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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Monika Held - La notte più buia - 03/10/2014

La notte più buia   Monika Held
Traduzione di Riccardo Cravero
Neri Pozza    euro 16,50

Per diverso tempo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale sono stati i sopravvissuti ai campi di sterminio a raccontare gli orrori perpetrati dai nazisti contro ebrei, oppositori politici, omosessuali, rom. Tuttavia la progressiva scomparsa dei testimoni per ragioni anagrafiche induce la Memoria a trovare nuove forme nella fiction per narrare quella tragedia indicibile che è stata la Shoah. In alcuni casi gli autori privilegiano i bambini come protagonisti di storie calate negli anni della persecuzione razziale, creature private della loro infanzia e della possibilità di andare a scuola che si trovano a combattere con la fame, il freddo, e il dolore atroce per la perdita degli affetti più cari. In altri casi gli scrittori scelgono di tenere viva la Memoria gettando uno sguardo da una prospettiva diversa perché nei campi di sterminio nazisti finivano non solo gli ebrei ma anche quei tedeschi di pura razza ariana che, opponendosi strenuamente al regime con attività clandestine organizzate attraverso reti di Resistenza, venivano arrestati, torturati dalla Gestapo e poi deportati nei campi di concentramento. E’ questo il caso di Heiner Rosseck, il protagonista del romanzo di Monika Held, giornalista tedesca nata e cresciuta ad Amburgo che ha ottenuto premi prestigiosi per i suoi articoli e per il suo impegno politico. Il romanzo si apre nel giugno del 1964 a Francoforte dove Heiner giunge per testimoniare al processo contro due criminali nazisti di Auschwitz, il campo in cui è stato prigioniero. Ricordare per Heiner significa riaprire ferite atroci che il tempo non ha rimarginato e rivivere le azioni di quegli aguzzini che con spietata freddezza uccidevano, l’uno con il randello, l’altro con la siringa. Le domande offensive degli avvocati difensori e le affermazioni degli imputati assassini che avevano soltanto ubbidito agli ordini minano la resistenza di un uomo che già tanto ha sofferto nella vita (“…A Heiner girava la testa, prese a balbettare. Scoppiò in lacrime e chiese una pausa”) e all’uscita dall’aula perde i sensi scivolando a terra. Lena, un’interprete che ha appena terminato di tradurre le deposizioni del testimone polacco che si è rifiutato di venire in Germania e sta per uscire dal tribunale, scorge quest’uomo alto e magro che si sta accasciando lentamente appoggiato al muro. In un attimo Lena gli è al fianco, lo sostiene per le spalle e gli offre un bicchiere d’acqua e una tavoletta di cioccolato. E’ l’inizio di una struggente e tormentata storia d’amore fra una giovane donna nata a Danzica con una professione indipendente e un uomo dal passato doloroso, vittima di ricordi terribili con i quali Lena, si rende conto, dovrà imparare a convivere se vuole unire la sua esistenza a quella di Heiner. Nato in una famiglia di fede marxista, alla morte del padre Heiner diventa capofamiglia pur continuando le sue attività clandestine al grido di “Rotfront” (saluto dei membri dell’organizzazione paramilitare comunista). Catturato dai tedeschi viene mandato prima ai lavori forzati in una zona sperduta del Donauworth, poi a combattere sulla Somme e, una volta ferito, è rimpatriato in Germania. Ricoverato in un ospedale sul Chiemsee, Heiner redige volantini “contro i nazisti e la loro maledetta guerra, ignaro che i gendarmi stessero già venendo ad arrestarlo per attività illegale continuata”. E’ la sera del 9 settembre 1942 quando Heiner viene caricato su un treno con milleottocentosessanta persone, destinazione Auschwitz. Da quel momento ha una sola missione: tornare vivo per testimoniare. Come per molti sopravvissuti anche per il giovane Heiner il ritorno alla vita normale si rivela un’impresa difficile (“…ho il lager conficcato in ogni parte del corpo, e per quanto ne so la ricerca non sta lavorando a un antidoto”), nessuno vuole ascoltare le terribili esperienze che ha vissuto e persino la moglie Martha, amatissima compagna di lotta clandestina, lo abbandona insieme alla figlia Kaija. L’incontro con Lena, la decisione di unire le proprie vite, il sentimento d’amore che ogni giorno di più si rafforza fra un uomo dall’animo e dal corpo ferito e una donna che sceglie di vivergli accanto condividendone gli incubi si dispiegano nel racconto dell’autrice in pagine di struggente intensità. Per Heiner Rosseck è impossibile dimenticare, condurre una vita normale senza la costante presenza dei ricordi come un vasetto di senape pieno di sabbia e ossicini dei morti nel campo di sterminio che mostra alla moglie con il consueto intercalare, “...Guarda Lena”, offrendole una tazza di caffè e una fetta di torta di prugne. Oppure l’album delle foto di Auschwitz a fianco di quelle del matrimonio. Come può Lena adattarsi ad una vita in cui anche il linguaggio assume connotazioni diverse e ogni parola può avere un doppio significato, mentre la paura della fame induce il marito ad acquistare continuamente enormi quantità di cibo “come provvista”? La casa dove vivono al limitare di un bosco è sempre aperta agli amici che Heiner ha conosciuto nel campo e che ogni tanto lo vengono a trovare; uomini che si sono aiutati l’un l’altro per non morire di fame, di freddo, di inedia e nessuno sa più chi ha salvato la vita a chi. E’ un legame indissolubile quello che li unisce e di cui Lena a volte è gelosa perché si sente esclusa da un mondo che non ha conosciuto se non dai racconti di Heiner o dei suoi amici. Nelle pagine che descrivono il viaggio di Heiner e Lena in Polonia, nei luoghi dove l’orrore si è compiuto c’è tutta la sensibilità e la sapienza narrativa di una scrittrice che ha fatto tesoro delle testimonianze raccolte in prima persona dai sopravvissuti e riesce a restituirci - attraverso le testimonianze di Leszek, di Tadek, di Mietek, con i racconti atroci dei bunker della fame, dei lunghi appelli al gelo, della vita che si può perdere per il capriccio di una SS - una storia cruda e commovente assieme, un romanzo sull’intensità dell’amore e sulla forza dell’amicizia, un viaggio nella Memoria per lasciarsi alle spalle un passato di sofferenze e tornare a credere al futuro. Senza mai dimenticare che “Quel che è successo è successo, per mano di un popolo civile. E il fatto che sia successo significa che può succedere ancora. Esseri umani, persone colte, intelligenti, sono in grado di compiere crimini di cui non li avremmo creduti capaci. E là dove potrebbe esserci di nuovo un qualche segno, un accenno di qualcosa di simile, dobbiamo intervenire. Il nostro maledetto dovere dopo Auschwitz è di non dimenticare mai. Resta un tema eterno. Io non credo che smetteremo di occuparcene” (Margarete Mitscherlich).


Giorgia Greco


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