Egitto sotto assedio in cerca di alleati
Analisi di Zvi Mazel
(Traduzione di Angelo Pezzana)
http://www.jpost.com/Middle-East/Analysis-Under-siege-Egypt-looks-for-allies
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Abdel Fattah al-Sissi
Forze egiziane nel Sinai
Durante il fine settimana 36 soldati egiziani sono stati uccisi e 31 feriti in uno degli attacchi terroristici più gravi avvenuti quest’anno nel Sinai del nord. Sissi ha reagito con una dura dichiarazione,nella quale ha affermato che il terrorismo è una minaccia alla esistenza stessa dell’Egitto, per cui sarà combattuto fino alla sua eliminazione.
Ansar Beit al Makdes è in prima linea fra i gruppi jihadisti fortemente determinati a trascinare il paese nel caos. L’esercito sta facendo ogni sforzo possibile per eliminare tutti questi movimenti, sono stati uccisi 600 miliziani e distrutte molte delle loro roccaforti, con il sequestro di grandi quantità di armi e esplosivi. E’ di 1875 il numero dei tunnel sotterranei fatti esplodere o chiusi nella scorsa settimana. Colpi pesanti per i terroristi, che però si sentono al sicuro mescolati alla popolazione nel nord della penisola, dove trovano fra i beduini di quell’area i rifornimenti necessari. Altri aiuti con un flusso costante di uomini e armamenti arrivano attraverso tutti i confini dell’Egitto. Di fatto sotto attacco,mentre la Striscia di Gaza funziona da centro logistico, con la capacità di produrre e distribuire armi, dotarsi di esplosivi e addestrare terroristi per poterli poi infiltrare nel Sinai attraverso i tunnel. Oggi un numero sempre maggiore di militanti e armi entrano attraverso i confini con Libia e Sudan. Il confine tra Libia e Egitto è lungo 1200 Km tra deserti e montagne, è praticamente quasi impossibile controllarlo, soprattutto da quando il conflitto ha reso la Libia uno Stato non più in grado di funzionare in modo autonomo. La sua capitale è nelle mani delle milizie islamiche e tribali, parlamento e governo si sono rifugiato a Tobruk, non lontano dal confine egiziano. Lungo tutto questo confine ci sono molti terroristi jihadisti provenienti da Siria e Iraq. Negli ultimi mesi hanno ucciso decine di soldati egiziani in scontri con miliziani di provenienza libica. Se non bastasse, armi e militanti sono in arrivo dal Sudan attraverso i 400 Km del confine con la Libia. Ma ci sono anche armi iraniane in arrivo nella Penisola del Sinai, il cui intento è la destabilizzazione dell’Egitto, anche se comporta aiutare il movimento estremista sunnita, come avvenne con Al Qaeda nel passato. Durante l’era Mubarak crebbero reti di trafficanti in tutto il paese e nel Sinai, nella convinzione errata che fosse un problema per la sola Israele. Un errore costoso, che l’Egitto sta pagando a caro prezzo. Il Presidente Sissi contava sull’assistenza americana per combattere la minaccia terrorista, ma, invece di cooperare con il Cairo, la Casa Bianca si schierò contro la cacciata di Morsi e dei Fratelli Musulmani, decretando un embargo sulla consegna di armamenti. La recente visita del presidente egiziano a Washington e il suo incontro con la controparte americana, non ha prodotto alcun disgelo. Obama sfidò Sissi sulla condizione dei diritti umani in Egitto, mentre il presidente egiziano si vendicò dicendo che si sarebbe unito alla coalizione contro l’Isis, ma che non avrebbe mandato truppe, dato che erano appena sufficienti per difendere il paese contro i terroristi. Le relazioni fra i due paesi sono sempre tese, anche se l’America ha consegnato, a malincuore, gli elicotteri Apache, impegno che avrebbe dovuto assolvere un anno fa.
La penisola del Sinai
Senza il sostegno dell’alleato più importante, il presidente Sissi è obbligato a guardarsi intorno. Sta infatti cercando di creare una sua propria coalizione con alcuni paesi nord africani che affrontano le sue stesse minacce da Libia, Sudan e Algeria. Mantiene stretti rapporti con il governo legale libico, il cui presidente, Abdullah al Thani, è arrivato al Cairo a metà ottobre e ha firmato un accordo di cooperazione tra i due eserciti. L’Egitto addestrerà le forze di sicurezza e la polizia libica, mentre ci saranno un controllo congiunto del confine e uno scambio tra le rispettive forze di intelligence.
Intanto aerei ‘non identificati’ hanno bombardato il campo di aviazione di Tripoli, controllato dalla milizia islamica. Molti gruppi hanno accusato l’Egitto e la Casa Bianca si è affrettata a condannare i raids, anche se il Cairo ha negato ogni azione di forza al d là dei propri confini. E’ probabile che l’attacco non sia stato condotto dall’Egitto, ma da piloti libici partiti campi di aviazione egiziani, alla guida di aerei egiziani e di provenienza degli Emirati. L’esercito libico ha lanciato una strenua offensiva contro gli islamisti con l’aiuto del transfuga generale Khalifa Haftar, rioccupando Bangasi ed è pronto per riconquistare Tripoli e restaurare l’ordine.
Sissi ha poi ripreso I contatti con il presidente Sudanese Omar el Bashir. Non si sa molto su quanto si siano detti, sebbene un porta parola della presidenza egiziana abbia riferito che entrambi avrebbero deciso di cooperare, in modo speciale contro la comune minaccia libica. Venne deciso anche di creare una libera zona per il commercio lungo i confini e di trovare insieme una soluzione sul fatto che la diga sul Nilo Blu che si sta costruendo in Etiopia minaccia le riserve d’acqua di Egitto e Sudan. Invitando il presidente sudanese, sotto accusa dal Tribunale Penale Internazionale per presunti crimini di guerra contro l’umanità in Darfur, il presidente egiziano si assumeva il rischio calcolato di provocare la pubblica opinione mondiale. I bisogni del suo paese, privato dell’assistenza dagli Stati Uniti, non gli lasciava altra scelta.
La scorsa settimana l’Egitto ha cercato di convincere l’Algeria, un paese che ha 600 Km di confine con la Libia, di unirsi alla coalizione contro il terrorismo di provenienza libica. Il Ministro degli Esteri egiziano Sameh Shukri ha visitato l’Algeria e i suoi colloqui con il presidente Abdel Aziz Bouteflika si sono incentrati sulla minaccia rappresentata dalla Libia verso tutti i paesi confinanti.
Dopo l’attacco di sabato nel Sinai, il presidente Sissi ha ordinato un giro di vite contro tutte le organizzazioni terroriste, un rischio per la popolazione civile da quando si è saputo che si nascondono fra la gente comune. Lo stato di assedio è stato decretato nel nord del Sinai e chiuso il passaggio di Rafah. Alla delegazione di Hamas, nei negoziati con Israele su ‘Margine protettivo' prevista per ieri al Cairo, è stato intimato di non venire, dopo che si era saputo della sua connessione con gli attacchi.
Gli analisti militari avevano richiesto che I beduini del nord del Sinai venissero tutti espulsi per prpcedere senza ostacoli contro i terroristi. Ma per ora nessuna decisione è stata presa. Anche se si parla di creare una ‘terra di nessuno’ tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, senza vegetazione o abitanti e protetta da un confine sicuro.
Queste battaglie hanno un prezzo. Invece di concentrare gli sforzi e le risorse del paese verso le tanto attese riforme economiche e sociali finalizzate allo sviluppo e al progresso, Sissi deve combattere il terrorismo islamico che cerca di distruggere l’Egitto come ha fatto con Libia, Somalia, Yemen, Iraq e Siria. Forse la sua coalizione mancherà dell’addestramento, equipaggiamento e tecnologia americana, ma lui fa del suo meglio. Potrebbe anche chiedere aiuto alla Russia, dopo i recenti accordi conclusi con la vendita di armamenti. Dovesse perdere, sarebbe un disastro per il Medio Oriente e per l’Occidente. Incredibilmente, né gli Stati Uniti né l’Unione Europea appaiono interessati. Per non dire nulla sulla mancata assistenza.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. I suoi editoriali escono sul Jerusalem Post. Collabora con Informazione Corretta.