Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 09/10/2014, a pagg. 1 e 4, con il titolo "La spia di Teheran", la cronaca di Tatiana Boutourline.
Tatiana Boutourline Il generale Qassem Suleimani
Il generale David Petraeus Hassan Rohani
Roma. C’era una volta il principe delle ombre di Teheran, Qassem Suleimani, lo 007 più inafferrabile del Medio Oriente, appariva, scompariva e non lasciava traccia. A Baghdad, la leggenda vuole che si materializzasse dentro la zona verde in piena èra Petraeus e camminasse indisturbato senza guardie del corpo. “E’ ovunque e da nessuna parte”, dicevano di lui. Dexter Filkins, che ne ha tracciato un lungo ritratto sul New Yorker, lo ha accomunato a Keyser Söze, il misterioso protagonista de “I soliti sospetti”. “La beffa più grande che il diavolo abbia mai orchestrato è stata convincere il mondo che lui non esiste”, diceva Kevin Spacey nel film e, proprio come Söze, Suleimani è sempre parso non solo enigmatico, ma evanescente, la sua cifra era l’assenza. Bastava evocarlo per suscitare il terrore perché il capo di al Quds dominava per sottrazione. Poi, all’inizio di settembre, nelle immagini di un video diffuso su Twitter è improvvisamente comparso un altro Suleimani, più pingue del consueto e un po’ invecchiato che festeggia la liberazione della cittadina di Amerli dalla morsa dello Stato islamico, agitando un fucile nell’aria e accennando un ballo. Da allora sui media iraniani, l’ubiquo e un tempo invisibile Suleimani compare con una frequenza sorprendente, ma non è più di spalle a cingere il figlio di un “martire pasdaran” o stretto in un abbraccio commosso al leader supremo Ali Khamenei: adesso Suleimani è ritratto come un guerriero, il salvatore degli sciiti iracheni e dei siriani che resistono al terrorismo, perché nella vulgata iraniana l’avanzata dello Stato islamico non è che la conferma della miopia occidentale nei confronti di Assad. Nuove foto circolate sui social network e rilanciate dalla tv di stato Irinn lunedì mostrano Suleimani sul campo di battaglia che sorride accanto a guerriglieri peshmerga. Non c’è alcuna didascalia a spiegare dove si trovi Suleimani, ma è evidente che Teheran rivendica la sua presenza in Iraq: dopo aver a lungo minimizzato il suo ruolo, pare ora intenzionato a farlo pesare.
“L’Iraq non ha bisogno degli strike americani, Suleimani e settanta dei suoi fratelli sono bastati a prevenire la caduta di Erbil”, ha detto la settimana scorsa il generale Hajizadeh. L’Iran, alla perenne ricerca di un riconoscimento regionale e internazionale, trova in Suleimani il suo alfiere. Mentre gli altri restano paralizzati dalla paura delle ripercussioni – che siano gli effetti sui bilanci e sulle opinioni pubbliche dei “boots on the ground” o siano sofisticate considerazioni geopolitiche – lui è in prima linea accanto ai peshmerga. Fa sorridere la beatificazione di Suleimani come santo protettore dei curdi, lui che si è fatto strada dopo la Rivoluzione stanando anche rivoltosi curdi in Iran prima e provando a farseli alleati in funzione anti Saddam Hussein dopo. Un ministro iraniano ieri ha fustigato l’inazione della coalizione internazionale a Kobane, ma l’Iran se ne infischia della cittadina siriana sotto assedio dello Stato islamico, e la sua alleanza con i curdi è piuttosto l’unica strada che le resta da percorrere. Teheran vuole fermare al Baghdadi, ma come Washington è preoccupata dall’idea di un massiccio coinvolgimento di truppe: secondo alcune fonti, ha mandato qualche divisione e agisce attraverso le milizie sciite. Non può non sostenere i curdi e quindi li aiuta perché gli unici “boots on the ground” sono loro. Così Suleimani posa con i peshmerga e la propaganda iraniana mette tutto sotto una lente di ingrandimento. Suggerisce, come ha scritto un blogger iraniano, che “noi siamo disposti al martirio e gli altri che ci snobbano – turchi, sauditi e americani – mangiano pistacchi”. Tuttavia Teheran, come Ankara, ha un rapporto tormentato con la sua minoranza curda e osteggia l’idea di un super stato curdo tanto quanto i turchi. Curiosamente, mentre in queste settimane la stampa iraniana esaltava le gesta di Suleimani, nelle segrete stanze il capo di al Quds è stato bersagliato da critiche feroci sulla sua conduzione della campagna d’Iraq, tanto che secondo alcune fonti il suo vice, Hossein Hamadani, gli avrebbe sfilato proprio il dossier iracheno. Grande visibilità ha avuto in questi mesi anche l’ammiraglio Shamkhani che pare tenere le fila non solo delle relazioni tra Teheran e l’ayatollah Ali Sistani ma anche del rapporto con Bashar el Assad. Così, mentre da una photo opportunity a un’altra l’aura di mistero che ha sempre circondato Suleimani svapora e si rincorrono voci sull’esistenza di un “partito Suleimani” (indiscrezioni fantasiose parlano addirittura del fallimento di un coup anti Rohani), Teheran sfrutta (o distrugge?) il suo uomo della provvidenza per forzare la mano sul tavolo nucleare.
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