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Ugo Volli
Cartoline
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Che cosa succede intorno a Kobane 12/10/2014

Che cosa succede intorno a Kobane
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,

non parliamo abbastanza di Kobane, o forse ne parliamo troppo.
Kobane, sapete, è quella città nell'estremo nord del territorio siriano, ai confini con la Turchia, che lo Isis (meglio chiamarlo Stato Islamico, che è più chiaro) sta assediando e conquistando piano piano, nonostante la resistenza dei curdi, che sono ne sono la maggioranza della popolazione (ma vi sono anche armeni, siamo nella zona dove cent'anni fa i turchi li deportarono in terribili marce della morte durante il genocidio) e naturalmente anche arabi.
La città resiste, ma i combattenti sono troppo pochi e male armati, le armi promesse ai curdi dagli europei e anche dall'Italia non sono mai arrivate, i bombardamenti americani sono poco efficaci (forse anche perché, come ha dichiarato un esponente dell'amministrazione “Kobane non è strategica”, certamente perché Obama fa questa guerra di malavoglia, come tutte le volte in cui si è trattato di fermare gli islamisti).



combattenti curdi

Soprattutto l'esercito turco, che ha schierato dall'altra parte del confine potenti mezzi corazzati che potrebbero facilmente rompere l'assedio e schiacciare gli islamisti, si guarda bene dall'intervenire (http://www.csmonitor.com/World/Middle-East/2014/1007/Islamic-State-Why-Turkey-is-hesitating-to-prevent-fall-of-Kobane-video  ).
Perché dovrebbe aiutare i curdi, i quali da decenni si ribellano contro il potere coloniale dello stato turco che nega loro autonomia, lingua e perfino l'identità, pretendendo di assimilarli a forza?

I curdi sono oltre un terzo della popolazione dello stato di Turchia e rifiutano ostinatamente il privilegio di abbandonare la loro origine, il loro linguaggio, la loro cultura e trasformarsi in turchi; e del resto Greci, Armeni, Assiri e altre minoranze sanno bene che cosa significa lo status di minoranza nello stato turco, da quando esso è stato costretto ad abbandonare le sue ambizioni imperiali: la fuga o la morte. E poi il governo turco ha allevato con le proprie mani lo Stato Islamico: ne condivide l'ideologia islamista (e dunque l'oppressione dei diritti delle donne, l'intolleranza per le altre religioni, l'odio per la laicità e soprattutto per Israele) seppure in maniera meno sanguinosa.

 Nelle strade di Istanbul si vendono liberamente i materiali dello Stato Islamico, migliaia di jahidisti sono passati dal suo territorio per raggiungere l'esercito islamista, che si trattasse di turchi o di europei. Ci sono forti indizi per cui la Turchia lo ha armato. E certamente non si è rifiutata di pagare un riscatto quando con la consueta spregiudicatezza, lo Stato Islamico ha sequestrato dei suoi cittadini (http://www.hurriyetdailynews.com/180-jihadists-traded-by-turkey-for-hostages-report.aspx?pageID=238&nID=72587&NewsCatID=352  , http://www.latimes.com/world/middleeast/la-fg-turkish-hostages-released-by-islamic-state-20140920-story.html

 Lo scopo della Turchia in Siria è di abbattere Assad, che pure era un suo alleato e “grande amico” fino a qualche anno fa. Come in altri campi della politica turca questo obiettivo un frutto piuttosto irrazionale del nazionalismo paranoide e dello spirito di vendetta di Erdogan, fatto sta che lo Stato Islamico in teoria fa parte del fronte della ribellione ad Assad, anche se la fine del dittatore di Damasco è oggi un obiettivo assai secondario, e dunque per la Turchia è un alleato. Di qui il doppio gioco di Erdogan (http://www.tempi.it/califfato-il-pericolosissimo-doppiogioco-della-turchia#.VDZAYvl_tQc ) che ne fa oggi anche un alleato assai dubbio per l'America di Obama, che pure l'aveva individuato come il modello del suo compromesso storico con l'islamismo (http://www.gatestoneinstitute.org/4715/turkey-ally  ). Oggi non si sa chi appoggi davvero la Turchia, proprio nel suo “cortile di casa ( http://www.gatestoneinstitute.org/4764/who-does-turkey-support )

Erdogan con Obama

Diciamo che la Turchia si guarda bene dall'appoggiare davvero l'America e la Nato, ci cui fa parte, e cerca invece di negoziare dei vantaggi dalla sua posizione, come fece ai tempi della guerra del Golfo. Nel momento del bisogno si vede che la scommessa di Obama sulla Turchia è fra gli aspetti più fallimentari della sua politica (http://www.danielpipes.org/14988/how-turkey-went-bad ), come e più del suo appoggio agli islamisti in Egitto.

Aggiungo, fra parentesi, che l'antisemitismo del regime turco è troppo perfino agli occhi di Obama, che pure coindivide con Erdogan l'antipatia per i dirigenti israeliani ( http://www.gatestoneinstitute.org/4727/turkey-anti-semitism  )

 Dunque Kobane rischia di cadere presto, portando alla distruzione della zona semiautonoma curda ai confini fra Siria e Turchia che in questi anni era stata un'isola di relativa ragionevolezza nel carnaio siriano; e di lì vi è il rischio che la spinta islamista si concentri su altre zone curde, questa volta in Iraq, in particolare Kirkuk, che è strategica, essendo la capitale di un grande distretto di produzione petrolifera (http://www.stratfor.com/weekly/turkey-kurds-and-iraq-prize-and-peril-kirkuk#axzz3FdHdyxpg ).

Ne parliamo troppo poco, non solo perché è praticamente certo che la sconfitta dei curdi porterà a una catastrofe umanitaria (o se vogliamo dire le cose con chiarezza, a un “genocidio locale” delle dimensioni di Srebrenica, come avverte perfino l'Onu (http://video.corriere.it/de-mistura-avverte-a-kobane-rischio-srebrenica/eb5249e0-50ac-11e4-a586-66de2501a091 ). Ma anche perché i curdi sono gli unici attori nella regione che praticano una qualche democrazia, non sono islamisti, non odiano le donne e i cristiani, insomma sono il solo fattore di modernità e tolleranza e meritano di essere difesi anche per questo. Ma proprio anche per il loro aspetto “occidentale” i curdi non piacciono affatto ai “pacifisti”, ai “progressisti” all'opinione pubblica che conta a Bruxelles e a Washington.

 Molto meglio gli islamisti di Hamas, i “poveri palestinesi” dei curdi, che pure sono un popolo vero, differente dai suoi vicini per lingua, cultura ed etnia, stabilito da secoli sul suo territorio attuale, già riconosciuto dagli accordi successivi alla Prima Guerra mondiale, sciaguratamente abbandonati da Francia e Inghilterra dopo il riarmo turco.
Ma ne parliamo anche troppo – noi, non i pacifisti. Nel senso che rischiamo di farne un caso locale, puramente umanitario e di non fare un'analisi politica. E rischiamo di sopravvalutare lo Stato Islamico, come se fosse il solo mostro nella regione. E' certamente un nemico terribile, che rischia di consolidarsi nella regione e di provocare metastasi anche a due passi dall'Italia, in Libia e in Tunisia, oltre che nell'Africa sub-sahariana.

 Ma l'Iran non è da meno, sta continuando a costruire il suo armamento atomico approfittando delle trattative sul nucleare ostinatamente perseguite da Obama. E nel frattempo sta destabilizzando la penisola arabica: forse i suoi alleati stanno conquistando lo Yemen, sono aggressivi in Bahrein, in Libano (Hezbollah) a Gaza (Hamas), in Sudan. E l'Iran, che pure sarebbe contrario allo Stato Islamico per le stesse ragioni per cui la Turchia lo appoggerebbe, cioè l'essere avversario di Assad e anche del governo sciita dell'Iraq, si rifiuta di partecipare allo sforzo per fermarlo se non in cambio del riconoscimento del suo status di superpotenza regionale e magari dell'armamento atomico.

Il fatto è che lo Stato Islamico per ora si guarda bene dall'attaccare davvero Assad e dall'entrare nei territori sciiti. Le potenze islamiste hanno raggiunto un qualche silenzioso equilibrio fra loro, combattono le minoranze e opprimono chi non si adegua alla loro idea integralista dell'Islam.
Guardano l'Occidente impantanarsi in una guerra che non può vincere perché non è disposto a pagare il prezzo necessario a vincere qualunque guerra (l'impiego di truppe, l'impegno sul terreno). E credono tutti, la Turchia, l'Iran, gli islamisti, di poter vincere comunque. Contro la modernità, contro l'Occidente, riportando il vastissimo territorio dell'Islam mediorientale all'anarchia bellicosa e all'odio per il resto del mondo che hanno caratterizzato la sua storia per la maggior parte della sua esistenza.

Ugo Volli


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