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La Stampa Rassegna Stampa
07.10.2014 Iran, le tre sorelle in fuga: divieto di cantare, frustate e prigione
Intervista di Marta Ottaviani

Testata: La Stampa
Data: 07 ottobre 2014
Pagina: 11
Autore: Marta Ottaviani
Titolo: «'Noi, cantanti in fuga dall'Iran tradite da Onu e Turchia'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/10/2014, a pag. 11, con il titolo "Noi, cantanti in fuga dall'Iran tradite da Onu e Turchia", l'articolo di Marta Ottaviani.


Marta Ottaviani


Le tre sorelle Mansouri


Un padre fanatico religioso, il sogno di una vita libera, l'amore per la musica e tre donne che rischiano di essere ricacciate nell'inferno per colpa dell'Onu. È una storia a metà fra il tragico e l'assurdo quella di Nafiseh, Zahra e Fatameh Mansouri, tre sorelle iraniane di 29, 24 e 21 anni, che tre anni fa sono arrivate in Turchia e che adesso potrebbero venire espulse perché le Nazioni Unite non riconoscono loro lo status di rifugiate.
«La nostra è una situazione triste e difficile - spiega al telefono Nafiseh, la maggiore delle tre -. Nostro padre voleva fare sposare me e Zahra quando avevamo appena 13 e 9 anni. Ci siamo salvate solo perché nostra madre ci ha prese e ci ha portate via da lui. Ma le nostre sofferenze erano solo all'inizio. Quell'uomo è un pazzo fanatico, ci ha perseguitate in ogni modo».
La colpa delle tre sorelle è quella di aver postato sui social network un video con una loro performance musicale. In quell'occasione le autorità iraniane le condannarono a un anno di reclusione e 74 frustrate. La pena però fu sospesa, con la condizione di non ripetere il reato per altri due anni. Le tre giovani hanno continuato a esibirsi finché non sono state quasi arrestate dalla polizia. «E' stato nostro padre a denunciarci. Ci mandava la polizia a casa. Lo sapeva che noi cantavamo per amore della musica e perché era l'unico modo per mantenere noi e nostra madre. Un giorno abbiamo deciso di dire basta e abbiamo preso un treno per Ankara».
Nafiseh e le sue sorelle ora vivono in uno dei sobborghi più poveri della capitale turca. Hanno provato a rivolgersi all'Onu per ottenere lo status di rifugiate ma, e qui sta la beffa, la loro pratica è stata respinta, con la motivazione che il loro caso non è contemplato dalla legge sui rifugiati, per la quale è da tutelare «chi scappa da crudeltà, tortura o pena sproporzionata». Secondo l'Onu non ci sarebbe nemmeno oppressione legata a motivazioni religiose, politiche, ideologiche, razziali.
«Mi chiedo che cosa ci sia di peggio che essere forzate al matrimonio e non poter suonare in pubblico» lamenta Nafiseh. Le tre fanciulle una volta arrivate ad Ankara con pochi soldi in tasca hanno dovuto iniziare a costruirsi una difficile e fragile quotidianità, con l'incubo di veder comparire il loro padre da un momento all'altro, libero di entrare in Turchia quando vuole per la mancanza del visto fra i due Paesi. Hanno dovuto imparare la lingua e soprattutto pazientare con la complicata burocrazia Onu, che ha atteso 9 mesi per convocarle e altri 10 per pronunciarsi.
L'unica possibilità che hanno è il ricorso. Se verrà perso, le tre ragazze saranno costrette a tornare in Iran, scontare la pena e pagare una multa per avere lasciato il Paese. Gli avvocati, che le stanno assistendo a titolo praticamente gratuito, non sono molto ottimisti. «Mi chiedo se tutto questo abbia un senso - si sfoga Nafiseh -. Ci è negato tutto, nonostante il popolo turco ci abbia accolte bene e nel Paese ci troviamo a nostro agio. Ma da clandestine troviamo lavori precari, spesso mal retribuiti. Figurati che ogni tanto nei ristoranti per pagarci meno dicono che non parliamo bene il turco, quando invece lo abbiamo imparato perfettamente. Non possiamo nemmeno andare all'università».
Va avanti così la vita di Nafiseh, Zahra e Fatameh, appesa a un filo in attesa della decisione dell'Onu.
«Volevamo solo suonare - conclude la maggiore -. La musica è la nostra vita. Mi rifiuto di pensare che questo possa essere considerato un male ma lotteremo per poter dire finalmente un giorno che siamo libere».

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