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La Repubblica Rassegna Stampa
27.10.2014 Impiccata Reyhaneh, donne sfregiate con l'acido: questo è il regime degli ayatollah
Commento di Vanna Vannuccini - L'ultima lettera di Reyhaneh Jabbari

Testata: La Repubblica
Data: 27 ottobre 2014
Pagina: 14
Autore:
Titolo: «L'ira delle ragazze di Teheran: 'Esecuzioni e sfregi, non riusciranno a fermarci' - 'Madre, non piangere, accuserò i giudici al tribunale di Dio e ora dona i miei occhi'»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 27/10/2014, a pag. 14-15, con il titolo "L'ira delle ragazze di Teheran: 'Esecuzioni e sfregi, non riusciranno a fermarci' ", l'articolo di Vanna Vannuccini; a pag. 15, con il titolo "Madre, non piangere, accuserò i giudici al tribunale di Dio e ora dona i miei occhi", l'ultima lettera scritta da Reyhaneh Jabbari prima di essere impiccata per aver ucciso l'uomo che cercava di stuprarla.

Reyhaneh Jabbari
Vanna Vannuccini: "L'ira delle ragazze di Teheran: 'Esecuzioni e sfregi, non riusciranno a fermarci' "

Vanna Vannuccini
Centinaia di poliziotti sono schierati sulla piazza Fatemi, vicino al ministero dell’Interno, dove sabato c’era stata la seconda grande manifestazione contro gli attacchi all’acido che hanno sfregiato almeno quattro donne, una delle quali è diventata cieca a un occhio. I social media avevano annunciato un’altra manifestazione per ieri, alla quale dovevano arrivare persone «da cinque regioni ». Da quando la notizia dell’esecuzione di Reyhaneh è diventata di dominio pubblico, la Rete è diventato l’epicentro della rivolta delle donne iraniane. «Condannare il regime e rompere il silenzio», hanno scritto le donne del Ncr, il consiglio nazionale della resistenza. «Il mondo deve prendere una posizione forte contro la ferocia dei mullah» «Corruzione e patriarcato sono le cose più brutali. Lei trovi la pace, per i suoi oppressori, l’inferno più profondo», scrive in un tweet “Nadira”.
Ma la manifestazione non c’è stata perché il ministero dell’Interno ha fatto sapere che tutti i cortei per i quali non è stata preventivamente chiesta un’autorizzazione, sono da considerarsi illegali e come tali saranno trattati. Il presidente Rohani ha chiamato i ministri degli Interni, Giustizia e Intelligence, esortandoli a lanciare un’indagine e fare seriamente ogni sforzo per trovare «colpevoli e i mandanti» degli attacchi con l’acido. «Sono atti disumani » ha detto il presidente, non bisogna fermarsi fino a che i colpevoli e i loro mandanti non saranno identificati e puniti.
Però alle manifestazioni il governo pone limiti rigorosi, vedi chiusura delle strade intorno a piazza Fatemi. «Hanno spedito su questa piazza tutti i poliziotti di Teheran», dice irritato un tassista bloccato nel traffico. Perché questa paura delle manifestazioni? Non è una contraddizione per un presidente moderato che ha promesso di rendere l’Iran un paese più libero? Lo chiedo a Abbas Abdi che mi accompagna. Abdi è un riformatore molto noto e molto attivo negli anni di Khatami, sociologo e sondaggista. «In Iran le cose non sono ma solo come sembrano. Io difendo il diritto di tutti a manifestare sempre e dovunque, ma è evidente che c’è chi vuole approfittare degli attacchi all’acido per screditare Rohani, per diffondere l’impressione che anche in Iran la violenza dell’estremismo si sia fatta strada, che l’Is alligni anche qui. I segnali sono tanti, e non ci dimentichiamo che tra poche settimane dovrebbe arrivare la conclusione positiva del negoziato sul nucleare, che ha molti nemici. Il governo deve difendersi se non vuole essere danneggiato».
Elham, una studentessa che ha partecipato alla manifestazione di sabato, dice di essere rimasta sorpresa anche lei dal numero di messaggini che lei e le sue amiche hanno ricevuto in questi giorni: inviti a non uscire di casa per paura degli attacchi all’acido: «Chi li manda? Certo volevano creare il panico». Ogni volta che c’è un governo che fa migliorare l’immagine dell’Iran nel mondo, c’è subito qualcuno che fa peggiorare la situazione, nota la regista Pouran Derkhshandé, autrice di un bellissimo film sulla condizione femminile: “Sss.. le ragazze non gridano”.
«Il governo deve andare in fondo e far chiarezza su questi crimini subito», dice Faezeh Rafsanjani, figlia dell’ex presidente che è uno dei più decisi sostenitore di Rohani. Faezeh è da sempre impegnata per i diritti delle donne: «Non si può permettere che come è sempre successo in passato nessuno venga punito perché ha qualche angelo custode da qualche parte. Crimini ignobili come questi vanno affrontati non come reati commessi contro una singola donna o una singola famiglia, che poi non troverebbe nemmeno il coraggio di chiedere il “qisas” per paura che le loro vite vengano messe ulteriormente a repentaglio. Sono crimini pubblici, contro lo Stato». Terrorismo, ha detto il ministro della giustizia Pour Mohammadi.
Anche Nasrin Sotoudeh è venuta sabato alla manifestazione su piazza Fatemi. Per essere presente, aveva terminato in anticipo la personale protesta che ogni giorno fa davanti alla sede del Consiglio degli Avvocati, a piazza Argentine. Nel 2011 l’avvocato Nasrin Sotoudeh, premio Sakharov del Parlamento europeo per il suo impegno per i diritti umani, era stata condannata a sei anni di prigione e dieci d’interdizione dall’esercizio della professione, e poi liberata nel settembre 2013, poco dopo l’elezione di Rohani. Il mese scorso una istanza interna dell’ordine degli avvocati le aveva restituito il diritto di esercitare, ma subito dopo un’istanza superiore l’aveva cancellato: «Non si può nemmeno ignorare o sottovalutare che la mentalità che porta a compiere crimini come gli attacchi all’acido è stata creata e nutrita da un sistema». Abbas Abdi è d’accordo con lei. «Anche se non conosciamo ancora chi siano gli autori degli attacchi è sicuro che sta crescendo la resistenza al flusso crescente della presenza delle donne nella società».
Il processo dell’avanzata delle donne nella società cominciò con la rivoluzione, sostiene Abdi che era stato un rivoluzionario della prima ora come molti dei politici riformatori che poi sostennero Khatami. Fu con la rivoluzione che le figlie delle famiglie tradizionaliste uscirono per la prima volta dalle case, ancorché coperte da un chador che però per molte divenne una sorta di lasciapassare. «Ma l’accelerazione di questo processo negli ultimi anni è diventata per alcuni settori più retrivi della società difficile da digerire».
Reyhaneh Jabbari: "Madre, non piangere, accuserò i giudici al tribunale di Dio e ora dona i miei occhi"

Reyhaneh Jabbari
Ecco l’ultima lettera, pubblicata su Huffington Post, che Reyahneh Jabbari, impiccata a 2-6 anni per aver ucciso il suo stupratore, ha scritto a sua madre Sholeh.
Cara madre,
oggi ho appreso che ora è il mio turno di affrontare la Qisas ( la legge del taglione del regime iraniano, ndr). Mi ferisce che tu stessa non mi abbia fatto sapere che ero arrivata all’ultima pagina del libro della mia vita. Non credi avrei dovuto saperlo? Perché
non mi hai dato la possibilità di baciare la tua mano e quella di papà?
Il mondo mi ha concesso di vivere per 19 anni. Quella orribile notte io avrei dovuto essere uccisa. Il mio corpo sarebbe stato gettato in qualche angolo della città e dopo qualche giorno la polizia ti avrebbe portato all’obitorio per identificare il mio corpo e là avresti saputo che ero anche stata stuprata. L’assassino non sarebbe mai stato trovato, dato che noi non siamo ricchi e potenti come lui. Poi tu avresti continuato la tua vita soffrendo e vergognandoti e qualche anno dopo saresti morta per questa sofferenza e sarebbe andata così.
Ma con quel maledetto colpo la storia è cambiata. Il mio corpo non è stato gettato da qualche parte ma nella tomba della prigione di Evin e della sua sezione di isolamento. E ora nella prigione-tomba di Shahr-e Ray. Ma arrenditi al destino e non lamentarti. Tu sai bene che la morte non è la fine della vita. Tu mi hai insegnato che si arriva in questo mondo per fare esperienza e imparare la lezione e che a ognuno che nasce viene messa una responsabilità sulle spalle. Ho imparato che a volte bisogna lottare.
Tu ci hai insegnato, quando andavamo a scuola, che si deve essere una signora di fronte alle discussioni e alle lamentele. Ti ricordi quanto notavi il modo in cui ci comportavamo? La tua esperienza era sbagliata. Essere presentabile in tribunale mi ha fatto apparire come un’assassina a sangue freddo. Non ho versato lacrime. Non ho implorato. Non mi sono disperata, perché avevo fiducia nella legge. Ma sono stata accusata di rimanere indifferente di fronte ad un crimine. Lo sai, non uccidevo neanche le zanzare e gettavo via gli scarafaggi prendendoli dalle antenne e ora sono diventata un’assassina volontaria. Il modo in cui trattavo gli animali è stato interpretato come un comportamento mascolino e il giudice non si è neanche preoccupato di tenere in considerazione il fatto che all’epoca dell’incidente avevo le unghie lunghe e laccate. Quant’è ottimista colui che si aspetta giustizia dai giudici! Il giudice non ha mai contestato il fatto che le mie mani non sono ruvide come quelle di uno sportivo, specialmente un pugile. E questo paese per il quale tu hai piantato l’amore in me, non mi ha mai voluto e nessuno mi ha sostenuto quando sotto i colpi degli inquirenti gridavo e sentivo i termini più volgari. Quando ho perduto il mio ultimo segno di bellezza, rasandomi i capelli, sono stata ricompensata: 11 giorni in isolamento.
Cara mamma, non piangere per ciò che stai sentendo. Il primo giorno in cui alla stazione di polizia una vecchia agente zitella mi ha schiaffeggiato per le mie unghie, ho capito che la bellezza non viene ricercata in quest’epoca. La bellezza dell’aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desideri, una bella scrittura, la bellezza degli occhi e della visione e persino la bellezza di una voce dolce.
Le mie parole sono eterne e le affido tutte a qualcun altro, in modo che quando verrò giustiziata senza la tua presenza e senza che tu lo sappia, ti vengano consegnate. Ti lascio molto parole scritte a mano come mia eredità.
Però, prima della mia morte voglio qualcosa da te, qualcosa che mi devi dare con tutte le tue forze. In realtà è l’unica cosa che voglio da questo mondo, da questo paese e da te. So che avrai bisogno di tempo per questo. Ti prego non piangere e ascolta. Voglio che tu vada in tribunale e dica a tutti la mia richiesta. Mia dolce madre, l’unica che mi è più cara della vita, non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore diventino polvere. Prega perché venga disposto che, non appena sarò stata impiccata il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le ossa e qualunque altra cosa che possa essere trapiantata venga presa dal mio corpo e data a qualcuno che ne ha bisogno, come un dono. Non voglio che il destinatario conosca il mio nome, compratemi un mazzo di fiori, oppure pregate per me. Te lo dico dal profondo del mio cuore che non voglio avere una tomba dove tu andrai a piangere e a soffrire. Non voglio che tu ti vesta di nero per me. Fai di tutto per dimenticare i miei giorni difficili. Dammi al vento perché mi porti via.
Il mondo non ci ama. Non ha voluto che si compisse il mio destino. E ora mi arrendo ad esso ed abbraccio la morte. Perché di fronte al tribunale di Dio io accuserò gli ispettori, accuserò il giudice e i giudici della Corte Suprema che mi hanno picchiato mentre ero sveglia e non hanno smesso di minacciarmi. Nel tribunale del creatore accuserò tutti coloro che per ignoranza e con le loro bugie mi hanno fatto del male ed hanno calpestato i mie diritti e non hanno prestato attenzione al fatto che a volte ciò che sembra vero è molto diverso dalla realtà.
Cara Sholeh dal cuore tenero, nell’altro mondo siamo tu ed io gli accusatori e gli altri gli accusati. Vediamo cosa vuole Dio. Vorrei abbracciarti fino alla morte. Ti voglio bene.
Reyhaneh
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