Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 24/10/2014, a pag. 1/12, con il titolo "Addio bombe e mitra: la strage ora arriva con l'auto sulla folla", l'analisi di Fiamma Nirenstein.
A destra: l'attentato a Gerusalemme del 22 ottobre 2014
Fiamma Nirenstein
Sono le armi più vili e pericolose quelle della vita quotidiana. Le immagini del video dell'attentato di mercoledì a Gerusalemme minacciano tutti: una piccola folla scende dal tram, fra loro una coppia con una carrozzina dove Chaia Zisser vive i suoi ultimi momenti di creatura di tre mesi. La mamma si liscia la gonna, il padre spinge la carrozzina, anche loro sono quasi ragazzi. E, un attimo dopo, sui viaggiatori piomba un'auto bianca. Si avventa a tutta velocità sulla pensilina affollata, uccide Chaia, ferisce 7 persone. Niente rende un attacco più letale della sua domesticità, e che cosa può essere più usuale di un'utilitaria che si avvicina. Eli Dayan, uno dei passeggeri del tram appena sceso, racconta che, alla vista dell'auto bianca, ha afferrato il figlio e l'ha trascinato giù dalla pensilina, mentre due donne venivano travolte. «Durante la prima Intifada, dicevo ai miei figli di guardarsi dall'autobus; poi, dopo l'attacco del 4 agosto, gli ho detto di cambiare strada alla vista di una ruspa. Ci sono stati diversi attacchi col caterpillar. Quello rovesciò un autobus e un'auto uccidendo una persona e ferendone cinque. Adesso, cerco di evitare le fermate, e occhio a qualsiasi macchina che si avvicina». «Che devo fare», dice una donna alla fermata dell'attacco, a Givat ha Tachmoshet, Gerusalemme est, «devo per forza prendere questo tram per andare a lavorare ogni mattina, aspettare con gli altri... non c'è che incrociare le dita e sorvegliare ogni macchina che si avvicina. Se corre, saltare».
Non ci aveva pensato, in Canada, Patrice Vincent, il soldato ucciso lunedì scorso a Montreal con un'automobile dal neoconvertito islamista Martin Couture Rouleau, che voleva unirsi all'Isis e glorificava il martirio sul sito del gruppo islamista. Anche il terrorista di Gerusalemme è stato esaltato da Hamas e dalla Jihad islamica, che hanno salutato con ammirazione il «martire» Abdel Rahman al Shaludi che, come Vincent, ci ha rimesso la vita. «L'attacco a Gerusalemme è un atto di eroismo», ha detto Mushir al Masri, un importante portavoce di Hamas. Un incoraggiamento a compiere altri attacchi con tutti i mezzi a disposizione. Frase che suona sinistramente analoga a quella diffusa nei giorni scorsi dall'Isis per suggerire ai suoi adepti in Occidente: «Se non riuscite a trovare una bomba o un proiettile... usate la vostra auto e investiteli». E Rouleau ha eseguito alla lettera, puntando l'auto contro due soldati investendoli e causando la morte di uno di loro. Eppure la polizia canadese l'aveva messo sotto sorveglianza da cinque mesi e gli aveva ritirato il passaporto. Ma non è bastato: tutti possono avere un'auto e la futura moda del terrorismo sembra essere accelerare e trasformarla in un'arma letale. Quindi da oggi Londra, Roma o Parigi potrebbero essere come Gerusalemme, che in questi giorni è un campo di battaglia: città in cui ogni passante può essere un obiettivo, ogni automobilista può essere un attentatore. Ed è qui che la nostra mentalità ci impedisce di capire il punto di vista del terrorismo: gli infedeli, per motivi svariati, sia che partecipino alla coalizione che attacca l'Isis in Irak e in Siria, sia che parteggino per gli israeliani su una terra che essi ritengono proprietà dell'ummah islamica, sono nemici dell'unica soluzione auspicabile, l'islamizzazione complessiva. La scelta degli strumenti quotidiani è la nuova strategia che permette di passare dal deserto alle nostre citta. E adesso fra le armi alla portata di tutti quella che si profila più pericolosa è l'uso di malattie infettive. Uno «shahid» che porta una malattia mortale è una bomba atomica.
Gerusalemme: il luogo dell'attentato
IL FOGLIO - Editoriale: "Gerusalemme sotto attacco"
"Gerusalemme è sotto attacco", ha detto ieri il premier israeliano Bibi Netanyahu, e si riferiva, certo, all'attentato terroristico di mercoledì, quando Abdel Rahman al Shaludi, un affiliato di Hamas con precedenti per violenza, è piombato sulla banchina di un treno urbano, alla fermata Ammunition Hill, e ha travolto i passeggeri che uscivano dal mezzo: una bambina di tre mesi è stata uccisa, sette persone sono rimaste ferite. Ma quando dice che Gerusalemme è sotto attacco, Bibi parla di una situazione che va avanti da mesi, e di cui l'attentato di mercoledì è solo l'esplosione più recente. Nella capitale, anche quando il conflitto di questa estate nella Striscia di Gaza si è spento, la violenza non si è mai fermata. Ieri a Gerusalemme est, ad appena un giorno dall'attacco, qualcuno ha iniziato a lanciare pietre nel cortile di un asilo frequentato soprattutto da bambini israeliani. I bimbi sono corsi dentro, nessuno si è fatto male, ma le pietre lanciate hanno un valore simbolico enorme. Hanno tirato dei sassi tutte le sere anche contro il treno leggero che è stato il bersaglio dell'attentato. Il treno collega il centro della città con Gerusalemme est ed è stato elogiato come un simbolo di pace, ma quando entra dentro i quartieri arabi puntualmente i suoi vetri sono rotti da grosse pietre, a volte le carrozze sono colpite da bombe molotov. E' così in tutta Gerusalemme est, almeno da luglio, e ieri Haaretz ha parlato di Intifada. Il governo israeliano da tempo è diviso su come gestire la sicurezza nella capitale, il problema è la strategia del "containment", che cerca di prevenire l'escalation della violenza e l'estensione del conflitto, ma non cura la violenza che è già presente, la faida quotidiana che rende la vita della città un incubo di cui sembra impossibile vedere la fine e che fa di Gerusalemme il simbolo di tutte le cose che non funzionano nel processo di pace. Pochi giorni fa il presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen, che governa insieme con i terroristi di Hamas, ha incitato indirettamente i palestinesi ad attaccare gli ebrei di Gerusalemme, e ieri il suo portavoce ha definito l'attentato di mercoledì una "risposta naturale" alle politiche aggressive di Israele. All'interno del processo di pace, fermo da mesi, non sono previsti nuovi colloqui.
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