Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 25/09/2014, a pagg. 1 e 33, con il titolo "La coscienza degli arabi", l'analisi di Thomas L. Friedman.
Purtroppo l'esame di coscienza di cui sarebbe finalmente protagonista il mondo musulmano, posto di fronte ai crimini dell'Isis, non è un fenomeno diffuso come vorrebbe Friedman. Quante manifestazioni contro l'Isis abbiamo visto nelle piazze europee e dei Paesi arabi in queste settimane? Poche, pochissime se paragonate alle migliaia di manifestazioni che si sono svolte in supporto di Gaza (o meglio, del regime terroristico che opprime Gaza e bombarda Israele), spesso sfociate in sfilate antisemite e spesso - per esempio a Parigi - persino in piccoli pogrom.
Anche le rare manifestazioni contro l'Isis, inoltre, sono tutt'altro che impeccabili. Basti pensare alla manifestazione che si è svolta pochi giorni or sono a Milano, che ha incluso il rogo di una bandiera e una decapitazione fittizia. Astrit Sukni, inviato di Informazione Corretta, in quell'occasione ha intervistato Chaimaa Fatihi, responsabile per le pubbliche relazioni dei Giovani Musulmani d'Italia, con esiti di pesante anti-Israele pro Hamas. ecco il link http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=55366
Se questi sono i moderati...
Ecco il pezzo:
Thomas L. Friedman
Nel cuore della campagna del presidente Barack Obama contro lo Stato Islamico si annida una tensione. Ed essa spiega perché gli risulti così difficile formulare e concretizzare la sua strategia.
In termini semplici, si tratta della tensione tra due obbiettivi cruciali.
Il primo è promuovere l’«esame di coscienza» che l’affermarsi dello Stato Islamico ha innescato nel mondo arabo-musulmano, l’altro è procedere all’«individuazione» e all’«annientamento » del gruppo estremista nelle sue roccaforti in Siria e in Iraq. Sarà meglio abituarsi all’idea, perché questa tensione non sparirà dalla sera alla mattina. Obama dovrà sapersi barcamenare in mezzo a essa.
Una buona notizia c’è: l’ascesa dello Stato Islamico, ha dato il via a un processo di riflessione, un «esame di coscienza» — da tempo atteso e atrocemente schietto — da parte di arabi e musulmani su come abbia potuto emergere in mezzo a loro un culto sunnita della morte di così vasta portata e così violento. Del resto, è sufficiente pensare a pochi esempi, a cominciare dall’articolo intitolato “I barbari a casa nostra” scritto da Hisham Melhem, direttore a Washington di Al-Arabiya, il canale satellitare arabo, e pubblicato su “Politico” la settimana scorsa. «Con la sua decisione di fare ricorso alla forza contro gli estremisti violenti dello Stato Islamico, il presidente Obama […] mette ancora una volta piede — con comprensibile enorme riluttanza — nel caos di un’intera civiltà al collasso. La civiltà araba, così come la conoscevamo, è pressoché scomparsa. Il mondo arabo oggi è violento, instabile, frammentario e spinto dall’estremismo — l’estremismo di chi comanda e di chi è all’opposizione — , molto più che in qualsiasi altro periodo da cent’anni a questa parte, quando crollò l’Impero ottomano».
«Tutte le speranze della storia araba moderna sono andate tradite», ha aggiunto Melhem. «La promessa del conferimento di poteri politici, le conquiste della politica, il ripristino della dignità umana sbandierata dalla stagione delle Primavere arabe nei primi tempi… Ogni cosa ha lasciato il posto a guerre civili, a lacerazioni etniche, settarie e regionali, alla riaffermazione dell’assolutismo, sia nella sua forma militare sia in quella atavica… I jihadisti dello Stato Islamico, in altre parole, non sono spuntati fuori dal nulla. Si sono arrampicati su un guscio vuoto marcescente — tutto ciò che restava di una civiltà collassata».
L’analista saudita progressista Turki al-Hamad ha risposto sul quotidiano “Al-Arab” che ha sede a Londra all’invito a contrastare l’ideologia dello Stato Islamico formulato dal re Abdullah ai leader religiosi sauditi.
«Come possono farlo?», si è chiesto al-Hamad. «Abbracciano tutti la medesima ideologia sunnita wahabita anti-pluralistica e puritana che l’Arabia Saudita ha diffuso, in patria e all’estero, nelle moschee che hanno incoraggiato lo Stato Islamico». «Sono incapaci di affrontare i gruppi che praticano la violenza, l’estremismo, le decapitazioni, e non perché siano svogliati o procrastinatori, ma perché condividono tutti quella medesima ideologia », ha scritto al-Hamad. «Come potrebbero dunque contrastare una dottrina che loro stessi condividono e che rientra nel loro modo di pensare?». In un intervento pubblicato in agosto sul sito libanese “Now”, lo scrittore sciita libanese Hanin Ghaddar ha scritto: «Per combattere lo Stato Islamico e altri gruppi radicali, per scongiurare l’ascesa di nuovi despoti assolutistici, dobbiamo assumerci la responsabilità dei fallimenti collettivi che hanno generato questi atroci tiranni e i fanatici. Responsabili dei mostri che abbiamo contribuito a generare sono i nostri media, i nostri sistemi della pubblica istruzione… Dobbiamo insegnare ai nostri figli come imparare dai nostri stessi errori, e non come padroneggiare l’arte del diniego. Quando i nostri educatori e i nostri giornalisti inizieranno a comprendere il significato dei diritti dell’individuo, e ammetteranno che abbiamo fallito, che non siamo cittadini, allora potremo iniziare a sperare nella libertà, anche se la si raggiungerà lentamente».
Promuovere e incoraggiare questo esame di coscienza è una componente essenziale — e intelligente — della strategia di Obama. Decidendo di impegnare l’America esclusivamente in una campagna di bombardamenti aerei contro gli obbiettivi dello Stato Islamico in Siria e in Iraq, Obama di fatto ha dichiarato che la guerra sul terreno dovrà essere combattuta dagli arabi e dai musulmani, non solo perché questa è la loro guerra e dovrebbero essere loro a sostenere l’impatto più grave delle perdite, ma anche perché l’atto stesso di organizzarsi tra di loro, tra sciiti, sunniti e curdi, e superare le loro debilitanti divergenze politiche e settarie — fattore indispensabile per sconfiggere lo Stato Islamico sul terreno — è l’ingrediente necessario per la creazione di un qualsiasi tipo di governo dignitoso, frutto di consenso, che sarebbe in grado di sostituire lo Stato Islamico in modo auto-sostenibile. La tensione nasce dal fatto che lo Stato Islamico è una macchina omicida, e ne occorrerà un’altra per cercare di snidarla e annientarla sul terreno.
È impossibile che i siriani “moderati” che stiamo addestrando riescano da soli a combattere il gruppo militante e contemporaneamente il regime siriano. Anche l’Iraq e la Turchia, anche i vicini stati arabi dovranno schierare i loro combattenti. Dopo tutto, questa è una guerra civile che si combatte sia per il futuro dell’Islam sunnita, sia per quello del mondo arabo.
Certo, noi possiamo scalfire e svilire lo Stato Islamico bombardandolo dall’alto — e sono contento che in Siria abbiamo colpito questi psicopatici — , ma soltanto gli arabi e i turchi potranno annientare lo Stato Islamico sul terreno. In questo stesso momento il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan sta incoraggiando il despotismo, le intimidazioni alla stampa, il capitalismo clientelare e il tacito sostegno agli islamisti, incluso lo Stato Islamico. Non ci autorizza neppure a utilizzare la nostra base in Turchia per colpire lo Stato Islamico dall’alto. Che cosa ha in mente? Che cosa hanno in mente i regimi arabi che sono pronti a unirsi a noi nel bombardare dal cielo gli estremisti in Siria, ma escludono di fare intervenire le loro truppe di terra? Questa è una civiltà al collasso e, a meno che essa non si decida ad affrontare direttamente le patologie che hanno dato vita al mostro dello Stato Islamico, qualsiasi vittoria riusciremo a conseguire, dal cielo o sul terreno, sarà solo momentanea. ( Traduzione di Anna Bissanti)
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