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Una storia molto significativa Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli se voi siete, come un po' tutti, stanchi e diffidenti per le lentezze della giustizia italiana, la storia che vi racconto oggi dovrebbe consolarvi, perché è una disputa intorno al dettaglio di un documento che dura da 12 anni e passa, non dalle parti di Napoli o di Verona, ma a Whashington DC - USA. Partiamo di qui: il 17 ottobre 2002 nasce a Gerusalemme da genitori che hanno anche la cittadinanza americana un bambino di nome Menachem Binyamin Zivotofsky . Dato che un passaporto americano può essere prezioso per molte cose, magari anche per attaccamento al “paese del patto” (questo è il nome degli Stati Uniti in ebraico), i genitori chiedono subito il rilascio di un passaporto USA per il bambino, diritto riconosciuto dalla legislazione americana in questi casi. E lo ottengono. Dunque i signori Zivotofsky protestano e chiedono la rettifica. Il consolato rifiuta. Infatti spiegano alla coppia che nel “State Department’s Foreign Affairs Manual” si dice che “nel caso in cui il luogo di nascita di chi fa domanda è contestato da un altro stato, si può scrivere [invece dello stato] la città o l'area di nascita” e che specificamente “nel caso di una persona nata a Gerusalemme si deve scrivere solo 'Gerusalemme' e non Israele o Giordania.” In un paese come l'Italia e in genere in Europa, dove esiste la gerarchia delle fonti del diritto per cui una legge prevale su qualunque regolamento, non ci sarebbero problemi. Ma la costituzione americana è più complessa, presidenziale e non parlamentare, esiste il “privilegio dell'esecutivo” che esclude da certi campi l'intervento del potere legislativo. Dunque si va davanti a un tribunale, quello del distretto federale, che prima rifiuta di intervenire dicendo che la materia è politica, poi viene smentito in appello. La faccenda non è politica, decidono i giudici supremi, è di diritto costituzionale, non si tratta di stabilire la posizione politica dell'America, ma la possibilità del Congresso di dare regole sui passaporti e dunque se ne deve discutere, il che avviene in questi giorni. Capite, per l'Amministrazione Obama Gerusalemme OVEST è come la Crimea, occupata illegalmente e con la forza delle armi da Putin. Bisognerà vedere se la Corte Suprema si berrà questa storia e in genere se condividerà l'idea che c'è un privilegio dell'esecutivo su tutta la politica estera americana, anche su materie che dovrebbero essere regolate su trattati internazionali, per cui la costituzione esige una ratifica del congresso, e anche a maggioranza qualificata. E' un tema che diventerà importantissimo nei prossimi due anni, quando Obama non avrà la maggioranza in nessuna delle due camere americane e cercherà di governare a colpi di decreti, per esempio se proverà a fare l'accordo con l'Iran contro la maggioranza del Congresso, come suppone un grande giurista come Alan Derschowitz in questo interessante articolo (http://www.gatestoneinstitute.org/4883/will-the-newly-elected-congress-push-obama-into ). Resta il fatto che gli obamiti, nel loro delirio ideologico, pensano che non solo Giudea e Samaria siano “territori occupati”, inclusa la città vecchia di Gerusalemme, ma che lo sia anche la parte occidentale della città, quella a ovest della linea verde. Materia di riflessione per quelli che anche da noi pensano che cedendo tutto all'Autorità Palestinese, e quindi ripristinando il muro di Gerusalemme, come vuole Abbas, il discorso sarebbe chiuso, la legittimità di Israele non sarebbe più in discussione e si arriverebbe finalmente alla pace. Neanche per sogno, e gli Stati Uniti almeno quelli che la pensano come Obama, sarebbero dalla parte dei nemici di Israele anche dopo un eventuale catastrofico ritiro sulle linee del '49. Ugo Volli |
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