Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 11/10/2014, a pag.1-4, il pezzo di Daniele Raineri dal titolo " Così Erdogan e Obama si guardano negli occhi mentre Kobane brucia "
Daniele Raineri soldatesse curde
La Turchia vuole da anni una zona cuscinetto (spesso chiamata anche: buffer zone) che parta dal confine e si estenda per un numero ancora imprecisato di chilometri dentro la Siria. Per averla è adesso disposta anche a vedere Kobane, la città curda e siriana appena oltre frontiera, cadere nelle mani dello Stato islamico dopo una battaglia disperante di tre settimane raccontata in diretta dai media di tutto il mondo. L'inviato speciale delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura, ieri ha detto in conferenza stampa che ormai Kobane è quasi del tutto circondata, resta soltanto un punto di entrata e uscita con il confine turco e quando anche quello cadrà sotto il controllo del gruppo di Abu Bakr al Baghdadi "allora potrebbe finire con un massacro come a Srebrenica nel 1995" (quando i serbi bosniaci marciarono su una città in teoria protetta dalle Nazioni Unite e trucidarono più di 8.000 prigionieri musulmani). Oggi, dice De Mistura, ci sono ancora 1.000 anziani curdi che rifiutano di abbandonare Kobane e altre dodicimila persone circa intrappolate nelle poche centinaia di metri tra la città e il primo reticolato del confine turco. Il governo di Ankara impedisce ai volontari curdi di passare il confine per andare in aiuto dei miliziani che stanno perdendo a Kobane e il Pentagono ha detto che i bombardamenti con gli aerei (nove ieri) non riusciranno da soli a salvare la piccola enclave, descritta ormai come "un isolotto curdo in mezzo a un mare controllato dallo Stato islamico".
La buffer zone è presentata dalla Turchia come un progetto umanitario ma si tratta in pratica di una mossa politica e militare: la creazione di fatto di un mini-stato affidato ai ribelli siriani e protetto con mezzi americani o Nato dalle incursioni aeree del governo del presidente Bashar el Assad, che in questi giorni continuano in tutta la Siria. Questo è il tema di discussione con gli americani. Ankara vuole che si impegnino a usare gli aerei per tenere lontani i bombardieri e gli elicotteri di Assad. Washington non vuole impegnarsi anche in questo tipo di operazioni, che sarebbero una dichiarazione di guerra contro Damasco e complicherebbero di molto le operazioni in corso contro lo Stato islamico in Siria e in Iraq.
Il risultato di questo confronto che assomiglia a uno stallo diplomatico è che entrambi i governi guardano Kobane bruciare senza intervenire - l'indifferenza totale non è una novità nella guerra siriana, ma questa volta c'è una collinetta appena al di là del confine e quindi protetta dalle truppe turche da dove i giornalisti internazionali possono fare la cronaca ora per ora, a differenza di quanto è accaduto durante i massacri avvenuti a Damasco, Aleppo, Homs, Raqqa e in altre città della Siria. Fonti del governo americano dicono (alla Cnn, tra gli altri) che salvare Kobane non è una priorità delle operazioni militari in Siria e che non c'è l'intenzione di restare invischiati "in una strategia città per città".
I turchi non fanno molte dichiarazioni, ma sbarrano di fatto la strada ai volontari curdi che vorrebbero attraversare il confine e accorrere in soccorso di Kobane. Ankara affronta le proteste interne in cui sono morti già 31 curdi (il bilancio di 4 giorni) e anche le minacce da parte del gruppo Pkk, che avverte che in caso di caduta di Kobane sarà di nuovo guerra con il governo del presidente Recep Tayyip Erdogan. La Turchia accetta questa destabilizzazione per una campagna da cui non ha mai tolto gli occhi negli ultimi tre anni: la lotta contro Assad. La zona cuscinetto che chiede Erdogan potrebbe finalmente ospitare i milioni di profughi siriani che oggi sono in Turchia, e in poco tempo evolverebbe in un'area protetta in cui i ribelli siriani potrebbero addestrarsi (proprio ieri Ankara s'è detta pronta a collaborare all'addestramento dei ribelli, anche se a questo punto della guerra le parole "addestramento dei ribelli siriani" suonano come parole vuote e fantastiche, non più appartenenti al regno delle cose serie). "Sarebbe un'area dove una struttura di governo alternativo siriano metterebbe radici", dice al New York Times Frederic Hof, ex inviato speciale per la Siria del presidente americano Barack Obama
Due giorni fa sui social media sono cominciate a circolare nuove foto di uno dei leader dello Stato islamico che sta comandando l'offensiva su Kobane: si tratta di Abu Khattab al Kurdi, che com'è chiaro dal kunya, il nome di guerra, è curdo. Come pure è curdo e di Diyarbakir - quasi certamente - anche Halis Bayancuk, un predicatore dello Stato islamico conosciuto con il nome di Abu Hanzala. E' stato rilasciato ieri notte dalle autorità turche (era stato arrestato per la quarta volta a gennaio) e la mossa sta provocando critiche per il tempismo considerato inappropriato.
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