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Ugo Volli
Cartoline
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Una parte velenosa del problema 28/09/2014

Una parte velenosa del problema
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

 Cari amici,

senza che i giornali italiani ed in genere occidentali ne parlassero quasi (a parte il solito bravo Molinari e un paio di brevi resoconti altrove), c'è stato un cambiamento importante nella situazione politica mediorientale. L'autore è Muhammed Abbas, il “moderato”, il “partner della pace”, che per lo più viene onorato come “presidente della Palestina” essendo stato eletto ormai quasi dieci anni fa presidente dell'Autorità palestinese per quattro anni ed essendosi prorogato da solo per un tempo ormai vicino al doppio del suo mandato – cose che non succedono neanche in Corea del Nord.

Il cambiamento è avvenuto con due passi distinti ma paralleli intrapresi dal nostro. Il primo è un discorso tenuto l'altro ieri all'assemblea generale delle Nazioni Unite, di violenza assolutamente inedita e del tutto priva di senso della realtà contro Israele (se vi interessa, trovate il testo integrale qui: http://www.jpost.com/Middle-East/Full-text-of-Palestinian-Authority-President-Abbas-address-to-the-UN-General-Assembly-in-New-York-376388 .

L'operazione di Gaza è una “guerra di genocidio perpetrata contro il popolo palestinese”, in cui “jet e carri armati hanno assassinato la vita e devastato le case, le scuole e i sogni di migliaia di bambini, donne e uomini palestinesi” com'era già successo, “ma questa volta la scala del crimine genocida è più grande, la lista dei martiri, specialmente bambini, è più lunga” in “una serie di crimini assoluti di guerra” (che è una nuova categoria giuridica interessante, perché implica che ci siano anche i crimini di guerra “relativi”, forse quelli di Hamas, che nel discorso non è mai nominato e poi capirete perché), “una devastazione senza paragoni nei tempi moderni”.
I “criminali” non saranno né dimenticati né perdonati”; non è possibile sottovalutare “l'orrore del crimine”. E' “inconcepibile che qualcuno parli di questa situazione non nei suoi termini reali ma come diritto all'autodifesa di Israele” (questa è direttamente per gli Usa e i paesi europei) In Israele c'è una “cultura del razzismo, incitamento e odio”, Israele è “lo stato occupante razzista”, “un'occupazione coloniale razzista” contro cui “ i palestinesi hanno un legittimo diritto a difendersi e a resistere” (questa è per Hamas); Israele persegue una politica di “occupazione, apartheid e sfruttamento coloniale”, “tenta di alterare l'identità, lo spirito e il carattere di Gerusalemme”, vi sono bande razziste armate di coloni”, commette “crimini”, eccetera eccetera.

Voi direte: la solita propaganda. Sì, la solita propaganda, ma con un tono e un'aggressività inedita per un'assemblea generale dell'Onu, dove si trovano delegazioni al più alto livello. La “bomba” che un assistente di Abbas aveva assicurato il dittatore avrebbe sganciato contro Israele non è qui.
Il punto è un altro, o meglio altri due.
Il primo è la dichiarazione che le trattative, così come sono state condotte finora sono “inutili”, anzi “intollerabili” e quindi non saranno riprese a meno che Israele non si ritiri delle “terre occupate nel 1967” e porti via di lì tutti i suoi “coloni”. E dato che Abbas si rende conto bene che Israele non intende obbedire ai suoi diktat, Abbas ha annunciato che intende chiedere al consiglio di sicurezza dell'Onu (che a differenza dell'Assemblea Generale, che è semplicemente un organo di dibattito politico, in certi casi può assumere potere esecutivo) di stabilire una scadenza per il ritiro israeliano, “perché ormai è venuto il tempo dell'indipendenza palestinese” (peraltro già annunciata negli anni Novanta da Arafat e poi rilanciata con clamore tre anni fa dallo stesso Abbas).

Il secondo ounto è un codicillo che vi trascrivo letteralmente: “manterremo le tradizioni della nostra lotta nazionale stabilite dai fedayn palestinesi e cui noi siamo impegnati dall'inizio della rivoluzione palestinese nel 1965”.
Per chi non sapesse la storia, si definivano fedayn gli assassini di Monaco, di cento dirottamenti aerei, delle bombe alla sinagoga di Roma, degli attacchi terroristici in Israele e all'estero. Insomma, sepolta nel discorso di Abbas c'è la rivendicazione della continuità col terrorismo e la minaccia di riprenderlo.

 Mentre non ci è traccia degli impegni presi a Oslo, come la rinuncia al terrorismo innanzitutto, e anche l'impegno a risolvere la questione della spertizione amministrativa di Giudea e Samaria per mezzo di trattative.

Questo è il discorso di New York, che, nonostante qualche elogio verbale, mette fuori gioco l'azione degli Stati Uniti, cerca di sostituirli come mediatori principali del conflitto con l'Onu e non a caso è stato preso malissimo da un Dipartimento di Stato che certo non brilla di amore per Israele: discorso “controproduttivo”, “provocatorio”, “gli Usa ne rigettano il contenuto”  (http://www.jpost.com/International/US-accuses-Abbas-of-counterproductive-UN-speech-376404).

Ma c'è un dettaglio in più da considerare, la seconda cosa di cui i giornali italiani non hanno parlato quasi e comunque non hanno spiegato. Dopo molte esitazioni e dopo aver fatto credere il contrario, come tutti chiedevano, Abbas ha confermato il governo di “unità nazionale” con Hamas, assumendosi quindi la corresponsabilità delle sue azioni (http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Report-Fatah-Hamas-agree-to-cede-control-of-Gaza-to-unity-government-376331 ).

Anche qui c'è un documento da leggere, un accordo molto opaco e burocratico ( il testo è qui: http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Text-of-Fatah-Hamas-agreement-376350 ), in cui però si accettano gli obiettivi politici di Hamas (cessazione del blocco, libera importazione dei materiali da costruzione, che sappiamo come siano usati).
E poi c'è un paragrafo che fissa gli obiettivi politici del governo di unità nazionale, che vale la pena di essere letto con attenzione. Ve l'ho tradotto:

 “Noi [Hamas e Fatah, cioè Abbas] sosteniamo le mosse politiche palestinesi e gli sforzi volti a raggiungere gli obiettivi nazionali del popolo palestinese in questa fase e quelli che sono contenuti nel documento di riconciliazione vale a dire la liberazione della terra, la rimozione degli insediamenti e l'evacuazione dei coloni , la rimozione del muro razzista di separazione e di annessione, il raggiungimento della libertà, del diritto al ritorno, dell'indipendenza e dell'autodeterminazione, compresa la creazione di uno Stato indipendente con piena sovranità su tutti i territori palestinesi occupati nel 1967, con capitale a Gerusalemme, garantendo il diritto al ritorno dei profughi alle loro case e la liberazione di tutti i prigionieri e detenuti.”

Anche qui molta retorica e chiaramente obiettivi incompatibili con ogni trattativa con Israele. Ma il veleno sta in quegli “obiettivi nazionali del popolo palestinese”, che rimandano implicitamente agli statuti di Hamas e di Fatah, che stabiliscono chiaramente “l'obiettivo nazionale” di una “Palestina” estesa “dal fiume al mare”, cioè la distruzione dello Stato di Israele.
Insomma, se mai c'è stata una finzione di moderazione da parte di Abbas e del gruppo dirigente dell'Autorità Palestinese, un qualche tentativo di trovare un compromesso accettabile con Israele (anche se poi al momento buono Arafat prima e Abbas poi hanno rifiutato qualunque proposta, per quanto loro favorevole, come ai tempi di Barak e Clinton e poi di Olmert), questa parentesi trattativista è finita. Abbas si è completamente accodato al terrorismo di Hamas, ha deciso che per la sua salvezza personale non poteva che riprendere anche lui il progetto dello scontro e del terrorismo.

 Ma, badate bene, questa non è una prova di forza, ma di debolezza. Il discorso all'Onu, a parte la condanna americana e gli ovvi applausi della sola platea islamica e terzomondista, non ha fatto nessun effetto internazionale, era concepito per la platea interna di Ramallah, innamorata del bellicismo di Hamas.

 La questione palestinese è oggi sempre più chiaramente periferica rispetto al grande assalto islamista, ne è un aspetto provinciale e nessuno può illudersi che risolvendolo ai danni di Israele si avrebbe la pace in Medio Oriente. Gli schieramenti su questo tormentato scacchiere si sono rovesciati molte volte, ma di recente a sfavore di chi appoggia in maniera militante e non solo a parole il terrorismo palestinese.
Insomma Abbas è irrilevante e fa la voce grossa per convincere i suoi e se stesso di esistere ancora. Il che non significa che questi discorsi non possano avere conseguenze molto pericolose. Speriamo solo ora che chi pensa davvero alla pace capisca che l'Autorità Palestinese, come Hamas, è una parte (velenosa) del problema e non lavora certo per dargli una soluzione reale.

Ugo Volli


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