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La Stampa Rassegna Stampa
13.10.2014 Birmingham: fra pochi anni maggioranza islamica
Analisi di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 13 ottobre 2014
Pagina: 11
Autore: Francesca Paci
Titolo: «'Birmingham non è Malala, siamo noi islamici le vittime'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/10/2014, a pag. 11, con il titolo "Birmingham non è Malala, siamo noi islamici le vittime", l'analisi di Francesca Paci.


Francesca Paci          Malala Yousafzai


Per le strade di Birmingham

Lui, 24 anni, barba importante, inglese impeccabile: «Ero partito con un convoglio di aiuti umanitari. Ad Aleppo ho trovato cadaveri nelle case, sangue, panico. Dopo 20 giorni ho fatto retromarcia». Lei, 23 anni, ex studentessa modello: «Sono andata in Siria pensando al paradiso ma lì c'è l'inferno». Riusciti a tornare, i due, che non si conoscono, si celano all'ombra di Birmingham, la prima città anglosassone per numero di extracomunitari dove nel 2020 potrebbe non esserci più una maggioranza bianca.
Lui e lei hanno paura. Tutti ne hanno nei ghetti dell'ex capitale della rivoluzione industriale in cui la manifattura pesa meno del 10%, la disoccupazione è oltre la media e invece dei pub trovi bazar tipo All Hijab.
Da quando gli 007 di Londra hanno definito i connazionali arruolati in Siria «la peggior minaccia dal 2003» i musulmani, 1 ogni 4 abitanti, sono in trincea. Le donne, velate senza eccezioni, affrettano il passo. I pochi uomini che parlano abbassano la voce.
«I crimini dell'Isis mi ripugnano ma non è giusto incolpare l'intera comunità» nota il commesso di Amsons Islamic Lifestyle, sorta di Harrods halal su Coventry road, una galassia aliena a 5 fermate d'autobus dal futuristico Selfridges di Downtown. Sull'altro marciapiede la libreria islamica Ipci offre testi contro il terrorismo. A differenza dei negozi del centro non ha nulla su Malala, la neo Nobel per la pace trasferitasi nel non lontano quartiere di Edgbaston dopo l'agguato talebano. Amin, pachistano come lei e la maggioranza dei musulmani di Birmingham, ignora chi sia l'eroina di Swat e taglia corto: «L'Isis l'avete creato voi».
Certo, i ragazzi partono da qui, ammettono al Caffè Pastry. Già 100, si dice, sui 500 legionari britannici. Ma il cinquantenne Nader fa spallucce: «Perché non dovrebbero? Hanno coraggio. I musulmani sono massacrati ovunque e ci chiedete di scusarci per l'Isis. Israele però non si scusa mai». L'atmosfera è più tesa che in Belgio.
La Siria ha riaperto la ferita degli attentati del 2005 a Londra, spiega Imran Awan, esperto d'intelligence della City University: «Allora fu lanciato Prevent, un programma che, d'intesa con le moschee, monitorava i soggetti a rischio. È ancora attivo ma i musulmani non amano sentirsi spie. Inoltre la radicalizzazione non passa più dalle moschee. Così davanti alla nuova emergenza si moltiplica la sorveglianza su Birmingham che però, satura, si sta chiudendo. In pochi mesi abbiamo avuto 200 telecamere montate nelle zone musulmane all'insaputa delle comunità e tolte in seguito alle proteste, l'operazione Cavallo di Troia con 25 scuole pubbliche accusate d'inculcare la sharia rivelatasi un falso, tolleranza zero per chi torna dalla Siria».
All'aeroporto è comparso anche il body-scanner, il dispositivo di sicurezza in funzione al confine tra Israele e Gaza. Assam Baig è nato da genitori pachistani tra i mattoni rossi di Coventry, uno dei rari cronisti di cui la gente si fidi: «I giovani cercano nell'islam radicale un'identità alternativa a quella britannica da cui si sentono esclusi. In Scozia invece, i musulmani si dicono scozzesi». Come ai tempi del Londonistan, il Regno Unito scruta Birmingham per capire le falle del modello multiculturale. Le comunità «protette» cedono alla re-islamizzazione dei giovani che secondo lo studioso John-Paul Rantac non nasce più in famiglia ma da scelte individuali.
«Ci sono gruppi chiusi perché c'è una forte presenza dell'islam deobandi che scoraggia l'integrazione, ma chi va in Siria non ha background religioso» nota Innes Bowen autrice di «Medina in Birmingham, Najaf in Brent: Inside British Islam».


Islam for Dummies


Prima d'arruolarsi per il jihad i locali Yusuf Sarwar e Mohammed Ahmed avevano comprato online «Islam for Dummies». «La radicalizzazione si batte agendo sulla rabbia giovanile, non sull'islam, tra chi parte c'è di tutto, da chi cerca la redenzione per i propri "peccati" ai "turisti del jihad" interessanti allo spettacolo dal vivo ma non a combattere» insiste l'analista Jahan Mahmood. La rabbia è sempre covata nei ghetti Balsall Heath e Sparkhill, dove in 13 anni ci sono state 40 condanne per terrorismo. Volontari per lo Yemen partivano da qui già nel '99 e qui aveva sede la libreria islamica di Moazzam Begg, l'ex prigioniero di Guantanamo beniamino dei paladini dei diritti appena scagionato dall'accusa di aver addestrato mujaheddin in Siria nel 2012.
La rabbia odierna però pare meno prevedibile. Nella moschea centrale di Birmingham, una delle tante schierate contro il Califfato, l'imam 26enne Usman Mahmood si occupa dei giovani. E' solido ma tradisce difficoltà: «Mi chiedono quale sia il vero islam, spiego loro che la sharia non è in Siria ma dentro di noi ed è compatibile con la vita in Gran Bretagna. Sono confusi. Abbiamo bisogno dell'aiuto delle famiglie, la crisi inizia di solito come rivolta contro i genitori». Gli adolescenti musulmani sono ovunque. Ad Alum Rock, dove il 70% delle famiglie vive di assistenza sociale; nella scuola pubblica ebraica King David a Moseley, dove i programmi sono buoni, il cibo conforme all'Islam e pazienza per Yom Kippur; negli shisha lounge dove si fuma la pipa a acqua ascoltando Lil Wayne Euro.
«Parlano tutti di noi ma non ci conoscono» dice la 21enne Noor sul divano del Layla. Sa chi è Malala, la rispetta, ma come tanti crede che sia «usata» dall'Occidente. Non andrà in Siria. E però: «Molti vanno a fin di bene per difendere i civili ma noi musulmani risultiamo sempre i cattivi. Sono nata qui e non porto il velo: quando smetteranno di chiamarmi musulmana e sarò britannica? La lotta agli estremisti ok, ma allora anche contro gli xenofobi della English Defence League».
Rabbia, frustrazione, paranoia: la ricetta della radicalizzazione made in Birmingham. Il direttore dell'associazione «Radical Thinking» Kashan Amar mostra uno studio su 400 giovani «a rischio» che dichiarano di essere arrabbiati per l'islamofobia, la politica estera britannica, la disoccupazione, l'ego umiliato e sublimato in glorificazione della violenza: «Invece del contro-terrorismo serve una contro-narrativa che sfidi i reclutatori sul web svelandone le carenze religiose». In una comunità confusa i pifferai dell'odio giocano facile. Se un benestante della chic Hall Green come il 44enne leader dell'Islamic Society Wahid Anwar afferma di sentirsi «additato perché musulmano» e cita «Il fondamentalista riluttante» del connazionale Mohsin Hamid, immaginate chi ha 20 anni e molto meno.
Lo spiega Shahid Butt che negli anni '90 ha reclutato migliaia di jihadisti britannici per la Bosnia. Dopo vari lustri in cella, Butt, pacificato e critico dell'Isis, vive a Birmingham: «Allora usavamo i videotape ora c'è Internet, ma si lavora ancora sui grandi numeri perché nel 90% dei casi è tempo perso. Oggi in Siria non vanno solo i pazzi, c'è un forte desiderio giovanile di aggiustare un'ingiustizia. I ragazzi sono come caffettiere pronte sotto cui basta accendere il fuoco».

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