Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/09/2014, a pag.1, l'editoriale di apertura di Sergio Romano dal titolo " I terroristi che sono tra noi".
Il Corano Sergio Romano
Sergio Romano - e come lui tanti altri 'esperti' di islam, come Tahar Ben Jelloun- dovrebbero fare un monumento all'Isis, che sta provvedendo a togliergli le catagne dal fuoco. Senza i metodi, brutali e disgustosi nello stile, ma identici al terrorismo islamico in genere, non avrebbero trovato alcun appiglio per continuare a manifestare la loro cecità nei confronti del mondo arabo-musulmano. Grazie all'Isis possono adesso alzare la voce contro i cattivi islamici, liberi di continuare a dire che l'islam è una religione di pace, che i buoni musulmani combattono i cattivi musulmani, che è sufficiente stare dalla parte dei primi per sentirsi la coscienza a posto. E fare la voce grossa, come fa Romano in questo editoriale, che appare su un quotidiano che un tempo si distingueva per equilibrio, mentre ora sembra essersi avviato a diventare una brutta copia della Repubblica pre-editoriale di Ezio Mauro. Non manca nel finale una visione della presenza musulmana in Europa del tutto immaginaria, una cancellazione sbrigativa delle cronache di questi anni che ci hanno raccontato una realtà ben diversa dalle previsioni di Romano.
Ecco l'articolo:
Nella guerra contro lo Stato islamico vi sono almeno due battaglie da combattere con metodi diversi. La prima è militare. Sarà necessario liberare i territori iracheni occupati dalle milizie islamiste e riconquistare Raqqa (la loro capitale siriana) senza troppo disquisire sulla possibilità che l'operazione possa giovare al regime di Bashar al Assad. Questa guerra verrà fatta prevalentemente dall'aria per consentire ai peshmerga curdi di cacciare l'Iris dalle loro terre e all'esercito iracheno di riconquistare le regioni perdute. Ma non è escluso che qualche contingente occidentale debba partecipare alle operazioni. La posta è troppo alta perché l'Europa e gli Stati Uniti possano limitarsi a combattere per procura. Questa non è una vicenda in cui basti raccogliere qualche successo militare. Occorre dimostrare che il progetto del Califfato non è soltanto una intollerabile manifestazione di barbarie; è anche un disegno assurdo, irrealinabile, dannoso per tutti i Paesi della regione. La guerra a oltranza, in questo caso, serve anche a convincere i giovani combattenti dell'Isis che il fanatismo non rende invulnerabili, che la vita non merita di essere bruciata in questo modo. La seconda battaglia deve essere combattuta in Occidente contro cellule composte da fanatici alla ricerca di una nuova fede e da veterani di altre battaglie islamiste (più di 3 mila secondo il coordinatore europeo della lotta contro il terrorismo). Conosciamo i loro obiettivi: creare quinte colonne che ci minaccino nelle nostre case, coinvolgere nella lotta le comunità musulmane, costringerci ad adottare misure ché rendano lo scontro sempre più aspro, promuovere se stessi al rango di nemici ufficiali dei nostri Paesi. Sono gli obiettivi di tutti i terrorismi, dalle Brigate Rosse agli irlandesi dell'Ira e ai baschi dell'Eta. Vincono quando il loro nemico comincia a subire ricatti e a trattarli come combattenti. Spetta a noi evitare reazioni che possano favorire la loro strategia. Per vincere abbiamo un'arma che potrebbe rivelarsi efficace: i musulmani europei. Se sapremo coinvolgerli, saranno i nostri migliori alleati. Ne esistono le condizioni. Come quella creata durante la prima guerra del Golfo, la coalizione contro l'Iris non potrà mai essere definita una «crociata» composta da Paesi cristiani. È una ragionevole alleanza fra Paesi di tradizione cristiana e Paesi di tradizione musulmana. Mi piacerebbe che gli storici, un giorno, parlassero della guerra contro l'Iris come dell'evento che maggiormente avvicinò il mondo della cristianità e quello dell'Islam.
Per inviare al Corriere della Sera la propria opinione,telefonare : 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante