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La Stampa - Il Giornale - Il Manifesto Rassegna Stampa
15.10.2014 Palestina: Londra riconosce lo Stato terrorista che non vuole la pace
Cronaca di Maurizio Molinari, commento di Fiamma Nirenstein, L'esultanza del Manifesto

Testata:La Stampa - Il Giornale - Il Manifesto
Autore: Maurizio Molinari - Fiamma Nirenstein
Titolo: «Stato palestinese: ora Israele teme l'effetto domino - Londra riconosce la Palestina e piovono miliardi su Hamas»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, a pag. 17, con il titolo "Stato palestinese: ora Israele teme l'effetto domino", la cronaca di Maurizio Molinari; dal GIORNALE, a pag. 14, con il titolo "Londra riconosce la Palestina e piovono miliardi su Hamas", il commento di Fiamma Nirenstein.
Segue il titolo del MANIFESTO, a caratteri cubitali in prima pagina, che esulta... più che comprensibile, visto l'appoggio esplicito che il quotidiano comunista rivolge ai terroristi islamisti che promettono di distruggere Israele.
Alla mozione del Parlamento inglese dovrà comunque seguire la decisione del governo di David Cameron.


Spettri palestinisti sul Big Ben - Londra

Ecco gli articoli:


Avigdor Lieberman               David Cameron           Abu Mazen

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Stato palestinese: ora Israele teme l'effetto domino"


Maurizio Molinari

Abu Mazen vede rafforzate le speranze di un successo al Consiglio di Sicurezza dell’Onu mentre Benjamin Netanyahu teme «seri danni per il negoziato di pace»: sono opposte le reazioni di Ramallah e Gerusalemme al domino di decisioni pro-palestinesi in arrivo dal Vecchio Continente. A una settimana di distanza dal pronunciamento del neo-premier di Stoccolma in favore del «riconoscimento della Palestina» è stato il Parlamento britannico, con un voto non vincolante per il governo, a esprimersi in termini analoghi e qualcosa del genere sembra maturare a Parigi, dove il ministro degli Esteri Laurent Fabius fa sapere che «la Francia vuole adottare in favore del riconoscimento della Palestina una decisione capace di avere conseguenze concrete».
Per Ramallah si tratta dell’affermazione crescente nell’Unione Europea di posizioni favorevoli alla bozza di risoluzione che Abu Mazen ha presentato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per ottenere «il pieno ritiro di Israele da tutti i territori occupati nel 1967, inclusa Gerusalemme Est, entro il novembre 2016». Nabil Shaat, veterano dei negoziatori palestinesi, afferma che «al Consiglio di Sicurezza abbiamo già 7-9 voti favorevoli» ovvero manca poco al quorum di 10 che potrebbe significare luce verde se gli Stati Uniti non opporranno il veto. Con il sostegno di Mosca e Pechino mai in dubbio e le posizioni di Londra e Parigi in rapida evoluzione si spiega l’ottimismo di Hanan Ashrawi, della vecchia guardia di Al Fatah: «Il voto del Parlamento britannico darà coraggio a chi in Europa ritiene sia giunto il momento di riconoscere i diritti dei palestinesi». Anche l’ambasciatore britannico a Tel Aviv, Matthew Gould, condivide questo stato d’animo: «Israele non deve sottovalutare il voto del nostro Parlamento perché indica un indebolimento del sostegno da parte dell’opinione pubblica a seguito della guerra a Gaza e degli annunci di nuovi insediamenti».
Ma a Gerusalemme il domino europeo pro-palestinese viene interpretato in maniera differente. «Manda un messaggio sbagliato ai palestinesi perché gli fa capire che possono ottenere ciò che vogliono evitando le scelte che entrambe le parti devono compiere» afferma il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, parlando da Roma dove ha incontrato il capo della Farnesina, Federica Mogherini. «Le decisioni che arrivano dall’Europa - aggiunge Emmanuel Nachshon, portavoce del ministero degli Esteri israeliano - nascono dalla frustrazione per l’assenza di risultati nel negoziato ma rischiano di avere l’effetto opposto perché spingono i palestinesi all’intransigenza». Il riferimento è non solo alla disputa sui confini ma ai due contenziosi che Israele considera più ad alto rischio: il ritorno dei profughi del 1948 e la cooperazione sulla sicurezza. La preoccupazione di Gerusalemme si rispecchia nelle parole di Samantha Power, l’ambasciatrice Usa all’Onu, contraria alla bozza di risoluzione di Abu Mazen «perché ipotizza la nascita della Palestina senza un accordo fra le parti» come previsto dagli accordi di Oslo del 1993 da cui il negoziato è incominciato.

IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Londra riconosce la Palestina e piovono miliardi su Hamas"


Fiamma Nirenstein

I palestinesi sono di ottimo umore in questi giorni: al supermarket della storia hanno comprato alcuni grossi successi in cambio di niente. E «niente» non è una merce che a un tavolo delle trattative possa essere scambiata. Se chiedi 4 miliardi di dollari per riparare i guai che tu hai combinato, senza nemmeno offrire una garanzia di gestione, e invece una cinquantina di Stati al Cairo si affrettano a mettertene in mano 5 e mezzo per la ricostruzione di Gaza, perché mai dovresti cercare di trattare la pace? Puoi avere tutto senza dare niente. Inoltre, sono giorni davvero dorati: un Paese come l'Inghilterra (preceduto pochi giorni fa dalla Svezia) ha votato in parlamento il riconoscimento di uno Stato palestinese i cui confini e i cui doveri non sono mai stati definiti, uno Stato non democratico che predica la violenza. Dunque perché mai i Palestinesi dovrebbero trattare confini che l'Inghilterra stabilisce per loro ai confini del '67, perché dovrebbero rinunciare alla violenza e ad Hamas, un'organizzazione terrorista che dichiara senza problemi che distruggerà lo Stato d'Israele? Sono 138 gli Stati che riconoscono la Palestina, ma Svezia e Inghilterra sono le prime in Europa. Una cosa è certa: è più facile che ne esca una guerra che una pace; di nuovo l'America, e a ruota l'Europa, sbagliano strada, proprio come quando Obama ha ritirato i suoi uomini dall'Iraq: da un gesto pacifista, è uscita fuori l'Isis. Ovviamente, nessuno vuole ammettere che questi miliardi saranno alla fine gestiti dal reale padrone della Striscia, Hamas, l'organizzazione terrorista che ha causato il disastro di Gaza e che, nonostante le distruzioni e i morti, ne tiene le chiavi. Il mondo, e anche noi, desidera la salvaguardia della popolazione, ma non di Hamas: invece, Abu Mazen e Fatah, il guardiano del tesoro che controllerà il passaggio del denaro e dei materiali da costruzione, sono parte di un governo di coalizione con Hamas, travestito da esecutivo tecnico. Intanto, comunque, dei 5 miliardi, 1,5 è dono del Qatar, e questo sarà certo depositato nelle mani di Hamas, finanziata e ospitata da quel Paese, che potrà comprare altri missili e costruirà nuove gallerie. Nel 2012, dopo l'operazione israeliana «Pilastri di Difesa», Gaza ricevette 5 miliardi e 400mila dollari: la quantità di infrastrutture belliche e soprattutto l'infinita rete di gallerie per introdurre terroristi costruiti con quel denaro disegnano il futuro. I soldi che verranno donati, compresi i venti milioni dell'Italia, forse saranno gestiti dal Pegase, il meccanismo ad hoc per i Palestinesi: l'agosto scorso ha versato 31 milioni e seicentomila euro, di cui 23 sono andati a Gaza. L'Unrwa, l'organizzazione Onu per i profughi palestinesi, è uno dei grossi destinatari del denaro: nonostante gli scopi educativi, l'Unrwa è un sistema gigantesco di reclutamento e militanza, i suoi lavoratori appartengono a Hamas e a Fatah, i suo i sistemi educativi sono antisraeliani, le sue strutture, rifugi segreti. L'erogazione regolare di enormi somme è stata giudicata da una commissione dell'Unione Europea stessa «corrotta» e «approssimativa». I milioni versati per gli impiegati d i Fatah sono andati incontrollabilmente anche a uomini di Hamas. Molto denaro è usato per versare stipendi mensili di 3000 o 4000 euro a terroristi nelle carceri palestinesi. In più, le Ong che l'Europa finanzia spesso sono basi di incitamento, e invece di aiutare donne e bambini ne fomentano l'odio. Insomma un quadro che promette guerra, e non pace. Lo stesso per il voto del parlamento inglese, spinto dai Laburisti (con l'astensione del governo) per ammiccare a quella parte dell'opinione pubblica scesa in piazza per Gaza: è triste che la più antica democrazia del mondo tratti così la democrazia più eroica nel mezzo del terremoto mediorentale.

IL MANIFESTO: "Big ben Palestina"

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