Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 14/10/2014, a pag. 1, con il titolo " 'Arrivano a Baghdad', avverte in Tv il generale di Obama riluttante", l'analisi di Daniele Raineri.
Daniele Raineri Martin Dempsey Barack Obama
Miliziani Isis
Roma. “Sabr sabr ya Baghdad”, è un motto militare dei guerriglieri dello Stato islamico che combattono in Iraq. “Ti prenderemo con la pazienza, o Baghdad”. E in effetti gli uomini di Abu Bakr al Baghdadi non stanno riuscendo ancora ad arrivare nella capitale dell’Iraq, se non con una sequenza quasi quotidiana di attentati. In questi mesi tutti gli allarmi seguiti alla caduta inaspettata delle città di Mosul, Samarra e Tikrit, quando si parlava di un’offensiva imminente al cuore del paese, sono sembrati un’esagerazione. Ora se ne parla di nuovo. Il capo di stato maggiore americano, Martin Dempsey, domenica è andato al programma “This week” della rete Abc per spiegare a che punto è la guerra americana in Iraq – anche se l’Amministrazione Obama non la definisce “guerra” davanti ai giornalisti. Il generale ha rivelato che un gruppo di guerriglieri dello Stato islamico è arrivato a soli 25 chilometri dall’aeroporto internazionale di Baghdad e che stava per sopraffare l’unica postazione dell’esercito iracheno rimasta a sbarrare la strada. Per bloccarlo gli americani hanno usato per la prima volta dal ritiro del 2011 gli elicotteri da guerra Apache, che sono efficaci ma volano a bassa quota e quindi sono anche esposti ai missili terra-aria. I guerriglieri hanno dimostrato di avere questo tipo di missili e la scorsa settimana hanno abbattuto due elicotteri dell’esercito iracheno più a nord (e hanno pubblicato su internet abbondanti prove fotografiche). Dempsey dice che “non si può stare ad aspettare che arrivino a scalare le mura, stavano per fare una tirata dritta fino a Baghdad e non possiamo lasciare che succeda. Mi aspetto comunque che arrivino presto a colpire la capitale con i mortai”. Davanti alla telecamera Dempsey ha fatto un quadro militare che suggerisce che se più soldati americani fossero impegnati a terra in Iraq le operazioni andrebbero meglio, senza però dirlo apertamente. In effetti lo aveva già detto apertamente qualche settimana fa, in audizione davanti al Congresso: “Se la situazione lo richiedesse, raccomanderei al presidente l’impiego di boots on the ground” – ma le sue parole avevano messo in difficolta l’Amministrazione, che lo aveva subito smentito. Domenica Dempsey è tornato sull’argomento: “Se avessimo squadre a terra potremmo guidare meglio i bombardamenti. Ma non siamo ancora a questo punto”. Il generale si riferisce alla difficoltà dell’intelligence americana di trovare bersagli per i piloti degli aerei. Solo circa il dieci per cento degli aerei della Coalizione (americani più altri nove paesi, inclusi alcuni stati arabi) sta davvero colpendo bersagli in questi giorni. Risulta anche dai dati che il Pentagono pubblica, aggiornati alla settimana scorsa: 1.700 missioni per 330 bombardamenti. Dempsey dice che in questi due mesi i guerriglieri dello Stato islamico si sono adattati alle nuove condizioni, hanno imparato di nuovo a nascondersi, non sono più bersagli facili – e infatti devono intervenire gli elicotteri. Però, dice Dempsey, se in futuro provassimo a riprendere la città di Mosul allora sì, sarebbe necessario un maggiore coinvolgimento dei consiglieri militari americani, che da terra potrebbero illuminare con i laser i bersagli per guidare i jet sugli obiettivi (ieri sui tabloid inglesi girava la storia di un gruppo di istruttori delle forze speciali inglesi mandato fra i curdi che ha sparato su due camion dei guerriglieri). La Casa Bianca ha alzato una barriera antincendio anche su queste dichiarazioni di Dempsey: “No, non c’è stata alcuna raccomandazione da parte di comandanti americani, là o qui a Washington, sul fatto che gli Stati Uniti dovrebbero mandare truppe da combattimento in Iraq – ha detto il consigliere per la Sicurezza nazionale, Susan E. Rice – E non mi aspetto che questo tipo di raccomandazione arrivi in futuro”.
Negata la base più preziosa a Incirlik Oltre alla partita tra Pentagono che vuole di più e Amministrazione riluttante, c’è una seconda partita con la Turchia. Ieri Ankara ha smentito di avere dato il via libera all’uso della preziosa base di Incirlik per i jet americani: potrebbe farlo se fossero impegnati per una cosiddetta no-fly zone sopra la Siria settentrionale, in modo da proteggere profughi e ribelli siriani, ha detto il primo ministro Ahmet Davutoglu. Per ora non è così, e quindi l’accordo con gli americani resta quello di sempre: soltanto droni, e solo per missioni di ricognizione.
Per inviare la propria opinione al Foglio, telefonare 06/589090, oppure cliccare sulla e-mail sottostante