Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/10/2014, a pag. 10, con il titolo "Il calvario delle yazide: 'Vendute come schiave al mercato di Mosul' ", la cronaca di Francesco Semprini.
Scontro di civiltà ? Nooo !
Francesco Semprini
Yazide in fuga dal Califfato
Sara ha quindici anni e ha pensato più volte a togliersi la vita nel corso della sua tragica esperienza. La ragazza appartenente alla comunità degli yazidi iracheni è stata rapita dalle milizie dello Stato islamico e venduta al miglior offerente. La sua cattività è durata circa un mese, durante il quale i suoi padrini la picchiavano «per farle un regalo», e un paio di volte le hanno levato del sangue con una siringa per renderla più debole e docile alle loro «attenzioni».
«Sara - nome di fantasia dato per proteggere la sua vera identità - è uno dei membri della minoranza che vive nella regione nord-occidentale dell’Iraq, in particolare nella provincia di Sinjar, presa di mira dagli jihadisti al comando di Abu Bakr al Baghdadi. Una comunità da sempre perseguitata: Sara porta ancora i segni di una serie di bombe esplose nel suo quartiere nel 2007, messa apposta dagli estremisti sunniti: allora morirono 800 persone e 1.500 rimasero ferite.
A sette anni di distanza il terrore è tornato nella sua vita per mano dei miliziani dello Stato islamico: catturata picchiata e venduta. Portata a forza a Falluja e ceduta per denaro a due uomini «grassi e vecchi», che vivevano nella stessa casa. «Non mi davano tanto da mangiare, e io tentato vi oppormi a loro facendo resistenza passiva - racconta la ragazza -. Ha pensato più volte a togliermi la vita, ma poi mi venivano in mente la mia famiglia e mio fratello, andavo avanti solo per loro».
Sara è riuscita a fuggire e ora si trova in un campo profughi a Dohuk, e oggi racconta il suo incubo fatto di percosse, torture, stupri e degrado. Lei, come altre ragazze yazide rapite, sono anche state costrette a guardare i video delle decapitazioni eseguite dai jihadisti. «In alcuni filmati si vedevano le teste infilate in pentole da cucina - ricorda Sara -. E i miliziani ci chiedevano, “sapete chi è questo?”. E poi si mettevano a ridere». Dalla disperazione «una di loro si è impiccata, un’altra ci ha provato ma i miliziani l’hanno fermata e picchiata a sangue», dice Sara, precisando che dopo quell’episodio, nessun’altra ha tentato di togliersi la vita.
Nel campo di Dohuk c’è anche Leila, 19 anni, per lei l’incubo è iniziato mentre cercava di fuggire a piedi dal villaggio di Sinjar con il marito e alcuni membri della famiglia. Gli estremisti li hanno catturati, costringendo gli uomini a sdraiarsi con la faccia a terra, e quindi li hanno uccisi. Leila è stata invece portata a Mosul, e chiusa in un comprensorio con un migliaio di altre donne. «Gli jihadisti dell’Isis - racconta - ci hanno chiesto di convertirci all’Islam, minacciando che altrimenti avrebbero ucciso tutti i membri della nostra famiglia».
Alcune hanno ceduto al ricatto per salvare il padre, il marito, o il fratello. Leila, come Sara, è riuscita a fuggire, e a raccontare la propria storia, e quella di tante altre della loro comunità vendute tra i cento e i mille dollari, e negoziate come bestiame al mercato di essere umani di Aleppo. E se sopravvissute, talvolta ripudiate una volta di ritorno a casa, per un perverso senso dell’onore osservato dalle loro comunità.
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