Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 13/10/2014, a pag. 20, con il titolo "Kobane al collasso: 'Servono aiuti'. Diecimila jihadisti alle porte di Bagdad", l'articolo di Alberto Stabile.
Alberto Stabile
Fotomontaggio dell'Isis: la bandiera nera dello Stato Islamico sventola a San pietro
«Abbiamo parecchi feriti, alcuni molto gravi. Le medicine, soprattutto la morfina, cominciano a scarseggiare. Ci sono migliaia di civili intrappolati che sopravvivono con una razione di acqua e di cibo al giorno. La cosa più importante dal mio punto di vista di medico è che la Turchia apra il confine in modo che gli aiuti possano arrivare a Kobane». Mohammed fa parte di una piccola squadra di medici e infermieri curdi entrati a Kobane clandestinamente per portare aiuto alla gente.
La loro, chiamiamola, sortita umanitaria ci era stata preannunciata qualche giorno fa da uno dei componenti della squadra. In realtà per molti di questi medici e infermieri si tratta di un ritorno, perché si trovavano a Kobane da mesi, e alcuni da una vita, ma quando è cominciata l'offensiva dei jihadisti e i tre ospedali della zona sono diventati impraticabili, anche loro si sono uniti al grande esodo della popolazione.
«Abbiamo aspettato, invano, che le autorità di frontiera ci dessero il permesso di rientrare. Ma non è successo. Allora abbiamo deciso che dovevamo fare qualcosa e due sere fa siamo passati. Abbiamo trovato un disastro. Nel centro della città si combatte strada per strada, direi quasi casa per casa. L'energia elettrica è stata tagliata, l'acquedotto è stato fatto saltare. Un po' d'acqua arriva soltanto da qualche pozzo privato».
Per fare un esempio, domando, ieri quanti feriti avete ricevuto? «Non sono autorizzato a fornire numeri. Possono dirle soltanto che la nostra è una piccola struttura, niente di più che un posto di pronto soccorso che, a causa dei combattimenti, siamo costretti a spostare continuamente. II dramma è che moti feriti non sono trasportabili perché rischierebbero di morire».
Non avete ambulanze? «Le ambulanze ci sono, ma sono ferme alla frontiera». E le medicine: «Abbiamo bisogno di tutto, a cominciare dalla morfina».
Si può dire che la famiglia di Mohammed sia passata attraverso le fiammate di questa guerra sin dal momento in cui i jihadisti dello Stato islamico hanno messo nel mirino i curdi siriani, accusati di avere complottato con il regime di Assad per ottenere una sorta di autonomia in cambio della loro neutralità nella rivolta contro Damasco.
I parenti di Mohammed vivevano a Tal Abyad, una cittadina di 15mila abitanti, come Kobane, nei pressi del confine con la Turchia. «Quando i miliziani, 15 mesi fa, si sono presentati a Tal Abyad c'è stata una schermaglia con le unità curde di autodifesa. La casa di mio zio è stata bruciata. Quelle dei suoi figli sono state requisite e date come alloggio ai jihadisti stranieri».
È cosi che per molti curdi, Kobane è diventata l'ultimo rifugio.
Sull'altro fronte della grande avanzata dell'Is, l'Iraq, le ultime notizie le ha diffuse nella tarda serata di ieri il sito di AI Arabiya: «Circa 10mila jihadisti sarebbero alle porte di Bagdad, pronti a sferrare un attacco alla capitale irachena», riporta il sito che cita un alto funzionario governativo iracheno intervistato dal quotidiano britannico Telegraph. E l'ufficiale più alto in grado delle forze armate Usa, il generale Martin Dempsey, capo degli Stati Maggiori Riuniti, torna a rompere le righe rispetto alla Casa Bianca sulla natura della missione dei soldati in Iraq. Dempsey ha suggerito che i "consiglieri militari" (la dizione che indica le truppe americane schierate in Iraq) con ogni probabilità dovranno assumere un ruolo più diretto nelle operazioni di terra contro l'Is una volta che le truppe irachene saranno pronte ad andare all'offensiva contro il califfato.
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