Il Kurdistan esiste, ma nessuno lo riconosce. La palestina, invece...
Commento di Mordechai Kedar
(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)
Il Kurdistan è uno Stato, ma non fa la guerra a Israele, sarà per questo che non conta nulla...
A destra la sua bandiera
Tutti gli attori del dramma “Stato Islamico” sono in attesa di vedere che cosa succederà ai curdi.
La battaglia nella città curda di Kobane, nel Nord della Siria, è diventata un punto di convergenza per tutte le forze oggi presenti nell’arena mediorientale: gli islamisti radicali sono rappresentati dallo “Stato Islamico”, gli stati falliti dalla Siria, i finanziatori dal Qatar, gli ipocriti dalla Turchia, le nazioni in rivolta dagli USA e quelli ribelli da Libano, Giordania e Israele.
L’Islam radicale sta guadagnando sempre più potere come “Stato islamico”, riuscendo a sconfiggere città e villaggi, fortezze e basi militari. Kobane, una città curdo-siriana al confine turco, si è rifiutata di aderire allo “Stato islamico”, così i suoi abitanti sono stati debitamente condannati alla usuale punizione: gli uomini massacrati e le donne vendute al mercato degli schiavi.
I curdi, però, non hanno accettato quel verdetto e stanno combattendo coraggiosamente, fino all’ultimo uomo. Il regime di Assad chiama la città “Ayn Al-Arab”, ma i curdi la chiamano “Ayn Al-Kurd”. Questa differenza di nome non è semplicemente semantica; esprime la lotta tra i curdi e Assad, il quale vuole una Siria araba che ignori l’identità curda, mentre i curdi vogliono una zona indipendente, se non uno Stato indipendente, a spese di Siria, Iraq, Turchia e Iran. Assad ha abbandonato i curdi al loro destino, al fine di dare loro una lezione, e, per quanto lo riguarda, che siano sterminati fino all’ultimo uomo. Anche il governo turco, guidato dal Presidente Erdogan e dal Primo Ministro Davutoglu, vuole dare una lezione ai curdi, sulle note di: “Volevate un’entità curda? Ora, godetevi lo Stato islamico!”.
Ma i 200.000 curdi fuggiti in Turchia il mese scorso, oltre ai 15 milioni di curdi turchi, non sono disposti a vedere i loro fratelli di Kobane sterminati e venduti come schiavi, mentre il grande e potente esercito turco si trova a un tiro di schioppo e non muove un dito. In Turchia decine di curdi sono stati uccisi dalla polizia durante le manifestazioni per protestare contro l’indifferenza del Paese a ciò che sta accadendo a Kobane, e la polizia turca - se potesse - sarebbe felice di partecipare all’eliminazione dei curdi, fino allo ultimo uomo.
La politica estera mediorientale di Obama poggia sulle operazioni di terra svolte dagli alleati locali, mentre il coinvolgimento degli Stati Uniti e dell’Occidente è espresso dai bombardamenti aerei. Questo è il modo con cui Obama vuole sconfiggere lo “Stato islamico”, ed è persino disposto a facilitare le richieste nucleari all’Iran, per costringerlo a inviare armi ai curdi, in modo che possano difendersi.
I curdi accusano l’America di aver aspettato ben tre anni prima di intervenire in Siria, ritengono che Assad sia all’origine del problema e che l’indifferenza internazionale alla ribellione siriana abbia portato a una lenta agonia di quel regime , permettendo così allo “Stato Islamico” di rafforzarsi, accumulare armi, denaro e combattenti al fine di eliminare i curdi, fino all’ultimo uomo. Il rapporto tra Obama e Erdogan, membro onorario della NATO,si è incrinato - di usare il proprio territorio come un corridoio- per la sua indifferenza nei confronti dello “Stato Islamico” e il suo disinteresse verso il triste destino del popolo di Kobane.
Kobane
Ma Obama ha paura di aprire bocca perché teme che Erdogan gli possa chiedere di porgergli le sue scuse, come aveva fatto - e debitamente ottenuto – con il Vice Presidente americano Joe Biden. Washington trema per timore che il capriccioso Erdogan possa imporre agli Stati Uniti di chiudere la base aerea di Incirlik, centro della presenza militare americana in una regione che include Russia e Ucraina, oltre all’altro problema rappresentato dai curdi.
Lo “Stato islamico” sta collaborando con Jabhat al-Nusra, un ramo di al Qaeda, al fine di mantenere la promessa che “dopo aver spazzato il ratto da Damasco, sarà la volta di spazzare il ratto via da Beirut”. Il movimento di Hezbollah sta disperatamente tentando di arginare la marea, ma la battaglia è strisciante e si avvicina sempre più al Libano.
La città libanese di Arsal, sul confine siriano-libanese, da diversi mesi ormai è servita da campo di battaglia tra i jihadisti sunniti dello “Stato islamico” insieme a Jabhat al Nusra, da un lato, e i jihadisti sciiti di Hezbollah dall’altro, che cercano disperatamente di impedire che la guerra si riversi in Libano.
Il coraggio dei curdi a Kobane rincuora Hezbollah, ma la sua imminente caduta fa temere a Nasrallah che il suo destino sarà identico a quello ultimo dei curdi. La Giordania ha aderito all’operazione aerea contro lo “Stato Islamico”, ma è preoccupata per una possibile vendetta. Una settimana fa ha chiuso ai rifugiati la sua frontiera con la Siria, per paura che membri dello “Stato Islamico” potessero infiltrarsi in Giordania mimetizzati tra i rifugiati e poi aprire un fronte interno contro il regime. Ma i cavalli sono già fuggiti dalla stalla: tra i 600.000 rifugiati siriani già entrati in Giordania, ce ne sono sicuramente parecchi che s’identificano con lo “Stato Islamico”.
Il servizio segreto giordano ne ha arrestati alcuni, nella speranza che il governo non si trovi improvvisamente a lottare per la sopravvivenza come sta succedendo ai curdi.
Il Qatar sta cercando di ridurre il proprio sostegno allo “Stato Islamico”, trasferendo i suoi finanziamenti tramite qatarioti privati. Per due motivi: In primo luogo, l’identificazione con l’obiettivo dello “Stato Islamico”, di governare il mondo intero attraverso l’Islam nella sua forma pura e non snaturata. Secondo, l’acquisizione di una polizza assicurativa contro le minacce e gli attacchi dello “Stato Islamico”. Nel gergo della mafia, si chiama “pizzo”.
E’ vero che Israele è preoccupato per la protesta su Facebook per il prezzo dello yogurt e del latte, e per l’amore che gli israeliani di recente hanno dimostrato per la città di Berlino attraverso i social media, ma lo è anche per il livello di instabilità del regime giordano, per i due attacchi premeditati di Hezbollah la settimana scorsa, per la cooperazione di Jabhat al Nusra con lo “Stato Islamico” (il primo è proprio di fronte alle Colline del Golan in Israele), dai primi segni dello “Stato Islamico” a Gaza e nel Sinai, così come tra gli arabi-israeliani, venti dei quali sono andati nei campi della Jihad in Siria e Iraq.
Alcuni stanno già ricevendo ricompense in Paradiso, per i loro sacrifici santificati a favore dello “Stato Islamico” e contro i curdi. Tutti gli protagonisti della regione sono in attesa di vedere quale sarà il destino di Kobane.
Ognuno trarrà le proprie conclusioni dalla caduta o dalla sopravvivenza. Non ci sono mai stati tanti punti di osservazione - per un periodo così lungo – su una battaglia fatale con risultati di così vasta portata.
Auguro ai valorosi combattenti curdi ogni successo possibile, fino all’ultimo uomo.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Il link all'articolo in inglese: http://www.israelnationalnews.com/Articles/Article.aspx/15802#.VDz6CPmSzgI