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Il Foglio Rassegna Stampa
20.09.2014 Raccontare per la storia, diceva Primo Levi
Una 'lezione' di Anna Bravo

Testata: Il Foglio
Data: 20 settembre 2014
Pagina: 3
Autore: Redazione del Foglio
Titolo: «Raccontare per la storia»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 20/09/2014, a pag.3, con il titolo " Raccontare per la storia" la recensione al libro di Anna Bravo contenente la 'lezione'dedicata a Primo Levi.


Anna Bravo                       Primo Levi

Dal 2009, ogni anno il Centro internazionale di studi Primo Levi promuove a Torino una “Lezione” dedicata allo scrittore morto nel 1987, destinata a essere pubblicata in volume, in testo bilingue italiano e inglese. Dopo “‘Sfacciata fortuna’. (Se questo è un uomo). La Shoah, il caso e l’uomo normale” di Robert Gordon, “Esperimento Auschwitz” di Massimo Bucciantini, “Una telefonata con Primo Levi” di Stefano Bartezzaghi e “Perché crediamo a Primo Levi” di Mario Barenghi, la quinta lezione, tenuta il 7 novembre 2013 e ora pubblicata a sua volta in testo bilingue, è di Anna Bravo, che è stata docente di Storia sociale all’Università di Torino, si è occupata e si occupa della storia delle donne e di storia dei movimenti di liberazione ed è stata anche autrice, nel 1983, di un’importante intervista a Primo Levi.
“Raccontare per la storia”, spiega Anna Bravo, per Primo Levi ebbe due funzioni essenziali. Non solo significò dare forma all’esperienza di Auschwitz con gli strumenti del narratore, e di quella specie particolare che è il narratore di fatti reali, capace di stendere un referto significativo anche per lo storico di professione, oltre che per il lettore comune. Primo Levi fu anche colui che ebbe il coraggio di rileggere la Shoah proponendo categorie nuove: dalla “zona grigia” alla “vergogna del sopravvissuto”. Egli osservava infatti che “i prigionieri privilegiati erano in minoranza dentro la popolazione dei Lager, ma rappresentano invece una forte maggioranza fra i sopravvissuti”. In un mondo dove la morte per fame, o per malattie da fame, era normale destino, la sola speranza stava nel conquistare “un sovrappiù alimentare, e per ottenere questo occorreva un modo, octroyé o conquistato, astuto o violento, lecito o illecito, di sollevarsi al di sopra della norma”.
A sopravvivere, insomma, secondo lui non sono stati i migliori ma i più fortunati, i più abili e spesso i più spietati. “E’ solo una supposizione, anzi, l’ombra di un sospetto: che ognuno sia il Caino di suo fratello, che ognuno di noi (ma questa volta dico ‘noi’ in un senso molto ampio, anzi universale) abbia soppiantato il suo prossimo, e viva in vece sua. E’ una supposizione, ma rode; si è annidata profonda, come un tarlo; non si vede dal di fuori, ma rode e stride”.
E’ quello appena esposto il nucleo e l’origine di quel concetto di “zona grigia” che è presto entrato negli studi filosofici, femministi, di diritto, storici, teologici, di cultura popolare. Fino ad arrivare allo svilimento nel linguaggio dei media italiani. Nei quali, come osserva Anna Bravo, “il termine è diventato un attrezzo psico-antropologico-sociologico buono per leggere ogni realtà che appaia opaca, nascosta, mal definita.
Dalla struttura per lo spionaggio telefonico nella più grande azienda italiana alla presunta trattativa stato-mafia, non esiste settore che non abbia diritto alla sua zona grigia; ce l’hanno la politica, la cultura, la società, i servizi di informazione, le polizie, lo spettacolo, lo sport, e naturalmente la mafia, l’etica e la bioetica”. Una “marcia trionfale” in cui si è perso per strada quasi tutto il significato originario, assai meno (anzi, per nulla) vago e corrivo.
Anche attraverso il recente libro dello storico Sergio Luzzatto intitolato “Partigia” (edito da Mondadori) si è però ora riscoperto come il concetto di “zona grigia”, per come lo intese Primo Levi, si applicava anche a chi era stato partigiano, e aveva compiuto azioni che avrebbe voluto non aver compiuto. Il tutto servito da una prosa straordinariamente limpida, al servizio di un progetto di comunicazione che Anna Bravo definisce “democratica”. “Quale altro pensatore di fronte a un liceale che lo interroga sul rapporto spirito/materia avrebbe saputo rispondere che, per capirlo, basta avere avuto una volta mal di denti?”.

Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/ 589090, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


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