Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/10/2014, a pag. 30, con il titolo "Louis Ginzberg: tutto quello che la Bibbia non vi ha raccontato", l'articolo di Elena Loewenthal.
Elena Loewenthal Louis Ginzberg
Mosè spezza le Tavole della Legge (Rembrandt)
Che schianto inaudito, dev'essere stato: le due tavole incise che si levano ancora un istante verso il cielo, là da dove sono discese, e poi precipitano al suolo per un accesso d'ira titanica, alla vista del Vitello d'oro, che solo Iddio riesce a placare, convincendo infine Mosè a tornare lassù e riceverne delle altre di rimpiazzo. Quella delle prime tavole della Legge, perdute per sempre per collera dell'uomo che le aveva appena ricevute, è una storia terribile e struggente a un tempo. E' soprattutto il segno di un mistero che non risolveremo mai: che cosa c'era inciso? Quale parola divina vi stava scritta? In fondo, nella sua instancabile indagine sul testo della Torah, tutta la tradizione ebraica ruota intorno a questo mistero. Intorno a ciò che sta scritto, ma anche e soprattutto a quello che non c'è: i maestri dicono infatti che del libro sacro bisogna studiare capitoli e versetti, parole e lettere, pezzi di lettere. Ma l'attenzione maggiore va dedicata agli spazi bianchi fra le righe, a ciò che la Bibbia contiene nella parola e nel silenzio, perché in essa «c'è tutto: voltala e rivoltala!», cosi è detto. Questo imperativo di ricerca significa dipanare il testo sacro per estrarne tutto ciò che vi è implicito, in una infinita rifrazione di parole. E così, in millenni di studio e narrazione, lo scarno racconto biblico si arricchisce di particolari, immagini, suggestioni. Ma tutto era rimasto un magma confuso nel mare magnum della tradizione testuale ebraica sinché nel 1909 non apparve in sette volumi The Legends of the Jews, lo strabiliante opus magnum di Louis Ginzberg, intellettuale nato a Vilna nel 1873 e morto a New York nel 1953, esponente del giudaismo «conservative», cioè moderatamente riformato rispetto all'ortodossia e vocato allo studio della tradizione con metodologie moderne. Le leggende degli ebrei, di cui anni fa Adelphi ha avviato la traduzione italiana di cui oggi vede la luce il penultimo volume, sono un'opera straordinaria per due aspetti. Louis Ginzberg ha saputo dare unità narrativa a una mole impensabile di materiali sparsi, e così il racconto si fa sempre più avvincente e incalzante di pagina in pagina. Forse più che mai in questo volume, dove si narrano l'erranza nel deserto e la rivelazione al Sinai, con la doppia consegna delle Tavole della Legge. Ma quella di Ginzberg è stata anche e fondamentalmente un'impresa filologica, dove il corpus delle note con la puntuale indicazione delle fonti e delle versioni alternative al racconto presentato nel testo costituisce un'opera a sé stante, oltre che un immenso apparato critico. E malgrado sia passato più di un secolo, questa documentazione ha ancora tutta la sua rilevanza. Certo, per l'edizione italiana si è provveduto a un aggiornamento della bibliografia e dell'apparato di fonti -anche con le indicazioni di ormai insostituibili riferimenti online. Ma la revisione attuale non è altro che la conferma della straordinarietà dell'opera nella sua versione originale, concepita per un pubblico di studiosi ma soprattutto di lettori avidi di storie. Che, per dirla biblicamente, troveranno qui «il pane dei pani» per i loro denti.
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