Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/10/2014, a pag. 10, con il titolo "Erdogan: l'Isis non si batte solo con i raid", l'analisi di Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Recep Tayyip Erdogan
Interventi militari in Iraq-Siria e apertura delle basi a forze straniere: sono le due richieste che Recep Tayyip Erdogan presenta al Parlamento di Ankara chiedendo di autorizzare per legge un intervento di terra nelle nazioni confinanti al fine di «creare aree protette per i profughi», «sconfiggere i terroristi di Isis» e «rovesciare il regime di Bashar al Assad».
Il presidente turco parlando ieri davanti al Parlamento è stato limpido nell’affermare che l’eventuale intervento di terra in Siria e Iraq andrà ben oltre un semplice sostegno alla coalizione internazionale, gettando le basi per «un nuovo approccio a una regione che sta cambiando dopo cento anni». Intervenire «solo per gettare bombe contro Isis significherebbe perseguire obiettivi temporanei e fallire - ha detto Erdogan - dunque Assad deve andarsene e milioni di profughi devono tornare a casa».
Da qui il piano, redatto dalle forze armate curde, di creare «zone di sicurezza nelle aree siriane controllate da Esercito di liberazione e Fronte islamico» ovvero dai ribelli pro-occidentali e dai Fratelli Musulmani (sostenuti da Turchia e Qatar) per un’estensione complessiva che copre oltre il 15 per cento della Siria. Ciò significa che Ankara non si prepara a seguire la coalizione Usa bensì a spingerla affinché sostenga una «soluzione turca» alla crisi in Siria. Per le forze armate turche, le seconde più numerose e meglio armate della Nato, significa andare incontro a un’operazione di medio termine e al fine di motivare i generali il premier Ahmet Davutoglu gioca la carta del mausoleo della tomba di Suleiman Shah. Sorto per rendere omaggio al nonno del fondatore dell’Impero Ottomano, nel 1921 venne assegnato ad Ankara dal Trattato franco-turco sebbene si trovi in Siria, nei pressi di Aleppo. È una mini-enclave turca ma adesso è precipitata nel bel mezzo della guerra civile perché la località di Kobani, dove il monumento sorge vicino ad un lago, è teatro di violenti scontri fra Isis e curdi. Nel tentativo di preservarla da scontri e distruzioni, sei mesi fa Ankara vi ordinò il distaccamento di 60 incursori delle truppe scelte.
Ora i militari turchi si trovano però isolati e - secondo testimoni locali - assediati da centinaia di miliziani jihadisti dello Stato Islamico (Isis) ponendo le premesse per un casus belli con Ankara. Non a caso proprio ieri Davutoglu ha confermato: «Suleiman Shah resterà comunque in nostra mano, qualsiasi cosa accada, abbiamo preparato piani per ogni tipo di evenienza».
Intanto a Homs, in una delle città anti-Assad riconquistate dai governativi, almeno 41 persone sono morte - e fra loro 10 bambini - in un duplice attacco kamikaze contro una scuola elementare frequentata dai figli della comunità militare.
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