Incesto omicida
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: Simone Weil
Cari amici,
a fare il distributore di cartoline come ho deciso di farlo io, parlando di Medio Oriente e di Israele, capita inevitabilmente di fare brutti incontri. Non perché non ci siano infinite cose belle da dire su Israele, sulla sua scienza e tecnologia, sulla sua diversità sociale, sulla sua democrazia, sulle sue ricchezze storiche e naturali. E naturalmente ancora di più se ne debbono dire sull'ebraismo, sui suoi tesori di pensiero e di sapienza, sulla liturgia e sul costume: una cultura che ha dato tantissimo anche ai non ebrei e che è per lo più oggetto di un'ignoranza quasi totale da parte anche di persone altrimente colte.
Purtroppo però queste cartoline non hanno e non possono avere una funzione divulgativa; non sarebbero lette e non svolgerebbero il loro compito più urgente che è quello di dare le informazioni sull'attualità, negate dai media e soffocate da una spaventosa propaganda antisraeliana e antisemita. Questa è la ragione per cui, per poterle confezionare, debbo fare i conti con tutta questa propaganda e assorbire dunque una gran dose di odio e di menzogne. Naturalmente faccio quel che posso per denunciarle, ma devo confessare che da questo lavoro mi resta sempre dentro il senso di essere un po' avvelenato, o almeno contaminato, sporcato. E francamente devo confessarvi che ciò che trovo più inquinante non è la propaganda palestinista diretta e neppure l'antisemitismo dei nostalgici del nazismo o dell'inquisiziine e neppure dei neocomunisti che hanno come componente importante della loro ideologia da futuro anteriore l'odio per Israele - mi fanno tutti un effetto comico, per quanto siano pericolosi. E comunque trovo facile denunciarli. Il veleno più ripugnante mi viene da coloro che provengono dal mondo ebraico, lo rivendichino o lo rigettino, e che usano questa loro appartenenza per vomitare odio e maldicenza su Israele e il popolo ebraico: il guitto che ostenta ebraismo in scena per poter meglio discettare sul carattere razzista dello Stato di Israele; lo "storico" che orienta le sue ricerche ambiguamente in modo da far passare come plausibili le piu' atroci calunnie del sangue (e naturalmente sputa anche lui fiele su chi difende Israele); quell'altro "storico" che cerca di dimostrare "l'inesistenza" del popolo ebraico; il giurista che si affanna a condannare i "crimini di guerra" dell'esercito israeliano a Gaza per poi ammettere che la sua documentazione era insufficiente e che la denuncia era infondata - senza avere neppure il buon senso di chiedersi perché avesse sentenziato su una base così insufficiente, se per caso in lui e nei suoi simili non si annidi un pregiudizio odioso.
Oggi voglio parlarvi di una di queste esperienze, la piu' velenosa dell' ultimo periodo, anche se ben lontana dall'attualità. Per curiosità o forse per masochismo, ho letto un'antologia di scritti di Simone Weil, la giovane donna di origini ebraiche nata nel 1909 e morta nel 1943 di anoressia vicino a Londra (da non confondersi con la politica Simone Veil, con la "v" singola, politica francese che arrivò alla carica di presidente del Parlamento Europeo). Weil e' stata molto amata come "filosofa e mistica" da persone così diverse come Bernanos e Camus, Paolo VI e Adriano Olivetti, Elsa Morante e Vittorio Messori. In molti ambienti cattolici, la Weil è considerata una specie di santa pur non essendosi mai voluta battezzare (la famiglia era di origini ebraiche ma atea e non l'aveva introdotta ad alcuna religione). La ragione non è chiarissima, ma forse ha a che fare col fatto che lei rifiutava tutta l'eredità ebraica incluso "l'Antico Testamento" e si sentiva piuttosto vicina ad eresie come gli albigesi e i manichei; o forse con il suo estremismo politico antidemocratico, imbarazzante anche ai tempi di Pio XII.
Il libro che ho letto è stato intitolato "Il fardello dell'identità" che poi sarebbero "le radici ebraiche" della Weil. C'è un' introduzione di Roberto Peverelli e ben due titolate conclusioni (brani tratti da Georges Bataille e dalla biografia di Paul Giniewski, particolamente efficace) per provare a differenziare il libro dall'antisemitismo della Weil, che è violentissimo, indifendibile. Non vale qui la pena di fare un riassunto delle sue idee. Basti dire che tutti gli eroi biblici, dal primo all'ultimo, con la sola eccezione di Giobbe e Daniele, peraltro a suo avviso non davvero ebraici, le paiono orribili e mostruosi, che il Dio di Israele le sembra selvaggio e mostruoso, che questi suoi giudizi assumono un forte aspetto razzistico perché la "filosofa" prende alla lettera l'episodio della nudità di Noè e della divisione dei destini fra i suoi figli, rovesciandone però la gerarchia per sostenere che tutto quel che viene da Cam (essenzialmente l'Egitto) è buono e santo al contrario di quel che deriva da Sam (Israele) e da Iafet (Roma, odiata quasi altrettanto). Naturalmente questo atteggiamento si estende anche al mondo contemporaneo: è nota l'adesione di Weil a un piano per limitare i diritti civili degli ebrei alla fine della guerra e impedire l'insegnamento e la pratica dell'ebraismo nella Francia quando sarebbe stata liberata. I mezzi erano diversi, ma l'obiettivo coincideva con quello di Hitler: l'eliminazione dell'ebraismo e dunque degli ebrei dall'Europa e dal mondo.
Lettura velenosa, come vi ho detto. Ma anche lettura che inquieta e interpella. Perché una persona che si sapeva di origini ebraiche si è data tanta pena nella sua breve vita per diffamare, insultare, progettare la distruzione dei suoi parenti vicini e lontani, proprio quando questi erano rinchiusi nei campi di concentramento, uccisi a centinaia di migliaia ogni mese con i mezzi più atroci? Perché una donna e per di più una "santa", che ha teorizzato la sofferenza come strada di accesso all'esperienza religiosa, è stata del tutto indifferente anzi ostile alle sofferenze del suo stesso popolo? Perché il suo giudizio è così violentemente severo verso i personaggi della tradizione ebraica e del tutto indulgente verso praticamente tutti gli altri, per cui nei miti di ogni cultura mediterranea da Dioniso ad Astarte trova "figure della Vergine e del Cristo"? Vi è una risposta standard a queste domande ed è "odio di sé Naturalmente è facile trovarla inadeguata in casi come il giudice Goldstone o Chomski; ci sono probabilmente altre più pressanti ragioni ideologiche e personali; ma nel caso di Weil, come quello del suo predecessore Otto Weininger, è chiarissimo un desiderio suicida che ormai si esprime simbolicamente e allegoricamente nella teoria e poi diventa fisico e concreto fino a portare alla morte vera e propria. Certo che è difficile trovare in altre culture una tale quantità, evidenza e fama di suicidi simbolici. Ed è forse questo che mi coinvolge e mi fa sentire contaminato, in queste prese di posizione: che in qualche misura la Weil, come tutti quelli che la pensano come lei, voleva uccidere tutti gli ebrei, tutti quelli come me (che a giudicare dal cognome sono suo lontano, spero lontanissimo parente) e uccidendo me voleva uccidere se stessa: una specie di orribile incesto dell'omicidio.
Ugo Volli