Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/09/2014, a pag.9, con il titolo "Abu Mazen: basta negoziati con Israele" la cronaca di Maurizio Molinari.
Abu Mazen getta la maschera - non che ce ne fosse necessità - con Israele non vuole più trattare e ricorre all'Onu, a chi sennò ? e accusa Israele di genocidio ! Forse non ha dato un'occhiata allo statuto del suo alleato Hamas, che si propone la distruzione di Israele ! Ci riflettano quelli che sperano ancora nella soluzione 'due stati per due popoli'.
Maurizio Molinari
Abu Mazen punta sull'Onu per centrale l'obiettivo della «Palestina sovrana». II discorso del presidente palestinese dal podio del Palazzo di Vetro segna una svolta nell'approccio ai negoziati con Israele. Se dagli accordi di Oslo del 1993 il predecessore Yasser Arafat aveva scelto la trattativa bilaterale, con gli Usa nel ruolo di mediatori, Abu Mazen ora afferma che «questa strada non funziona». Il motivo è «il fallimento dell'ultimo negoziato prima della guerra di Gaza» dovuto all'«intenzione israeliana di farci vivere in ghetti sparpagliati sul territorio senza il controllo neanche dei cieli». «Israele non perde mai l'occasione per far fallire un negoziato» accusa Abu Mazen, attribuendo tale politica «alla difesa di insediamenti razzisti, che vogliono preservare consegnandoci nelle loro mani» a dimostrazione del fatto che «non credono ai due Stati». II presidente palestinese usa spesso il termine «razzista» rivolto agli insediamenti in Cisgiordania - dove vivono circa 300 mila israeliani - affermando che «il nostro popolo è l'ultimo al mondo a vivere sotto occupazione» ed «è arrivato il momento di avere una Palestina sovrana». Abu Mazen non cita mai gli Stati Uniti perché la rinuncia della formula di Oslo comporta non avere più Washington come principale interlocutore per arrivare alla «fine del conflitto». II cambio di passo vede così i palestinesi affidarsi anzitutto all'Onu, preannunciando una proposta di risoluzione «sulla base di tutte quelle approvate dal 1967 per far nascere lo Stato di Palestina entro i confini pre-giugno del 1967». In concreto ciò significa che la delegazione palestinese - in qualità di Stato non-membro - proporrà un testo per stabilire «una data limite» entro la quale sarà un voto Onu a far nascere la Palestina, imponendola a Israele. Potrebbe trattarsi di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza ma, se gli Usa dovessero opporre il veto, Abu Mazen si appellerà ai 193 Stati dell'Assemblea Generale, contando di cogliere un successo simile a quello che ha consentito nel 2012 di elevare lo status dell'ex delegazione palestinese. Fonti palestinesi a Ramallah avevano anticipato che Abu Mazen avrebbe stabilito la data limite in tre anni ma all'ultimo momento tale riferimento è caduto, al fine di lasciarsi più margini per un'offensiva all'Onu tesa a far dichiarare la presenza Israele in Cisgiordania «illegale» ponendo le premesse per una denuncia per «crimini di guerra» davanti al Tribunale penale internazionale. A confermare la svolta di Abu Mazen anche il linguaggio sul conflitto estivo a Gaza fra Hamas e Israele, perché accusa lo Stato ebraico di «terrorismo di Stato» e «genocidio contro i palestinesi» aggiungendovi la più dura condanna del «crimine fascista commesso a Gerusalemme contro Muhammed Abu Khdeir», il giovane palestinese ucciso e bruciato da sei estremisti israeliani. L'Assemblea Generale riceve la svolta di Abu Mazen, reduce dall'intesa con Hamas per far tornare il governo palestinese nella Striscia, con un lungo applauso mentre l'imbarazzo dell'amministrazione Obama trapela dai diplomatici in aula: il fallimento della mediazione del Segretario di Stato John Kerry arriva alle estreme conseguenze, facendo venire meno il ruolo centrale degli Usa. La replica di Israele è immediata e arriva dal ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, che definisce Abu Mazen «un terrorista come il predecessore Arafat» il cui intento è di «insultare Israele e non cercare la pace».
Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante