L’intifada degli arabi delusi con se stessi
Analisi di Mordechai Kedar
(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)
http://www.israelnationalnews.com/Articles/Article.aspx/15971#.VGWXcfmUfgI
Questa la foto ufficiale, più avanti la situazione reale
I “palestinesi” sono infuriati con la realtà che li circonda e li coinvolge direttamente, quella che rende impossibile la nascita di uno Stato.
Una nazione per diventare tale, ha bisogno di un forte sentimento unitario, che consenta al popolo di raggiungere gli obiettivi ritenuti importanti. Un popolo con un’identità nazionale forte e unitaria è in grado di mettere da parte le differenze personali, politiche, ideologiche, in modo che i cittadini possano lavorare insieme, per raggiungere un obiettivo fondamentale per tutti.
I veri leader intuiscono quando il popolo vuole restare unito per il bene di una causa nazionale e sono in grado di superare le differenze al proprio interno; se questo non avviene, saranno sostituiti da altri migliori di loro in grado di riconoscere le priorità.
Un popolo con un forte sentimento di unità è in grado di gestire il paese in modo democratico, senza temere le differenze di opinione e i cambiamenti di governo, affinchè non prevalga la violenza, che metterebbe in pericolo la sua stessa esistenza.
Al contrario, una nazione con un'identità debole, fragile, vive conflitti che sfociano in aggressività verbale e atti di violenza in ogni settore, viene meno la collaborazione, aumenta la conflittualità e la sfiducia reciproca.
Ne deriva una nazione che non è abbastanza forte da tenere uniti i vari gruppi sociali, ognuno dei quali persegue obiettivi diversi. In quel momento si inventerà un nemico esterno, persino una guerra, nella speranza che possa convogliare le proteste sociali. Sarà la verifica per capire se i cittadini hanno un sufficiente spirito di solidarietà e unione.
I palestinesi hanno richiesto, da molto tempo ormai, accordi tra Hamas e Fatah, perché si rendono conto che la divisione tra le due organizzazioni, permette a Israele di sostenere che non vi è un “partner per la pace”. Questa è la ragione per cui i due movimenti firmano accordi saltuari, perché l’Autorità Palestinese ha proposto un governo di “unità nazionale” fatto di tecnocrati, non di politici, approvati da entrambe le organizzazioni, ma con il risultato di scontentare l’opinione pubblica.
Nonostante il governo di “unità”, Hamas governa Gaza, emarginando pesantemente i membri di Fatah. Il 7 novembre, alcune bombe sono esplose a Gaza davanti alle abitazioni e sulle auto di dieci leader di Fatah, e un'altra ha distrutto il palco che Fatah aveva allestito per la cerimonia commemorativa, prevista per l’11 novembre, nel decimo anniversario della morte di Arafat.
Fatah incolpa Hamas per gli attentati, soprattutto per il fatto che sono avvenuti contemporaneamente. Non c'è nessun altro gruppo a Gaza in grado di coordinare i tempi di undici esplosioni. In seguito alle bombe e al conflitto tra le due organizzazioni, l'evento commemorativo è stato annullato. La motivazione ufficiale è stata che “Hamas ha rifiutato di garantire la sicurezza dei partecipanti”, in altre parole: Hamas ha minacciato di attaccarli, com’era successo per il palco. Una dimostrazione che neppure Arafat è un simbolo nazionale in grado tenere uniti i due gruppi sotto lo stesso tetto.
Il vero obiettivo di Hamas è la creazione di uno Stato Islamico con l’applicazione della Shari’a, un islam totalizzante, mentre Fatah vuole uno Stato-Nazione in cui, formalmente, musulmani e cristiani abbiano pari diritti e uguale stato giuridico.
Non c'è modo di colmare il divario tra questi due obiettivi diametralmente opposti.
E’ questa la ragione per cui gli scontri tra Fatah e Hamas, iniziati non appena era stato firmato l’accordo, sono ancora forti e non se ne vede la fine.
Il problema di Fatah è che Hamas è entrato nell’area politica vincendo la maggior parte dei seggi nelle elezioni di gennaio del 2006. L'OLP teme un'altra vittoria elettorale per Hamas, è questa la ragione per cui, dal 2005, quando è stato eletto Abbas circa 10 anni fa, non sono più state indette elezioni.
Quando una Nazione è priva di coesione nazionale, teme i processi democratici e i cambiamenti di governo. La narrativa palestinese parla di una nazione palestinese in Israele, a Gaza, Giudea e Samaria,in Giordania e fra i rifugiati in Siria e Libano.
Se esistesse una Nazione palestinese ci sarebbe solidarietà tra le due parti.
Abbiamo visto i palestinesi residenti in Giudea e Samaria andare a protestare con una sollevazione popolare, quando l'esercito israeliano ha attaccato Gaza qualche mese fa con l’Operazione “Margine Protettivo”? No, non l'abbiamo visto.
Gli arabi israeliani, che si definiscono palestinesi, si sono ribellati contro lo Stato di Israele per come tratta gli abitanti di Gaza e gli arabi di Giudea e Samaria? Non l'abbiamo visto.
Masse di arabi in Giudea e Samaria sono accorsi in Siria per salvare il loro popolo dalle stragi del governo di Assad ? Forse solo qualche volontario jihadista.
I residenti arabi di Giudea e Samaria si sono offerti di assorbire i loro “fratelli”, che erano fuggiti o erano stati espulsi da Israele, durante la Guerra di Indipendenza del 1948? Non uno. Li hanno tenuti in campi profughi, senza acqua, fognature, elettricità per anni. È così che si trattano i fratelli?
Perché i “palestinesi” che vivono in Giudea e Samaria vedono i “palestinesi” che vivono a Gaza come appartementi a un'altra cultura?
Perché le giovani donne di Hebron non sposano i ragazzi di Schem (Nablus)?
Perché i cittadini “palestinesi” di Israele trattano i “palestinesi della Cisgiordania” che lavorano per loro, come dei lavoratori stranieri, approfittandone in modo vergognoso? Perché il comune di Tira - un villaggio “palestinese” nei pressi di Kfar Saba - non permette ai “palestinesi” di Kalkilya di usufruire della piscina locale? E’ perché sono “un popolo”?
La risposta a tutte queste domande è la stessa: i “palestinesi” sono solo un insieme di tribù, clan (hamulot) e famiglie allargate con a capo dei notabili, che non si sono mai mescolate e che non hanno mai creato un popolo con una coscienza nazionale comune. Alcuni hanno vissuto nella terra di Israele per generazioni, ma altri sono arrivati di recente.
Cito a conferma di quanto ho scritto: ci sono stati due attacchi terroristici in queste settimane, in cui chi guidava mirava di proposito i civili israeliani. Un terrorista era un arabo che si chiamava Higazi, cioè saudita, e l’altro si chiamava al-Akri, che significa dal nord del Libano. Allo stesso modo, i “palestinesi” comprendono molte famiglie i cui cognomi testimoniano che le loro origini non sono in “Palestina”: in arabo, la lettera “i” alla fine di un cognome significa “da”. Così, al-Masri e al-Fiumi significano dall’Egitto; Halabi significa dalla Siria; i nomi Trabolsi, Sidani, Tyrani (dalle città di Sidone e Tiro) indicano che provengono dal Libano; Zarkawi e Kraki dalla Giordania. Gli abitanti del villaggio di Jisr al-Azarka a sud di Haifa, sono sudanesi, e la famiglia Bushnak di Kafar Manda è di origine bosniaca. Uno dei consiglieri di Mahmoud Abbas si chiama Damiri, che proviene dal villaggio siriano di Damir. Gli scismi tribali che caratterizzano i “palestinesi” non sono diversi da quelli esistenti nella maggior parte dei paesi arabi, quali Siria, Iraq, Libia, Sudan, Yemen, Algeria e altri.
Questa è la vera, e profondamente radicata, ragione per le terribili crisi di cui questi Paesi hanno sofferto nel corso degli ultimi quattro anni. Paesi in cui le rivalità tra gruppi sono sfociate in una tale orribile violenza che centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini hanno già perso la vita. I cicli di violenza che hanno avuto luogo a Gaza prima che Hamas assumesse il potere nel 2007, derivavano da questi scismi: l'OLP a Gaza era un gruppo di famiglie, contrapposto a un altro gruppo denominato Hamas.
La possibilità che hanno i “palestinesi” di formare uno Stato che funzioni con un senso di “Nazione” comune, con una solida identità nazionale, è la stessa di quella che hanno siriani, iracheni, libici, sudanesi e yemeniti.
L'unica cosa che unisce i “palestinesi” è il loro odio virulento nei confronti di Israele e l’ animosità verso il sionismo. Per questo motivo non possono fermare la lotta contro Israele e il popolo ebraico, per questo cancellano Israele dalle carte geografiche nei loro libri scolastici. Senza l’odio per Israele e l’incitamento contro lo Stato ebraico, non ci sarebbe alcun collante che li terrebbe uniti.
Questa è anche la ragione per cui non ci sono organizzazioni pacifiste tra i “palestinesi”, perché la pace con Israele significherebbe per loro la disgregazione. Ora si fanno saltare in aria per le strade, accoltellano, investono le persone, sparano; attaccano per svariati motivi, alcuni improvvisati, altri che vengono più dal profondo: i primi derivano dall'omicidio del giovane Abu Khdeir, e quelli più profondi dal rifiuto di vedere gli ebrei come una Nazione nella sua propria terra, e dalla gelosia che li consuma quando vedono gli ebrei costruire una Nazione che è in gran parte unita, uno Stato democratico con i cambiamenti di governo che avvengono in modo pacifico, uno Stato che vince ogni guerra.
La gelosia genera odio e quello che stiamo vedendo ora, è il risultato del loro fallimento nel creare una “Nazione palestinese” con un sentimento di solidarietà, con qualche possibilità di gestire uno Stato organizzato e stabile. E’ chiaro a tutti che uno Stato palestinese formato dall'OLP, si trasformerebbe in uno Stato di Hamas a tempo di record, non appena ci fossero le elezioni. Questo è quello che è successo nel gennaio del 2006. D'altra parte, ci potrebbe essere anche un violento cambio di gestione, com’è già avvenuto a Gaza nel giugno del 2007.
La loro frustrazione scoppia nelle strade come rabbia nei confronti della loro stessa realtà. L’Autorità Palestinese cerca di deviare la rabbia verso Israele, al fine di catturare sostenitori nella rivalità con Hamas, mente Hamas devia la rabbia dei cittadini di Gaza verso l'entità sionista, in modo da guadagnare punti nella sua lotta contro l'OLP.
Ecco perché la soluzione operativa, l'unica che può essere realizzata sul campo, è quella su cui si basa la sociologia araba, quella che crea otto emirati palestinesi: a Gaza, Schem, Jenin, Tulkarem, Kalkilya, Ramallah, Gerico e Hebron araba .
Dettagli sul sito http://www.palestinianemirates.com
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi