La grande coalizione: la lotta all'Isis si estende? Cronache e analisi di Maurizio Molinari, Guido Olimpio, Carlo Panella
Testata:La Stampa - Corriere della Sera - Libero Autore: Maurizio Molinari - Guido Olimpio - Carlo Panella Titolo: «Contro l'Isis 30 Paesi: pronti a tutto - Ma i raid aerei hanno già fermato l'avanzata jihadista - Tutti contro l'Isis: nella coalizione anche Mosca, Obama e Hollande divisi da Assad»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/09/2014, a pag. 9, con il titolo "Contro l'Isis 30 Paesi: pronti a tutto", l'articolo di Maurizio Molinari; dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, con il titolo "Ma i raid aerei hanno già fermato l'avanzata jihadista", l'analisi delle vicende militari di Guido Olimpio; da LIBERO, a pag. 12, con il titolo "Tutti contro l'Isis: nella coalizione anche Mosca, Obama e Hollande divisi da Assad", la cronaca di Carlo Panella.
In evidenza nella mappa le zone controllate dall'Isis
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Contro l'Isis 30 Paesi: pronti a tutto"
Maurizio Molinari
«Siamo pronti a usare qualsiasi mezzo contro Isis»: si conclude con questo impegno il summit di Parigi fra 30 nazioni accomunate da voler «sconfiggere la minaccia globale» dello Stato Islamico del Califfo Abu Bakr al Baghdadi. Ma sulla strada della coalizione ci sono due ostacoli: il rifiuto della Turchia a concedere le basi e il «no» dell'Iran di Ali Khamenei all'offerta di cooperazione recapitata dagli Stati Uniti. L'incontro al Quai d'Orsay vede il presidente iracheno Fuad Massum lanciare un accorato appello: «Non c'è tempo da perdere, bisogna continuare i raid contro Isis, impedirgli di creare santuari, braccarli ovunque, tagliargli i finanziamenti e bloccare l'arrivo di volontari dai Paesi confinanti». II presidente francese François Hollande parla di «minaccia globale a cui bisogna dare una risposta globale» facendo anticipare il discorso dai primi sorvoli di jet francesi nei cieli dei territori iracheni in mano ai jihadisti. II ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, precisa l'entità del nemico per privarlo di legittimità: «Non è uno Stato e non ha nulla a che vedere con l'Islam». L'esercito del Califfo, sottolinea il capo della Farnesina Federica Mogherini, «è una minaccia globale che non conosce confini» e per fermarla «bisogna fare presto assieme». Ma è sulla definizione del «come» che si manifestano gli ostacoli. II primo, e più visibile, è l'opposizione della Russia a raid in Siria «senza l'autorizzazione del governo di Damasco» come il ministro Sergei Lavrov ribadisce, contando sul sostegno cinese, «perché sarebbe un'aggressione». Poi c'è il nodo della Turchia, un partner della Nato che conferma il veto all'uso delle basi, impedisce all'Alleanza in quanto tale di partecipare ai raid e sembra al contempo assai debole nel frenare l'afflusso di jihadisti in Siria. Uno studio pubblicato in merito dall'Osservatorio sui diritti umani in Siria attesta che «nel solo mese di luglio sono entrati dalla Turchia almeno 6000 volontari di Isis». Per l'amministrazione Obama, che ha iniziato in agosto i raid e guida de facto la coalizione, è una spina nel fianco in quanto complica le operazioni e pone un problema nella Nato. Di questo si parlerà in Bahrein nel prossimo incontro della coalizione, destinato a concordare le iniziative militari. Ma non è tutto, perché c'è anche la questione dell'Iran a scuotere la coalizione. Tutto inizia con una dichiarazione inattesa che giunge da Teheran, dove il Leader Supremo Ali Khamenei svela in tv: «L'America ci ha chiesto aiuto contro Isis ma non glielo diamo perché l'intervento americano porterà gli stessi problemi che l'Iraq affronta da 10 anni» ovvero dall'invasione del 2003. A rendere più esplicito il messaggio è Moqtada Al Sadr, l'imam sciita iracheno già protagonista della guerriglia anti-Usa, che tuona: «Se gli americani tornano, li combatteremo ancora». Davanti alle rivelazioni di Khamenei, il Segretario di Stato John Kerry ribatte: «Restiamo aperti alla possibilità di una discussione costruttiva con l'Iran sull'intervento anti-Isis». Per Lavrov l'esclusione di Teheran dai lavori di Parigi è negativa perché «Iran e Siria sono alleati naturali nella lotta agli estremisti». Ma il presidente iracheno ribatte: «Ha sbagliato Teheran a non venire». La disputa sul ruolo di Teheran nasce dallo scenario possibile di un intervento multinazionale in Siria, dove l'Iran è già presente in forze.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio: "Ma i raid aerei hanno già fermato l'avanzata jihadista"
Guido Olimpio
WASHINGTON — Lo avevano previsto. L'Isis si sta adattando alle incursioni aeree americane e irachene per ridurre le perdite. Probabile che la tendenza continui quando gli Usa colpiranno anche in Siria. Un cambiamento legato — affermano gli analisti — ai successi dei raid. Gli attacchi non solo hanno permesso di sloggiare gli islamisti da alcuni punti chiave, ma hanno anche impedito una nuova avanzata. Dall'8 agosto le forze aeree Usa hanno condotto oltre 2700 missioni, una cifra che include i raid — quasi 160 — ma anche lanci di aiuti, voli di ricognizione e attività di supporto logistico in favore dei curdi. Nel valutare l'impatto delle incursioni, le fonti ufficiali, citate dal Wall Street Journal, presentano un quadro positivo, con un successo del 90 per cento. Partendo da basi nel Golfo (Emirati, Qatar) e dalla portaerei Bush, gli Stati Uniti hanno messo in campo una forza mista composta da caccia F15, F18 (imbarcati), Av8, bombardieri B1 e droni. Un apparato che ha permesso di rompere l'assedio a Amerli, di riconquistare posizioni chiave e di rallentare la progressione dei jihadisti. Un buon numero di azioni si è concentrato a Mosul, attorno alla diga di Haditha e nelle zone dove i ribelli minacciavano i profughi yazidi. Nei comunicati del Centcom, il comando che gestisce il teatro, sono elencati minuziosamente i bersagli degli Usa. Spesso citati i pick-up armati, il veicolo usato dagli insorti: ne avrebbero distrutti o danneggiati 78. Poi ci sono gli humvee, i fuoristrada forniti dagli Usa all'Iraq e diventati prede di guerra dell'Isis che ne ha catturati in quantità. I raid ne hanno inceneriti poco meno di quaranta. A seguire mezzi corazzati, camion e postazioni. Almeno in una situazione l'Us Air Force ha provocato un alto numero di morti tra gli insorti, quasi una settantina di ribelli. Colpito dal cielo, l'Isis ha contro-manovrato. Gli americani sostengono che il Califfo ha cercato di disperdere le proprie forze. L'unità tipo del movimento è composta da una colonna di pick-up con mitragliere pesanti e 2-3 mezzi blindati, spesso ruotati. Talvolta «aggiungono» uno o due tank, anche questi catturati al nemico. Ma questo tipo di formazione rischia di essere troppo esposta. E allora i jihadisti avrebbero ridotto la consistenza dei nuclei così come gli spostamenti lungo certi assi stradali. Inoltre, imitando i gheddafiani , portano i mezzi nei centri abitati per mimetizzarli. Usati anche teloni color sabbia e altri trucchi improvvisati. Canali, canyon, anfratti sono sfruttati per celare il materiale. Fonti locali aggiungono che l'Isis avrebbe lasciato alcune delle installazioni nelle località sotto il suo controllo. Stessa mossa da parte di alcuni dirigenti. Notizia non verificabile, anche se plausibile. Gli strateghi statunitensi sperano di creare difficoltà militari e politiche al nemico. Se deve difendersi avrà meno possibilità di badare alla popolazione che governa fornendo servizi necessari e imponendo la legge islamica. Il cambio di tattica era stato messo in conto dagli americani: ora riusciamo a cogliere «i frutti più maturi» — postazioni e mezzi dell'Isis — ma domani la missione diventerà più complicata. E lo sarà ancora di più in Siria. Attaccare la roccaforte di Raqqa, per fare un esempio, può causare vittime tra i mujahedin ma anche tra i civili. L'intenzione della Casa Bianca non è quella di un'operazione «Shock and Awe» (colpisci e terrorizza), con il ricorso ad un potenziale massiccio. L'idea è di raid che affiancano quelli dei Paesi arabi disposti a farlo. Un terreno dove si aprono scenari imprevedibili. Gli Usa — secondo il quotidiano siriano Al Watan che ha ripubblicato un'informazione già uscita — avrebbero passato a Damasco le coordinate poi usate dall'aviazione di Assad per eliminare una ventina di militanti dell'Isis a Deir Al Zour e Raqqa. Un contatto favorito forse dai tedeschi o dagli iracheni.
LIBERO - Carlo Panella: "Tutti contro l'Isis: nella coalizione anche Mosca, Obama e Hollande divisi da Assad"
Carlo Panella
È possibile vincere una guerra contro uno stato grande come l'Italia senza un esercito di terra? A questa domanda cruciale e dalla risposta ovvia, non continuano a non rispondere né Barack Obama, né François Hollande, che ieri ha invitato a Parigi tutte le nazioni che intendono scendere in guerra contro il Califfato islamico, inclusa la Russia che finalmente ha aderito. La mancata risposta è legata ad un banale trucco: Obama e Hollande ragionano dentro la strategia delineata dal presidente americano che finge di credere che l'esercito di terra che contrasterà e vincerà il Califfato sarà l'esercito iracheno. Ma questo esercito non esiste più, ha subito una vergognosa sconfitta, ha perso in una serie di sconfitte vergognose in pochi giorni ben 12.000 soldati, molti subito massacrati dai vincitori, ha lasciato con codardia enormi depositi di armi, carri armati e munizioni nelle mani dei miliziani del Califfato e non si vede assolutamente chi e come farà il miracolo di rimetterlo in piedi. AL BAGHDADI GODE Ciò nonostante, Obama, Cameron e Hollande continuano a organizzare la loro coalizione, sempre sulla base del principio strategico «no booth on the ground», non un piede occidentale sul suolo dell'Iraq. E il Califfato, come notano sconsolati molti commentatori - anche i più sfegatati estimatori di Obama - se la ride. Basti pensare che il Califfato controlla saldamente la seconda città irachena, Mosul, che ha piu abitanti di Roma (2,5 milioni) in cui possono essere bombardati alcuni obbiettivi militari, ma con un esito parzialissimo. Il Califfato dispone ormai di un esercito perfettamente armato e di interi battaglioni corazzati e basta pensare alle difficoltà incontrate da Israele a Gaza (in cui pure i suoi soldati sono entrati via terra), per comprendere come i bombardamenti aerei non possano costituire una seria risposta. Hollande ha aperto la riunione di Parigi di questa fumosa coalizione con i rappresentanti di 30 nazioni, sostenendo che «la minaccia globale rappresentata dai militanti dello Stato islamico ha bisogno di una risposta globale». Naturalmente sempre non includendo in questo concetto di «globale» una risposta occidentale da terra. Un non senso, che produrrà nei prossimi giorni solo un intensificarsi dei raid aerei sulle postazioni del Califfato in Iraq e Siria (i Rafales francesi hanno già effettuato dei voli di ricognizione). GUERRA AD ASSAD Differenziandosi sensibilmente da Obama, Hollande ha poi allargato gli obbiettivi della coalizione ad una sconfitta non solo del Califfato, ma anche del regime di Bashar al Assad: «Chiedo ai paesi presenti di sostenere con ogni mezzo l'opposizione moderata in Siria. Il caos fa il gioco dei terroristi. Dobbiamo sostenere coloro che sono in grado di negoziare e fare il compromesso necessario per preservare il futuro della Siria, e per la Francia quelle sono le forze dell'opposizione democratica». Non è chiaro se questo obbiettivo sia stato o meno condiviso dai partecipanti e l'impressione prevalente è che anche in questo caso si sia sorvolato sul punto (pure determinante). Dunque una prima divaricazione di fondo, che si radicalizzerà da qui a poco, dentro una Coalizione in cui Obama parla solo di aiutare i ribelli siriani contro il Califfato, mentre Hollande vuole -e lo dice- anche abbattere Assad. IL NODO TEHERAN L'unico punto chiaro emerso dalla riunione di Parigi, così come da quella dei paesi arabi di Gedda di giorni fa, è stata l'esclusione dell'Iran dalla coalizione. Esclusione ovvia, visto che l'Iran è parte determinante del problema del Califfato e non può certo esserne la soluzione. Il Califfato è infatti diretta conseguenza della resistenza al potere di Assad, determinata solo dal consistente aiuto dei Pasdaran iraniani e dei filo iraniani Hezbollah. Inoltre, l'alleanza tra tante tribù sunnite irachene dell'Anbar e il Califfato è diretta conseguenza della politica settaria contro i sunniti operata non solo dallo sciita Nouri al Maliki, ma anche sostenuta - a tutt'oggi, nonostante fumosi giri di parole - da gran parte dei partiti sciiti iraniani: Sciri, Dawa e il partito dell'estremista sciita Moqtada Sadr (legato agli ayatollah più oltranzisti di Teheran). Infatti, il governo iracheno, per bocca del nuovo ministro degli Esteri Ibrahim al Jaafari (del Dawa filo iraniano), si «è rammaricato per l'assenza dell'Iran a Parigi, nonostante le nostre insistenze». Caustico, Alì Khamenei, Grande Guida dell'Iran, ha sbeffeggiato Obama: «Gli Usa avevano chiesto se potevamo cooperare contro l'Isis, ma abbiamo respinto la richiesta perché hanno le mani sporche di sangue».
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