Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/09/2014, a pag. 8, con il titolo "Putin avverte gli Usa: armerò Assad", la cronaca e analisi di Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari Sergei Lavrov Ban Ki-moon
Bashar al Assad e Vladimir Putin
II Cremlino sospetta che dietro l'intervento della coalizione in Siria contro lo Stato Islamico (Isis) ci sia l'intenzione di Washington di rovesciare Bashar Assad e così Mosca recapita un avvertimento alla Casa Bianca. «Se le forze della coalizione dovessero colpire quelle del governo siriano, siamo pronti a fornire armamenti aerei a Damasco» afferma un alto funzionario del Cremlino alla tv libanese «Al Maydin», specificando che si tratta di «cacciabombardieri, elicotteri e difese anti-aeree». La diffidenza di Mosca sull'intervento della coalizione era già trapelata nei giorni scorsi quando il ministro degli Esteri Sergei Lavrov da New York aveva chiesto ad Usa ed alleati di «concordare le operazioni con Damasco», messaggio ribadito dallo stesso Vladimir Putin in una telefonata al Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon. Washington fino a questo momento ha informato Damasco - con una lettera del Segretario di Stato John Kerry - dell'inizio dei raid ma il Pentagono evita ogni giorno di comunicare a Damasco il proprio piano di operazioni. Questo però è proprio ciò che vorrebbero Damasco e Mosca. Wadi al Muallem, ministro degli Esteri siriano, da 72 ore ripete alla volta della coalizione che «coordinando le azioni contro Isis possiamo renderle più efficaci» e poiché Washington continua a non rispondergli, è il Cremlino a rincarare la dose, facendo venire alla luce il vero timore: la Casa Bianca ha creato una coalizione che combatte Isis ma il cui vero intento è riuscire a rovesciare il regime di Assad. Da qui il riferimento alle «difese anti-aeree» ovvero gli S-300 che finora Putin non ha consegnato ad Assad ma che potrebbero rovesciare la situazione tattica, ostacolando i voli dei jet alleati. Secondo quanto esposto da Putin a Ban Ki moon l'obiezione sollevata è anche di legittimità internazionale. Una fonte diplomatica araba, da Ginevra, la spiega così: «A rendere legali i raid in territorio siriano non può bastare una lettera di Kerry, serve il coordinamento quotidiano con il governo in carica».
Anche a Teheran c'è inquietudine per gli sviluppi militari innescati dall'intervento della coalizione e il generale Ahmad Reza Pourdestana, comandante delle forze di terra, avverte Isis: «Se le unità dei terroristi si avvicineranno ai nostri confini, attaccheremo in profondità dentro il territorio iracheno». Il riferimento è alla provincia di Dyala, a nord di Baghdad, in parte controllata da Isis e confinante con l'Iran sciita, che accusa le monarchie sunnite del Golfo di sostenere lo Stato Islamico. I raid intanto continuano: aerei americani, sauditi e degli Emirati hanno colpito almeno quattro raffinerie petrolifere in mano ai jihadisti lungo il confine siriano con la Turchia, bersagliando per il secondo giorno di seguito le postazioni di Isis attorno alla città curda di Kobani. La battaglia per il controllo di Kobani infuria, con i guerriglieri curdi che sembrano al momento in grado di evitarne la caduta ma non di liberarla dall'assedio jihadista. «E' presto per valutare l'efficacia degli attacchi ma riteniamo stiano avendo successo» spiega il portavoce del Comando Centrale Usa da Tampa, Florida, mentre il ministro degli Esteri saudita Saud al-Faisal sceglie la prudenza: «La guerra contro gli estremisti in Medio Oriente prenderà anni, non possiamo fermarci prima della completa eliminazione di tutti questi gruppi».
Il fronte Al Nusra, espressione diretta di Al Qaeda, denuncia gli attacchi internazionali di Isis come una «guerra contro l'Islam» facendo appello a «tutti i jihadisti nel mondo» affinché «colpiscano le nazioni arabe e occidentali che ne sono responsabili». «Risponderemo a queste aggressioni - ha minaccio ieri il leader Abu Nohammad Al Golani -: porteremo la guerra alle nazioni che le compiono».
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