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La Stampa Rassegna Stampa
24.09.2014 Il gioco pericoloso delle mutevoli alleanze
Articoli di Maurizio Molinari, Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 24 settembre 2014
Pagina: 5
Autore: Maurizio Molinari - Francesca Paci
Titolo: «La realpolitik delle alleanze: così Iran e Arabia Saudita hanno superato le rivalità - E Doha volta le spalle ai Fratelli Musulmani - Erdogan prigioniero del puzzle regionale»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/09/2014, a pag. 5, con il titolo "La realpolitik delle alleanze: così Iran e Arabia Saudita hanno superato le rivalità", l'analisi di Maurizio Molinari; con i titoli "E Doha volta le spalle ai Fratelli Musulmani" e "Erdogan prigioniero del puzzle regionale", gli articoli di Francesca Paci.


Il presidente iracheno Fouad Massum con l'iraniano Hassan Rohani

Maurizio Molinari: "La realpolitik delle alleanze: così Iran e Arabia Saudita hanno superato le rivalità"


Maurizio Molinari

La coalizione creata dall’amministrazione Obama contro lo Stato Islamico (Isis) include tre gruppi di partner assai diversi ma tenuti assieme da una realpolitik che in Medio Oriente si riflette nel principio «il nemico del mio nemico, è mio amico».
Occidentali in Iraq
In prima fila ci sono l’Australia di Tony Abbot e la Francia di François Hollande perché partecipano alle operazioni aeree americane in Iraq. Canberra ha posizionato i jet F/A-18, gli aerei elettronici E-7A e le cisterne KC-30A negli Emirati Arabi Uniti e Parigi adopera i caccia Rafale dalle stesse basi nel Golfo. Poiché si tratta di missioni aeree contro obiettivi mirati su invito esplicito del governo iracheno, la legalità non è in discussione e così anche il premier britannico David Cameron vuole inviare i suoi Tornado. Deve però prima chiedere luce verde al Parlamento. Ma Londra fa comunque già molto: le sue truppe speciali operano, assieme ad americani e canadesi, sin da agosto nel Nord Iraq per mettere al sicuro le minoranze minacciate e selezionare gli obiettivi per l’aviazione. La Germania guida invece la pattuglia di nazioni che fanno arrivare armi, munizioni e istruttori a peshmerga curdi e governativi iracheni: Italia, Polonia, Danimarca, Olanda, Albania e Croazia fanno parte di una «task force» che include anche francesi e britannici. Nuova Zelanda, Romania e Sud Corea si sono invece impegnate a far arrivare ingenti aiuti umanitari.
Arabi in Siria
Se la coalizione che opera in Iraq è modellata sulle precedenti alleanze guidate dagli Usa, in Siria siamo in un campo inesplorato perché la coalizione è solo militare e vede l’aviazione Usa affiancata da jet di Arabia Saudita, Bahrein, Qatar, Giordania ed Emirati Arabi Uniti. Se è vero che Emirati e Qatar già presero parte all’intervento Nato contro Gheddafi in Libia, allora si trattava di pochi aerei arabi mentre adesso costituiscono nell’insieme l’alleato più importante degli Usa. A ciò si aggiunge che Israele ha fornito al Pentagono «liste di obiettivi di Isis in Siria», arrivando alla conclusione di un test inedito della cooperazione militare sunnita-israeliana contro i jihadisti che già protegge la Giordania dalle infiltrazioni di Isis. In tale cornice rientra il ruolo dell’Egitto di Al Sisi, impegnato nel Sinai contro i jihadisti di Bayt al-Maqqdis – confluiti in Isis – contando su armi americane come gli elicotteri Apache e intelligence israeliana. Il ruolo del pilastro sunnita sembra destinato a crescere: l’impegno di Riad ad addestrare i ribelli anti-Assad è la possibile genesi di forze di terra che potrebbero entrare in Siria dalla Giordania.
Siria, Hezbollah e Iran
Il terzo tassello della coalizione di Obama incarna la realpolitik perché si tratta di avversari strategici divenuti partner de facto. La Siria di Assad ha dato il formale assenso ai raid Usa contro Isis, garantendo il rispetto della «legalità internazionale» richiesto dalla Russia, e proprio le truppe di Damasco sono destinate a giovarsi di più dell’indebolimento di Isis. Gli Hezbollah sono, assieme alle milizie sciite irachene, l’ossatura delle unità paramilitari filo-iraniane che si battono per Assad e in alcune aree – come Aleppo – saranno loro ad incalzare Isis. Basta guardare la tv di Hezbollah in Libano – Al Manar – per accorgersi con quale attenzione vengono registrati i raid Usa. Ma dietro Hezbollah c’è Teheran e tale realpolitik mediorientale non sarebbe potuta avvenire senza la rottura del ghiaccio con il rivale di Riad. Domenica a New York l’incontro fra i ministri degli Esteri iraniano e saudita ha sancito la possibilità di coesistere fra due anime della coalizione che restano in dura competizione.

 

Francesca Paci: "E Doha volta le spalle ai Fratelli Musulmani"


Francesca Paci          Khaled Meshaal

Mentre Emirati, Giordania e Bahrein annunciano la loro partecipazione ai raid il Qatar tace. Basso profilo come la sua tv al Jazeera, ieri assai meno altisonante della filo-saudita al Arabya. Ma Doha, all’indice per il sostegno ai ribelli siriani islamisti, è nella coalizione: ha fornito supporto logistico e, si dice, forse di più. La guerra intra-sunnita tra Qatar (più Turchia) e Riad è archiviata? Chissà. Ma quando giorni fa Doha ha congedato 7 Fratelli Musulmani egiziani accolti all’indomani della deposizione manu militari del presidente Morsi si è intuito il riposizionamento. Il leader di Hamas Meshaal è ancora in Qatar: seguirlo per orientarsi.

Francesca Paci: "Erdogan prigioniero del puzzle regionale"


Recep Tayyip Erdogan

In che squadra gioca Erdogan? Nel neo puzzle mediorientale la Turchia è un jolly ambiguo. Da quasi subito a fianco dei ribelli anti-Assad, Ankara si è ritrovata dalla parte degli islamisti dell’Isis con cui, pare, avrebbe negoziato uno scambio di prigionieri per il rilascio dei 49 ostaggi turchi. Nello stesso tempo, per paura che l’estremismo gli esplodesse in casa, ha sostenuto (finora a parole domani forse con la logistica) la coalizione anti Isis e in supporto di quei curdi a lungo combattuti nei propri confini. Ora che il Qatar è a bordo Erdogan resta col cerino in mano: mentre tutti guardano al cerino lui ha sdoganato il velo alle superiori.

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