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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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Il ballo in maschera del Medio Oriente 04/10/2014

Il ballo in maschera del Medio Oriente
Commento di Mordechai Kedar

(Traduzione dall'ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)

 Un ballo in maschera è un evento sociale in cui chi partecipa ha il volto coperto, che gli consente di dire e fare tutto quello che si vergognerebbe o avrebbe timore di dire a viso aperto. Una maschera consente a chi l’indossa di essere libero dai vincoli che derivano da status, identità, situazione famigliare, passato, amici e persino dalle idee che normalmente difende; gli regala una identità nuova, diversa, immacolata e priva di soggezione. Alcuni partecipanti cambiano persino maschera durante il ballo, dandosi un’altra identità e ulteriori libertà che differiscono dalla prima falsa immagine e dal costume che indossavano prima alla festa. Le maschere permettono a chi le indossa, di mentire agli altri presenti alla festa senza che nessuno sia in grado di accorgersi della loro vergogna e dei loro ammiccamenti.

L'unico modo per conoscere la vera identità dei partecipanti è  strappare le maschere dai loro volti. Ed è quello che la ricerca accademica dovrebbe fare.
Il Medio Oriente è una grande festa in maschera, e tutti i partecipanti indossano maschere che hanno lo scopo di proiettare una falsa immagine al mondo esterno. Ogni partecipante cambia la sua in conformità con le maschere indossate da quelli che lo circondano, agisce e parla come fanno gli altri, anche se ha detto e fatto cose completamente diverse il giorno prima,  solo perché oggi indossa una nuova maschera. La verità rimane nascosta, e può essere svelata solo dopo grandi sforzi di ricerca.

Ci sono alcuni partecipanti che indossano più maschere, una sopra l'altra, fino a che queste non cadono e rivelano il vero volto che si cela sotto. L’esempio più eclatante, la maschera più grande di tutte, è quella della “Nazione Pan-Araba”. Ogni arabo vi dirà che c'è una vasta Nazione Pan-Araba, caratterizzata da un profondo senso di solidarietà, fondata su una lingua comune, un passato glorioso e aspirazioni collettive. Questa è la premessa dietro la fondazione della Lega Araba e le sue attività.

 Solo che la realtà è molto diversa. L'idea della Nazione Pan-Araba non riuscì mai a sostituire la lealtà di molti arabi verso strutture tradizionali secondarie come la tribù, la religione (musulmani, cristiani, yazidi, ecc) o la setta (sunniti, sciiti, ecc). Esteriormente dicono “siamo tutti arabi”, ma all'interno, dietro le maschere, gli arabi si combattono tra di loro, si uccidono l’un l’altro a causa delle differenze tribali, settarie e religiose, nonché per ragioni di interesse personale. La debolezza della Lega Araba nasce dalla superficialità dell'idea di panarabismo, dal fatto che non è altro che una maschera sottile, trasparente e facile a incrinarsi.

 Recentemente, ora che lo "Stato Islamico" è entrato nella sala da ballo, molte nuove maschere sono apparse su alcuni volti vecchi e ben noti. Chi dirige il gruppo mascherato è l'Emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad bin Khalifa Al Thani. Il Qatar è stato per anni uno dei principali sostenitori della Fratellanza Musulmana e dei suoi accoliti, ed ha finanziato organizzazioni terroristiche tra cui Al Qaeda e le sue organizzazioni “satellite”.
Il sostegno del Qatar ai Fratelli Musulmani e alle organizzazioni islamiche militanti nasce dalla profonda convinzione che sono loro i rappresentanti del vero Islam e che è importante appoggiare il loro obiettivo finale – l’applicazione della legge islamica nel mondo intero - perchè è giusto e legittimo.
È così che il Qatar è diventato il principale finanziatore delle tante organizzazioni jihadiste che operano in Siria, Iraq, Libia e nell’Autorità Palestinese.

Questo non ha impedito al Qatar di indossare una maschera filo-occidentale e di essere sede della principale base aerea statunitense nel Golfo, quella di Al Udeid. Hanno così ottenuto la difesa americana per il loro territorio e i pozzi petroliferi, con i cui profitti finanziano i canali televisivi del Jihad, Al Jazeera e le organizzazioni terroristiche sunnite - quelle che massacrano le loro vittime, anche se queste sono americane. Il Qatar finanzia anche think tank americani, come l'Istituto Brookings, di modo che questi acquisteranno una maschera accademica oggettiva e copriranno il vero volto dei partecipanti a studi di “ricerca”. Al fine di indossare una maschera moderna, liberale e moderata che copra la vera faccia fondamentalista wahhabita che finanzia il terrore, per anni il Qatar ha organizzato convegni scientifici annuali nella sua capitale Doha. I soldi del Qatar permettono a chi frequenta queste conferenze, di indossare maschere sorridenti e di unirsi al ballo, rispettando le regole stabilite dal Qatar.

Nelle ultime settimane si è visto l'inizio di un attacco americano allo “Stato islamico” e il Qatar è stato costretto a indossare la maschera di un Paese che partecipa alla guerra contro l'organizzazione terroristica che in realtà sovvenziona. Persino gli americani hanno affermato che il Qatar sta prendendo parte alla guerra, ma anche questa è una maschera, perché nessuno ha idea del ruolo del Qatar nella “coalizione” che gli USA e alcuni Paesi arabi hanno stretto contro lo “Stato islamico”.

E che cosa hanno fatto esattamente gli altri Stati arabi della “coalizione”, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrain e Giordania? Hanno un preciso ruolo da svolgere, oltre che indossare una maschera il cui scopo è quello di impedire loro di criticare i cristiani, gli infedeli occidentali, che stanno attaccando il vero fedele islamico, quello che adempie alla volontà del profeta Maometto e che ne segue gli insegnamenti e l'esempio?

Un’altra maschera è quella saudita. Abdul-Aziz ibn Abdul-Rahman al Faisal Al Saud, il fondatore della monarchia da cui prende il nome, aveva usato quelle stesse procedure che sta adottando oggi l’auto-proclamato califfo Abu Bakr el-Baghdadi, il capo dello “Stato islamico”. Ottantadue anni fa, Ibn Saud aveva creato la monarchia, con i suoi miliziani, chiamati “al-Ikhwan” (i Fratelli),  crudeli cammellieri che decimarono tutte le tribù contrarie all’alleanza di Ibn Saud, proprio come accade oggi in Iraq e in Siria. Qualcuno in Arabia Saudita ha mai condannato Ibn Saud, le sue milizie o suoi metodi? Certo che no, ma ciò non impedisce ai sauditi d’indossare una maschera di condanna contro lo “Stato islamico”. Per decenni i sauditi hanno diffuso in tutto il mondo il wahhabismo, la versione fondamentalista salafita dell’Islam sunnita, utilizzando i proventi del petrolio venduto all'Occidente. In altre parole,  utilizzano il denaro degli occidentali per diffondere un’ideologia che considera l'Occidente come eretico, materialista e permissivo, profetizzandone la fine.

 Dietro la maschera della “carità”, finanziano moschee, scuole e organizzazioni caritatevoli islamiche in tutto il mondo occidentale, al fine di incoraggiare l’immigrazione musulmana in Occidente, allo scopo di ottenerne il controllo a tempo debito, esattamente come Maometto, il fondatore dell’Islam, aveva fatto nella città di Medina, il luogo in cui si era rifugiato nel 622 d.C., in fuga dalla sua città natale La Mecca. Si trasferì a Medina, ne prese il controllo e costruì un impero. Questo è il metodo che i sauditi stanno applicando da anni, nascondendosi dietro la maschera della “cooperazione economica con l’Occidente”. L'iniziativa di pace dei Sauditi del 2002, adottata dalla Lega Araba, è un’altra maschera dietro cui i sauditi avevano cercato di nascondersi, dopo che si era scoperto che 15 dei 19 terroristi dell’11 settembre 2001 erano arabi sauditi.

I “palestinesi” sono un’altra maschera creata da diverse tribù arabe che vivono a ovest del Giordano, dopo che Israele li aveva liberati dall’occupazione illegale della Giordania in Giudea e Samaria e dell’Egitto a Gaza. Oggi è chiaro che la “Nazione Palestinese” è una maschera non meno che la “Nazione Siriana”, la “Nazione Irachena”, la “Nazione sudanese” o la “Nazione Libica”. Sono tutte coperture per una realtà tribale, etnica, religiosa, settaria, divisa da faide che provocano fiumi di sangue che, solo i dittatori - con forti misure di sicurezza sotto la maschera del “nazionalismo” o del “socialismo” - possono tenere sotto controllo.

La Turchia di Erdogan indossa la maschera di un membro rispettato della NATO. L'islamista Erdogan una volta indossava una maschera che lo dipingeva come il migliore amico dell’alawita eretico Assad, ma poi ha mostrato il suo vero volto dal giorno in cui Assad ha iniziato pubblicamente ad assassinare musulmani sunniti. Adesso è un riconosciuto nemico di Assad, fornisce aiuti alle forze ribelli contro il dittatore siriano e favorisce il trasferimento in Siria e Iraq dei jihadisti, tagliagole di americani, che arrivano in Turchia da tutto il mondo. La maschera “democratica” consente a Erdogan di essere accettato a livello internazionale, con l’esclusione dell’Egitto, dove il Presidente Sisi non teme di guardare sotto la maschera per rivelare l’islamista che vi si cela.

Anche Israele, per sua sfortuna, è costretto a prendere parte al ballo in maschera: dopo il discorso del Presidente degli USA al Cairo nel giugno del 2009, Benjamin Netanyahu è stato costretto a indossare la maschera per sostenere la fondazione di uno “Stato Palestinese smilitarizzato”, anche se sa benissimo che non esisterà mai uno Stato arabo smilitarizzato. Lui parla con Mahmud Abbas mentre entrambi indossano la maschera sul viso: Abbas vuole uno Stato Palestinese dal fiume Giordano al mare, costruito sulle rovine dello Stato ebraico di Israele, e Netanyahu sa ciò che tutti sanno, ossia che uno Stato Palestinese in Giudea e Samaria diventerebbe un altro Hamastan, tramite elezioni come quelle del gennaio 2006, o con i metodi violenti usati a Gaza nel giugno 2007. L’America ha indossato la maschera che la presenta come la guida di una coalizione contro lo “Stato Islamico”. La maschera è nata dopo che due cittadini americani e uno britannico sono stati decapitati. Le migliaia di siriani e di iracheni decapitati dai coltelli dello “Stato Islamico” non hanno causato l’intervento in guerra degli americani contro questo Stato terrorista. Duecentomila morti siriani non hanno minimamente scalfito la tranquillità americana, e gli USA non hanno sparato un solo proiettile contro Bashar Assad, l’assassino di massa. Le migliaia di morti in Siria per l’uso di armi chimiche non hanno causato il lancio di alcun missile contro il Dracula siriano, nonostante i ripetuti avvertimenti, poiché Putin aveva fornito all’America la maschera dell’ “ Astensione della Siria dall’uso delle armi chimiche”. Ma quando due americani e un britannico sono stati sgozzati di fronte alla telecamera, immediatamente è diventata giustificata una guerra contro lo “ Stato Islamico”. Che maschera amorevole! Ma la peggiore è quella indossata da tutte quelle anime-stanche, la cui faccia rossa di rabbia è nascosta, quando dicono: “ Israele è la radice di tutti i problemi del Medio Oriente. Se Israele abbandonasse i “ territori ”, allora il lupo si coricherebbe con l’agnello, gli Sciti amerebbero i Sunniti, gli Arabi abbraccerebbero i Curdi, le tribù libiche si bacerebbero l’una con l’altra, gli Iracheni la smetterebbero di ammazzarsi a vicenda e l’Afghanistan siederebbe attorno al fuoco cantando Kumbaya in perfetta armonia.” Il ballo in maschera del Medio Oriente va ancora forte, e ci sono degli israeliani che pensano che lo Stato Ebraico possa costruire il suo futuro fidandosi delle maschere che nascondono momentaneamente le facce dell’Arabia Saudita, della Giordania, degli Emirati e dell’Egitto. Sfortunatamente per tutti noi, Israele deve confrontarsi con il Medio Oriente com’è in realtà. Da queste parti la pace non è garantita da quelli che la desiderano o da una nazione che la cerchi veramente, ma da coloro che appaiono come invincibili, e solo da loro; da coloro che senza indossare alcuna maschera, riescono a convincere gli altri partecipanti, compresi quelli che indossano maschere sorridenti, che sarà meglio lasciarli stare anche per il bene di quelli che indossano maschere sorridenti.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.


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