Usa: una guerra all’Isis che vorrei, ma non posso
Dal 14 al 20 settembre 2014
Barack Obama Milizie dell'Isis
E’ una guerra dichiarata quella che gli Usa hanno annunciato all’esercito del Califfato di Siria e Iraq, ma che non vogliono però combattere sul terreno. Come giudicare una tale improbabile e confusa strategia, di cui Obama va persino fiero?
La stampa italiana, pur con alcune cautele e qualche eccezione, ha chiarito molto bene quale livello di ridicolo e di inefficacia ha raggiunto la capacità di risposta del mondo occidentale (Stati Uniti ed Europa) alle minacce, concrete e violente, del fanatismo islamico dei jihadisti dell’Isis: li si combatte stando a casa propria, tutt’al più si finanzia e si arma qualche migliaio di scalcagnati curdi, peshmerga, un po’ di oppositori di Assad, con l’appoggio di qualche riluttante governo fantoccio pan-arabo.
Questa ‘coalizione’ secondo Obama avrebbe l’appoggio di ben 40 Paesi, ma non si capisce bene quale compito essi svolgeranno. E’ evidente che se in primis gli americani non imbracceranno i fucili (per ora sembra che in Siria vi siano solo alcune centinaia di uomini dei corpi d'élite), non lo faranno nemmeno gli alleati; e d’altra parte se l’opzione militare rimane quella del solo bombardamento dall’alto, non si comprende quale maggiore capacità offensiva potranno mai dare gli altri Paesi. Per distruggere le infrastrutture bastano e avanzano le Fortezze volanti americane, in una strategia (come si è visto in Afghanistan) che però non basta a sradicare il califfato da quelle terre e per di più è causa di molte vittime innocenti tra i civili.
Quello che appare francamente incomprensibile è la mancanza di coerenza e di lucidità dell’intero mondo occidentale, rispetto alla minaccia globale che stiamo vivendo. Tutti d’accordo nel giudicare l’Isis una ben più grave, fanatica, violenta e capillare evoluzione dell’islamismo integralista rispetto ad Al-Qaeda, da cui nasce come costola e da cui viene espulsa proprio per l’evoluzione sanguinaria che la caratterizza, che non fa prigionieri nemmeno tra i nemici musulmani. Ma da questa analisi non ne discende la logica conseguenza che direbbe che bisogna combattere l’Isis con maggior determinazione, con maggiori uomini, mezzi e intelligence rispetto a quanto messo in campo contro Al-Qaeda. Per svegliarsi da questo torpore, da questa malcelata vigliaccheria di avere il terrore di pagare un prezzo in vite umane tra i propri soldati, cosa bisogna aspettare: che l’Isis realizzi un nuovo 11 settembre? Lo ha già promesso, e lo farà certamente appena ne avrà l’opportunità.
Se non si comprende che Al-Qaeda sta all’Isis, come il paleolitico sta all’era moderna, allora non si capisce che tipo di trasformazione rapidissima ha avuto il fanatismo islamico. Abbandonate le grotte e le caverne talebane (proprio come nel paleolitico), abbandonati i videoregistratori con le cassette porno di Osāma bin Lāden, il califfato di Abu Bakr al Baghdadi costituisce l’evoluzione 2.0 di un Islam che con l’aiuto dei convertiti usa le armi della modernità per raggiungere antichi e mitici traguardi di conquista religiosa e territoriale.
I nuovi jihadisti dell’Isis con altrettanta facilità maneggiano il coltello per sgozzare e il mouse per conquistare; producono video e giornali; incassano soldi dalla vendita clandestina del petrolio siriano (secondo l’intelligence israeliana, l’Isis controlla ad oggi 60 pozzi ed incassa da 3 a 6 milioni di dollari al giorno); fanno campagne di reclutamento sul web; finanziano ‘quinte colonne’ nei Paesi occidentali; addestrano ‘lupi solitari’ per spargere il terrore nelle strade delle città europee (come già accaduto con gli attentati di Tolosa, Londra, Bruxelles).
E’ così forte la capacità attrattiva che viene dal Califfato islamico di un mondo rinnovato e purificato nel sangue degli infedeli, che in pochi mesi il numero dei combattenti dell'Isis, come ha rivelato la stessa Cia, è arrivato da 10 a 30mila jihadisti.
Tutto ciò, come verrà fermato? Come verranno impediti altri sgozzamenti e crocifissioni? Come si impedirà la continua strage di bambini, la schiavizzazione delle donne, il genocidio di popolazioni cristiane, la distruzione sistematica dei luoghi di culto non islamici? Come impediremo agli islamisti di portare la sharia in Europa? Non certo con le risposte indignate di Obama, di David Cameron, o François Hollande davanti alle immagini raccapriccianti degli sgozzamenti dei loro cittadini. A questi leader andrebbe invece ricordato il celebre detto latino: ‘Si vis pacem, para bellum’, "Se vuoi la pace, prepara la guerra".
Giacomo Kahn, direttore del mensile Shalom e del quotidiano on-line Shalom7