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Fare i conti con la guerra Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli Cari amici, ma questa “guerra mondiale a rate” o “a pezzi” di cui ha parlato papa Francesco, aggiungendo subito che le guerre sono “inutili stragi” e che bisogna fermare gli aggressori sì, ma non con le armi (fosse facile...) c'è davvero? E chi la combatte? Ma, prima di tutto, ci può essere una guerra a pezzi, cioè fatta di episodi non coordinati, senza un centro e una continuità? Cominciamo di qui. Sì, una guerra mondiale a pezzi è perfettamente possibile, anzi è la regola. Un secolo fa, nella prima guerra mondiale, il coordinamento della lotta fra Gran Bretagna e Turchia per il controllo del Medio Oriente aveva poche relazioni con quella fra Italia e Austria per Trento e Trieste, se non per il fatto che avevano deciso di legarsi a due sistemi di alleanze contrapposte (ma prima della guerra l'Italia era alleata dei futuri nemici...). Lo stesso si può dire nella seconda guerra mondiale per l'Urss, che tentò l'alleanza con Hitler prima di essere aggredita, o dei rapporti fra guerre del Pacifico e del teatro europeo. Ancora più indietro, guardando a una situazione per certi versi simile alla nostra, l'Impero romano crollò in un tempo relativamente molto breve, sotto la spinta di forze non coordinate ed eterogenee, i Parti, i popoli germanici, sbrigativamente unificati dall'etichetta “barbari”.
A noi succede questo. Il focolaio attivo della guerra è il mondo islamico, che dopo alcuni secoli di passività e di sconfitte ha ripreso a premere per espandersi. La prova è semplice, basta guardare all'”anello di fuoco” che lo circonda. Dovunque sono i confini dell'Islam e c'è un'infiltrazione musulmana, c'è guerra: dai Balcani al Caucaso, dal Sinkiang in Cina all'Afghanistan e alla frontiera fra India e Pakistan e fra Azerbaijan e Armenia, dall'Indonesia con Timor Est e Bali fino a Israele, all'Africa Nera e ormai all'Europa. La spinta espansiva è chiarissima, anche se poco coordinata. I soggetti che la compiono sono infatti in lotta fra di loro per l'identità dell'Islam, il predominio nazionale, e per i metodi di lotta. Esistono almeno due organizzazioni che si sforzano di arrivare a politiche comuni, la Lega Araba, che è piuttosto paralizzata ma che su certe questioni come il conflitto con Israele ha un ruolo importante almeno dal 1947; e l'Organizzazione della Conferenza Islamica, una specie di Onu musulmana su cui ha scritto parecchio Bat Ye'or, che ha grande influenza soprattutto su temi diplomatico-giuridici, anche se si tiene nell'ombra ed è poco nota ai più. Dunque c'è una guerra, è mondiale ed è “a pezzi” o “a rate”, con forti contraddizioni interne che talvolta sono più visibili e sanguinose di quelle esterne, com'è stato per tutto lo scatenamento di violenza che qualche anima bella, tre anni fa, si sognò di chiamare “primavera araba”, e soprattutto per Siria, Libia, Irak. Ma non dimentichiamoci che se gli sciiti si battono coi sunniti, e i membri del califfato con gli altri gruppi che non lo riconoscono, il bersaglio ultimo siamo noi. Quando qualcuno di questi gruppi acquisisce sufficiente potere, prestigio, territorio, forza per proiettarsi all'esterno, o quando si trova sul territorio degli infedeli, l'obiettivo da colpire è l'Occidente, gli ebrei, i cristiani. E non dimentichiamo che anche coloro che hanno l'aria rispettabile sono spesso complici di questi gruppi. Turchia e Iran si sono rifiutati di far parte della coalizione americana che dovrebbe bloccare l'Isis, perché non ne hanno convenienza tattica (l'Iran vuole farsi riconoscere come potenza nucleare in cambio della difesa dei suoi alleati sciiti in Iraq: una faccia tosta da far invidia!), ma soprattutto perché ne condividono gli obiettivi. E certo, ci possono essere screzi fra Iran e Qatar (il primo con Assad il secondo con i suoi nemici) o fra Al Qaeda e Isis; ma sono spesso scene di facciata (si dice addirittura che Assad abbia aiutato l'Isis contro i suoi nemici ottenendo in cambio di non essere attaccato frontalmente). Oggi la differenza fondamentale è fra coloro nel mondo islamico che trovano sconveniente scatenare la guerra, perché hanno troppo da perdere come stati (Egitto, Arabia Saudita, Giordania ecc.) e coloro che vogliono affrettare la “rivoluzione islamica”, travolgendo con piacere le frontiere statali che non gli importano o giudicano illegittime (Iran col suo satellite Hezbollah, Isis e Al Quaeda, Hamas, Qatar ecc.).
Aggiungete un dettaglio non irrilevante. Il movimento islamico ha ampi appoggi fuori di esso. Regge ancora in buona parte il vecchio blocco “antimperialista”, con la sinistra europea e sudamericana, la Russia e una certa benevolenza di quel largo schieramento che una volta si chiamava Terzo Mondo. Questi movimenti hanno una maggioranza precostituita all'Onu e in altri organismi internazionali. Per traballante che sia l'egemonia economica occidentale, restano i rancori, il rifiuto della democrazia, la volontà di rovesciare l'ordine mondiale. Anche quel che a noi sembra orribile, come le decapitazione filmate, la distruzione di antichissimi monumenti o la vendita di schiavi in molti ambienti viene vista come una rivincita, una soddisfazione. La guerra c'è e sta anche accelerando. Ha già raggiunto il nostro territorio con moltissimi attacchi , soprattutto antisemiti. E' probabile che si estenda, si radichi, conquisti territori. E susciti contro-spinte estremiste, che certo non possono piacere. Vi sono posti come la Francia in cui già adesso la violenza islamica ha dato la maggioranza a partiti che hanno origini e DNA neofascista. Se questa tendenza si generalizzasse, se la crescita dell'immigrazione sciaguratamente favorita dalla sinistra e le sue conseguenze islamiste producessero dappertutto reazioni del genere, sarebbe un momento tragico per l'Europa. Bisogna sperare che si capisca che le guerre, soprattutto se le si subisce e non le si desidera, devono essere combattute e vinte, che cedere alla violenza, discutere coi terroristi come suggeriva un gioviale grillino, non è ricetta di pace ma di distruzione.
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