Riprendiamo dalla STAMPA-TUTTOLIBRI di oggi, 27/09/2014, a pag. IV, la recensione di Elena Loewenthal dal titolo " Moses e Pico inafferrabili mistici"
Elena Loewenthal le copertine dei due libri citati nell'articolo
La storia è piena di figure controverse. Ambigue e inafferrabili – e per questo con i loro chiaroscuri più interessanti di quelle tutted’unpezzo, dove non c’è nulla da scoprire. In fondo è questa la cifra dell’umanità, dove nessuno mai è solo angelo o solo demonio. Tutto sta nell’equilibrio fra l’uno e l’altro e ricostruire la storia significa soprattutto trovare quel fragile punto d’equilibrio. O di mobilità. Le figure controverse a volte diventano protagoniste e salgono alla ribalta della storia, a volte sono talmente inafferrabili che restano in ombra anche per i posteri.Questo è certamente il caso di Moses Dobrushka(1753- 1794) di cui Gershom Scholem dipinge un avvincente e documentato ritratto ora pubblicato da Adelphi nella traduzione di Elisabetta Zevi e con un saggio di Saverio Campanini. Il grande storico della mistica ebraica, colui che le ha dato il posto che le spettava nella storia letteraria e spirituale d’Israele, non a caso è affascinato dalla figuradi Moses. O meglio, dalle sue tre figure, dalle sue tre vite che in quel modico lasso di tempo formano un caleidoscopio di avventure talmente improbabili che sono vere. Perché Moses Dobrushka nasce in una famiglia ebraica in Boemia, dove gli ebrei detenevano il monopolio della vendita del tabacco – siamo nell’impero austroungarico, sotto Maria Teresa. Però è anche Franz Thomas Edler von Schoenfeld, perché nel 1778 acquista il titolo nobiliare e presumibilmente a un certo punto si converte al cristianesimo. Se non che, non molti anni dopo (siamo nel 1792, sull’onda della Rivoluzione Francese), arriva a Parigi e diventa Junius Frey, giacobino non del tutto convincente.Faceva lo scrittore, il poeta. Soprattutto il massone. Il tutto insalsa messianica, perché la sua formazione doveva molto, se non tutto, al frankismo, il movimento ebraico erede del sabbatianesimo: una sorta di originale sincretismo interreligioso, fondato sull’urgenza della venuta messianica, più o meno incarnata prima da Shabbetay Zvi e poi dal suo epigono Jacob Frank (1726-1791), di cui il nostro eroe –Moses Dobrushka – era e rimase più o meno seguace, oltre che parente. Moses, cioè Franz Thomas, cioè Junius, era un pensatore originale: innestò nei circoli dei razionalisti illuminati una vena di misticismo, che in fondo era capacità di pensare in grande, in lontananza. E fu prolifico scrittore. Ma fu sempre guardato con sospetto, e più che mai nel suo ultimo periodo, o meglio durante la sua terza vita, quella di giacobino, insieme al fratello: «In rue d’Anjou vivono due austriaci che si fanno passare per arcipatrioti, e a questo fine spendono grosse somme di denaro nella loro sezione per soffocare ogni sospetto, e anche i loro scritti esprimono solo patriottismo. Nei diciotto mesi trascorsi in Francia hanno già cambiato nome più volte.Sono ebrei di nascita, ma mossi dall’ambizione di ottenere un titolo nobiliare si sono convertiti; molto intelligenti, sono politici di alto livello. E’ chiaro che questi uomini immorali sono spie di prim’ordine e sono al soldo della Prussia o dell’Austria, o forse di entrambe». Nel 1793 Frey viene arrestato e il 5 aprile del 1794 viene ghigliottinato, lasciando ai posteri una vicenda tanto ombrosa quanto stupefacente di camaleontismo unito a coraggio intellettuale. Se la vita, anzi le vite di Moses, trascorrono in sordina e ci vuole la passione critica di Scholem per stanarlo dal buio, non si può dire lo stesso di Pico della Mirandola: figura passata alla storia per la sua prodigiosa memoria, ma non soltanto. Nel 1486, ad esempio, il giovane Pico che ha solo 23 anni (e vivrà ancora non molto, fino al 1494), s’invaghisce della bella Margherita, che però è già sposata e tocca cercare di rapire. Con conseguenze fatali per tutti, in primis per il nostro che è costretto alla fuga e a un notevole esborso di denaro per farla franca. Ma che soprattutto trarrà dal fatidico incidente l’energia spirituale per scrivere il suo celebre De hominis Dignitate nonché le Conclusiones philosophicae, cabalisticae et theologicae. Ed è da questo incrocio di contrattempi e ispirazione che prende spunto il lavoro di Giulio Busi e Raphael Egbi: Giovanni Pico della Mirandola. Mito,Magia,Qabbalah. E’ un libro denso, dalla struttura inafferrabile proprio come quella del suo protagonista: emblema dell’Umanesimo ma anche fatalmente attratto dall’alterità. Da quel pensiero sentito come estraneo, esotico e financo inquietante che si articolava nel patrimonio di testi della tradizione ebraica, in particolare della mistica. A cui lo iniziò il suo maestro Mitridate, attraverso la traduzione in latino di una immensa mole di materiali. Così, questo saggio ripercorre il pensiero di Pico in forma di lessico esteso: parole come «bacio», «gallo», «serpenti, anime, veleno » e nomi quali «Vulcano, Le Parche», «Circe» dipanano una disanima del pensiero pichiano intrecciata con la sua biografia. Perché le parole, quelle di Pico ma non solo, sono sempre cariche di una simbologia complessa e ramificata che costruisce storie su storie, attraversando universi culturali ed epoche magari distanti fra loro. Emerge anche qui, come nel caso del plurieretico Moses, il ritratto di una figura inafferrabile, capace di incarnare i valori centrali dell’Umanesimo ma anche di esprimere ambizioni oscure, una visione del mondo tutt’altro che uniforme e coerente. E per questo assai più affascinante del monotono mnemotecnico quale lo ha tramandato il luogo comune.
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