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La Repubblica Rassegna Stampa
12.09.2014 La violenza dell'Isis va contrastata: la guerra necessaria e il fallimento dei piani di Obama
Ora condivide anche Bernardo Valli

Testata: La Repubblica
Data: 12 settembre 2014
Pagina: 1
Autore: Bernardo Valli
Titolo: «La guerra obbligata»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 12/09/2014, a pag. 1, con il titolo "La guerra obbligata", l'analisi di Bernardo Valli. Nonostante alcune imprecisioni e un sostanziale islamocentrismo, Valli si pone sulla via indicata venerdì scorso da Ezio Mauro (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=4&sez=120&id=55164), direttore di Repubblica, e sottolinea la necessità di una guerra senza quartiere al terrorismo islamista.


Bernardo Valli


In rosso nella mappa le zone controllate dall'Isis

Gli aerei americani radiocomandati, i droni, con il pilota remoto, non a bordo ma a terra, bombarderanno in un futuro abbastanza vicino la città siriana di Raqqa, sulla sponda dell'Eufrate. L'ha annunciato in sostanza Barack Obama l'altra notte. Anche se il presidente non lo dice, Washington dichiara di fatto guerra allo Stato islamico, non limita più l'intervento aereo all'Iraq, l'estende alla Siria. Dove Abu Bakr al Baghdadi, un chierico iracheno convinto di essere stato investito di una missione divina, si è autoproclamato califfo. E l'ispirato sedicente successore del Profeta ha fissato la sua capitale proprio a Raqqa. Là, all'incirca dodici secoli fa, un califfo storico, autentico, della dinastia abbaside, Harun al Rashid, costruì un grande palazzo, centro di creazione artistica, musicale, scientifica, e popolato da una corte di vizir che ispirarono poi le novelle raccontate nelle Mille e una notte. La storia fa pessimi scherzi: in questo caso mette a violento confronto un'invenzione dell'era tecnologica con una terra in cui esplose l'antica e splendida immaginazione orientale. Lo scontro si annuncia incerto. I protagonisti appartengono a razze in aperta e implacabile tenzone: Barack Obama è l'espressione di una civiltà tecnologica convinta di difendere principi razionali universali; Abu Bakr al Baghdadi è prigioniero di convinzioni considerate sinistre e superate dalla stessa stragrande maggioranza dei musulmani. Taglia le teste e mostra le decapitazioni perché per lui sono al tempo stesso riti e provocazioni. Il presidente americano ci tiene a distinguere la sua azione da quella promossa in Afghanistan e in Iraq dal predecessore Bush jr con la formula dell'antiterrorismo. Obama cita come esempi le operazioni esclusivamente aeree condotte con successo in Somalia e nello Yemen. Per questo non riporterà un corpo di spedizione nella valle del Tigri e dell'Eufrate, come fecero i Bush, padre e figlio, per punire Saddam Hussein. Lui si limiterà a mandare addestratori, consiglieri, tecnici. Non più di un migliaio e mezzo di uomini, tra quelli in partenza e quelli che ci sono già. Ma non si sradica e si annienta Io Stato islamico, che si stende tra le province meridionali sunnite dell'Iraq e quelle settentrionali siriane, con i soli bombardamenti aerei. Ci vuole la fanteria. Uomini di terra. Infatti lui non nasconde di avere bisogno di soldati disposti a scendere nella sabbia, purché non siano americani. Dopo l'Iraq, dopo l'Afghanistan, rivelatesi spedizioni fallimentari, il presidente sperava di avere chiuso l'era degli interventi militari. Non poteva tuttavia evitare quello che ha annunciato, nonostante le precedenti promesse. Le mancate promesse sono però appesantite dal fatto che lo Stato islamico non potrà essere estirpato entro il tempo che gli resta da passare alla Casa Bianca. Dovrà quindi lasciare in eredità al successore il compito di portare a termine l'operazione. Altro che Somalia e Yemen! Obama non lascerà soltanto una pesante eredità al prossimo inquilino della Casa bianca, ma un'immagine di se stesso diversa da quella di uomo di pace che gli stava a cuore. Il potere non concede facili aureole. Per avviare l'operazione è necessario creare al più presto una grande coalizione. Almeno quaranta paesi occidentali e orientali si sono dichiarati pronti a contribuire in qualche modo all'impresa. Il nucleo centrale dovrà tuttavia essere musulmano, in particolare arabo. E' infatti da evitare il sospetto di una crociata occidentale. Per questo il segretario di Stato Kerry tenta in queste ore di gettare le basi di un'alleanza visitando una delle maggiori potenze della regione. L' Arabia Saudita è sunnita ed è la custode dei luoghi santi dell'Islam. Quel chierico iracheno che si è autoproclamato califfo é qualcuno di simile a un antipapa, che i guardiani della Mecca e di Medina non possono tollerare. Attorno ai re sauditi può quindi formarsi la grande coalizione. Essi ne devono comunque essere gli ispiratori oltre che i maggiori finanziatori. È un fronte sunnita, che va dall'Arabia saudita agli emirati del Golfo, alla Cisgiordania, che deve annientare quel «cancro» formatosi nella loro comunità, la più importante corrente dell'Islam. I sunniti devono estirpare il tumore che essi stessi hanno covato in seno. Nel passato hanno contribuito a crearlo, l'hanno alimentato, finanziando gruppi jihadisti che poi sono sfuggiti al loro controllo. Il Medio Oriente è oggi un mosaico rissoso in cui le alleanze cambiano secondo le situazioni. L'Iran, ad esempio, grande avversario sciita dell'Arabia saudita sunnita, vuole partecipare all'eliminazione dello Stato islamico che è oggi il maggior oppositore armato, in Siria, del regime di Damasco, suo alleato. Ed infatti ha spinto le milizie sciite sotto la loro influenza a partecipare alla battaglia di Amerli, città liberata con l'appoggio dell'aviazione americana nei giorni scorsi. Un'azione comune ma, pare, senza concertazione. Per dare il suo appoggio l'Iran pone tuttavia una condizione: che Bashar al Assad, il presidente siriano, partecipi a pieno titolo all'alleanza contro lo Stato islamico. Un generale iraniano, Qassem Soleimani, sarebbe stato autorizzato a concertare operazioni militari con iracheni e curdi, e quindi con gli americani. Per i sauditi come per gli americani un'intesa con Bashar al Assad è tuttavia impensabile. Barack Obama ha precisato che non si può venire a patti con un rais che «terrorizza il suo popolo e non può recuperare la legittimità perduta». I droni americani destinati a bombardare Raqqa dovranno quindi mirare gli uomini dello Stato islamico, e risparmiare gli altri oppositori a Bashar al Assad. In particolare quelli moderati ed emarginati dell'Esercito siriano libero, i laici ai quali Obama vuole dare infine un aiuto. E Bashar al Assad? I suoi carri armati e i suoi aerei saranno ignorati? Quel che si delinea è una situazione maledettamente intricata. Stato islamico contro Assad; Esercito siriano libero contro Assad e contro Io Stato islamico; aviazione americana contro Stato islamico e in appoggio a Esercito siriano libero. E nei confronti di Assad? Neutrale? Nemico? E l'Iran che vuole intromettersi? E poi ci sarà la grande coalizione. Gli ultimi anni di presidenza si annunciano complicati per Obama che voleva portare gli Stati Uniti a casa.

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