione del liceo mi avvio a piedi verso Piazza Vittorio e noto alle mie spalle un gruppo di fascisti che mi segue. Hanno dei bastoni e capisco che non sono lì per caso. Penso che mi abbiano visto uscire dalla scuola e che presto mi saranno addosso. E' così, ma non per quello che io ipotizzavo. Corrono e urlano: “Dagli all'ebreo!”. Un tranviere ferma il suo bus, apre le porte in mezzo alla piazza e mi fa salire: “Sti' bastardi di fascisti, salta ragazzo e fai in fretta!”.
In 45 anni di storia l'antisemitismo ha fatto strada, è cresciuto, ha trovato nuovi filoni, aggregazioni soprattutto in rete, intese politiche. Con qualche curiosa svolta. Un paio d'anni fa ricevo un invito per l'apertura di una mostra. E' di un ex compagno di liceo, oggi fotografo. Un tizio che militava nel Fronte della Gioventù. Uno che una volta aveva detto: “Gli ebrei sembrano scimmie, non possono essere uguali a noi”. Mi fa strano che m'inviti ad un suo vernissage organizzato da lui, ma ci vado. La mostra ha per tema qualcosa del tipo: “L'orrore della Shoah, viaggio nei campi di sterminio”. Ed è effettivamente un lungo reportage d'immagini d'autore, scattate nei luoghi della tragedia.
Mentre faccio fatica a crederci lui mi prende sottobraccio e mi spiega il suo percorso professionale. Incontro un altro nostro compagno di classe, ebreo e anche lui invitato. Ci facciamo da parte e insieme ci domandiamo: “Ma è proprio proprio proprio lui?”. Vuoi dirmi che questo è quel fascista degli “ebrei come scimmie”? Era lui, non avevamo dubbi. Nel tempo ho rivisto un paio di volte il vecchio “camerata”. Ci siami presi qualche caffè insieme, lui si definisce un moderato, in realtà capisco che è rimasto quello che era. Ogni volta mi domando se è ancora l'antisemita di quarant'anni fa. Avrei potuto già chiederglielo da tempo, ma non mi va. Lo preferivo com'era, perché o ha cambiato idea sulle scimmie o sugli ebrei. E una mezza idea me lo sono fatta.
Giorgio Levi